Stasera alle 20:30 verrà trasmesso l’ultimo messaggio di fine anno del Presidente Sergio Mattarella. Vista l’occasione, ci possiamo aspettare una certa retrospettiva sugli avvenimenti salienti del suo settennato.
Noi, che di retrospettiva ce ne intendiamo, siamo andati a rileggere cosa hanno detto l’ultimo dell’anno tutti i Presidenti della Repubblica in vista della fine della loro carica. Ci sono tutti, dai due minuti e mezzo di Cossiga del 1991 a Leone che nel 1977 annuncia lacrime e sangue (Gronchi nel 1961 era stato invece così ottimista!).
Luigi Einaudi (12 maggio 1948 – 11 maggio 1955)
Il Presidente Einaudi inaugurò in Italia nel 1949 l’uso di un messaggio alla popolazione durante il periodo festivo. Forse non è una causalità, visto che lo stesso anno l’abitudine iniziò anche in Francia e in Germania (nel Regno Unito si faceva dal 1932).
Il messaggio di Einaudi per la fine del suo settennato fu breve per gli standard odierni (circa tre minuti) e concentrato sugli avvenimenti trascorsi del 1954.
“L’alba del nuovo anno trova la nostra patria vieppiù impegnata nella vasta opera di perfezionamento e di sviluppo del comune patrimonio di beni morali e materiali.”
Il Presidente cita la profonda “consolazione” del ritorno di Trieste sotto sovranità italiana il 25 ottobre passato (la città e zone circostanti dal 1947 erano sotto controllo anglo-americano e jugoslavo), che andava a in parte a compensare la “prova crudele” della terribile alluvione avvenuta nel salernitano lo stesso giorno (318 vittime, 250 feriti, e circa 5.500 senzatetto; 45 miliardi di Lire di danni).
“È dunque con animo fiducioso che ci apprestiamo ad accogliere l’anno che viene; fieri delle fatiche compiute, decisi a sanare quelle che siano state le manchevolezze del passato, consapevoli dei doveri che ci attendono, sostenuti sempre dal pensiero che l’attività quotidiana di ognuno di noi – anche la più oscura purchè inspirata a rettitudine – non si esaurisce in se stessa, ma concorre al bene comune, cooperando ad assicurare al nostro paese il posto che gli spetta nel consorzio dei popoli amanti della libertà e solleciti del civile progresso“.
Giovanni Gronchi (11 maggio 1955 – 11 maggio 1962)
Siamo nel 1961, ormai con il Presidente Gronchi il messaggio di fine anno era diventato una usanza stabilita:
“Italiani, sono particolarmente lieto che questo incontro di fine anno, rinnovandosi ancora una volta, mi dia la possibilità di stabilire un contatto diretto con tutti voi. Ho detto particolarmente lieto perché il settennato della mia presidenza volge al termine“.
Il messaggio si apre con la constatazione degli effetti del miracolo economico: “L’Italia ha compiuto, specialmente negli ultimi due anni, straordinari progressi nella sua ricostruzione dopo la triste rovina della guerra, e questo 1961 lascia per chiari segni prevedere un consolidarsi del continuo accrescimento del volume del reddito nazionale, così da autorizzare le prospettive di un lungo corso della prosperità economica italiana.
Va riconosciuto che i benefici dell’accresciuta produzione di beni stanno estendendosi: diminuita la disoccupazione, rese più stabili le occasioni di lavoro per il grado di competitività raggiunto dalla nostra industria, che può guardare assai tranquillamente la progressiva liberalizzazione degli scambi internazionali e l’acceleramento dei tempi del mercato comune; la nostra moneta fattasi solida e stimata dovunque; gradualmente migliorate di alquanto le retribuzioni ed elevatosi con ciò il tono generale di vita. […] L’attuale ripresa italiana che ha pochi termini di confronto non tanto nella storia economica del nostro Paese che mai ha attraversato periodi di tanta prosperità, ma in quella di altre nazioni più ricche e più potenti, è bensì un prodotto delle capacità di lavoro, della genialità creativa, dell’acquistata esperienza tecnica e organizzativa del popolo italiano nel suo insieme; tuttavia queste singolari doti, che ci sono finalmente riconosciute anche all’estero, non avrebbero potuto raggiungere tanto risultato se l’azione di impulso e di sostegno dei pubblici poteri non vi avesse, pur con le sue deficienze, contribuito.”
Questo ritrovato benessere però non cancella ogni difficoltà: “Ma chi non fermi lo sguardo alla superficie dei fatti sente che sarebbe eccessivo ottimismo concludere che i progressi realizzati siano tali da darci l’intera tranquillità necessaria a far sì che allo sviluppo dell’economia proceda di pari passo lo sviluppo dell’ordine democratico del nostro Paese. In effetti è facile rilevare che perdura – e potrebbe forse dirsi che, per contrasto, si accentua – uno stato d’animo generale di disagio per l’andamento della cosa pubblica e per quanto rimane da fare, affinché possa realizzarsi una distribuzione più effettivamente equa del benessere tra i diversi gruppi sociali come fra le diverse regioni del territorio nazionale.”
Il problema per Gronchi è che la Repubblica e la democrazia nel paese sono ancora giovani, dunque non è stato trovato quell’equilibrio necessario ad “assicurare la maggiore stabilità dell’esecutivo sorretto dalle forze politiche e parlamentari capaci di garantirla senza faticose alchimie, e insieme il pieno esercizio del controllo parlamentare e costituzionale, in sostanza, la completa attuazione, nella lettera e nello spirito, della Costituzione“. Di ciò tutto risente, “dalla funzionalità dell’amministrazione alla moralità della vita pubblica, dalle contrastate difficoltà delle scelte economiche e politiche alla capacità dello Stato di imporsi alle concentrazioni della ricchezza quando tendono ad ottenere o conservare privilegi a danno del benessere comune.“
Antonio Segni (11maggio 1962 – 6 dicembre 1964)
La massima carica al Quirinale fu ricoperta da Segni per poco più di due anni, in quanto venne colpito da una trombosi celebrale durante un colloquio molto acceso con Aldo Moro e Giuseppe Saragat nel salottino cinese del Palazzo. Visto il successivo stato di salute, si arrivò alle sue dimissioni volontarie. Non abbiamo quindi un discorso di fine settennato.
Giuseppe Saragat (29 dicembre 1964 – 29 dicembre 1971)
Vista l’elezione particolarmente tardiva di Saragat, il suo settimo messaggio di fine anno si tenne in un momento in cui aveva ancora praticamente un anno da espletare nell‘alto ufficio.
Il messaggio dunque si tenne 31 dicembre 1970 e già dall’incipit si percepisce un cambio di tono radicale rispetto all’ultimo di Gronchi: “Italiani, il 1970 ha visto il riassestamento, non privo di difficoltà e travagli, della crisi del 1969, determinata dalle lotte sindacali per una più equa ripartizione del reddito nazionale.
Le conquiste della classe lavoratrice realizzate nel 1969 si sono consolidate nel 1970 con la strenua e vittoriosa difesa del potere di acquisto della moneta, vale a dire del potere di acquisto dei salari, degli stipendi, delle pensioni, dei risparmi, insidiato dallo squilibrio della bilancia dei pagamenti. E non è stata una difesa facile.
Nei primi mesi del ’70, infatti, il processo inflazionistico, anche in ragione dell’andamento della congiuntura internazionale, è stato nel nostro Paese più rapido che altrove e la bilancia dei pagamenti ha presentato un ampio disavanzo; inoltre, la produzione industriale non si è ripresa con la rapidità che sarebbe stata auspicabile.”
Non sono problemi da poco: “È indispensabile che tali difficoltà vengano risolte, onde sia possibile nel corso del 1971 porre in atto la politica di rilancio industriale del Mezzogiorno e affrontare le più urgenti riforme della scuola, della sanità, della casa.”
Saragat segnala certe difficoltà che diventeranno formula ricorrente nei decenni successivi: “Occorre creare posti di lavoro per le nuove leve di operai, contadini, impiegati, giovani diplomati o laureati. Il numero di coloro che hanno un’occupazione remunerata in rapporto alla totalità della popolazione è inferiore in Italia a quello medio dei Paesi europei industrialmente più avanzati; inoltre un gran numero di lavoratori deve emigrare per vivere e far vivere le proprie famiglie.”
Ci sono però due problemi in particolare che affliggono il Presidente: la violenza politica e le contestazioni studentesche.
Sulla prima, “permane la tensione determinata da una diversa sensibilità dei vari partiti in ordine al problema della tutela delle libertà democratiche. […] Anche quest’anno l’Italia è stata turbata da violenze provocate da piccole minoranze, che hanno avuto però dolorose conseguenze per tutto il Paese.
Credo che il dovere di tutti i lavoratori, di tutti i cittadini, sia di dissociare la loro responsabilità, come già in larga misura si sta facendo, dagli atti irresponsabili delle minoranze violente e faziose, le quali, trovandosi isolate, saranno poste in condizioni di non nuocere.
Non mi stanco di ripetere che il miracolismo della violenza deriva sostanzialmente da debolezza morale.
I problemi umani gravi, dolorosi, difficili, esigono, per essere risolti, fatica, lavoro, senso di responsabilità, sacrifici. Credere di risolverli con atti di violenza è assurdo.“
Quanto agli studenti, il Presidente Saragat “ricorda quanto sarebbe pericolosa una frattura fra loro e i loro insegnanti. Da un antico insegnante, che visse diciannove secoli or sono, viene un ammonimento sul quale tutti i giovani studiosi dovrebbero riflettere: “Gli scolari debbono amare i loro insegnanti non meno di quanto debbono amare i loro studi. Essi debbono considerare gli insegnanti come i genitori, non dei loro corpi, ma delle loro menti”.
Probabilmente non si era reso conto di cosa fosse il movimento studentesco del tempo.
Giovanni Leone (29 dicembre 1971 – 15 giugno 1978)
Il Presidente Giovanni Leone non portò a termine il suo mandato, essendosi dimesso con sei mesi e quindici giorni di anticipo rispetto alla sua scadenza naturale a causa di una campagna politica e giornalistica (di cui poi venne stabilita la natura diffamatoria) che voleva un suo coinvolgimento nello scandalo Lockheed.
Il suo ultimo messaggio si tenne il 31 dicembre 1977.
Il tono drammatico è ben rappresentato dalle parole conclusive: “Non vi ho detto parole serene, come avrei voluto; anzi in esse avrete trovato motivi di preoccupazione“. Infatti il messaggio descrive una situazione molto cupa.
“Dobbiamo riconoscere e valutare con molto realismo il malessere profondo che si avverte nel Paese. Pesano su di noi infatti molti problemi non risolti. E non mi riferisco solo alla crisi della nostra economia, che presenta gravi fenomeni di disoccupazione e un Mezzogiorno drammaticamente bisognoso di sviluppo. Mi riferisco a un elemento più preoccupante, che si incunea nella coscienza popolare e rende tutto più difficile: la sensazione o la consapevolezza che non sempre ad ogni diritto riconosciuto ha corrisposto e corrisponde la possibilità di un suo effettivo esercizio; di qui pesanti delusioni e quindi, di riflesso, un affievolimento generale del senso del dovere.” Esempio di questi diritti sono quello alla scuola e all’assistenza sanitaria.
Si prospettano anni grami ma di ridistribuzione delle ricchezze: “Spetterà proprio a quelli di noi, che hanno beneficiato in qualche misura del progresso degli anni trascorsi – quel progresso che la grave recessione ha interrotto specie dopo la drammatica crisi energetica – sopportare il peso dello sforzo necessario alla ripresa. Saranno ancora tempi di rinunzie e di sacrifici, indispensabili perché i disoccupati, i giovani, i poveri, gli emarginati possano trovare prospettive ragionevoli. […] Questo è il quadro della situazione. Nessuno di noi si illude che la condizione presente possa trasformarsi d’incanto. Siamo anzi indotti a ritenere che il prossimo sarà certamente anch’esso un anno difficile, non meno difficile di quello che oggi abbiamo concluso; ma, perché non sia privo di speranze, dovrà essere un anno ancor più impegnativo, se si vuole avviare quella ripresa che realisticamente riteniamo possibile.”
In definitiva, “se questo appello alla responsabilità non divenisse operante e non si tramutasse nell’impegno di tutti, il rischio per il sistema democratico sarebbe estremo”.
Tre mesi e mezzo dopo veniva rapito Aldo Moro.
Sandro Pertini (9 luglio 1978 – 29 giugno 1985)
Il Presidente Pertini segna un cambio di passo nei messaggi di fine anno del Capo dello Stato, preferendo un tono monitorio ma colloquiale e una scena accanto al caminetto. Stabilendo uno standard anche per i Presidenti dopo di lui, il suo messaggio del 31 Dicembre 1984 non è concentrato solo sulla politica parlamentare o un singolo argomento, ma coinvolge politica interna ed estera, abbracciando varie categorie di cittadini e di servitori dello Stato, aggiungendo anche aneddoti personali.
Il primo pensiero va alle vittime delle cinque stragi avvenute quell’anno, l’ultima accaduta poco prima, il 23 Dicembre: “Risuonano nel mio animo ancora il pianto e le proteste dei parenti delle vittime dell’ultima strage, ignobile strage, in Val di Sambro. Io mi chiedo questo. Cinque stragi abbiamo avuto, tutte con lo stesso marchio di infamia ed i responsabili non sono stati ancora assicurati alla giustizia. I parenti delle vittime, il popolo italiano non chiedono, come qualcuno ha insinuato, vendetta, ma chiedono giustizia. Ed hanno ragione di chiedere giustizia. […] I familiari di queste vittime passeranno un tristissimo fine d’anno. Piangendo attenderanno il sorgere del nuovo anno. Ebbene, sappiano che io sono al loro fianco. Condivido il loro dolore. E condivido anche quella che è la loro protesta.”
In relazione alle indagini su tali stragi fa ben sperare la debellazione della Loggia P2: “Gli antichi servizi segreti erano stati inquinati dalla P2, da questa associazione a delinquere. Ebbene i nuovi servizi segreti cerchino di indagare, non si stanchino di indagare, non si fermino ad indagare soltanto in Italia, vadano anche all’estero, perché probabilmente la sede centrale di questi terroristi si trova all’estero, e cerchino di assicurare alla giustizia i colpevoli.“
La seconda grande preoccupazione del Presidente è la guerra atomica (è la prima volta che vediamo entrare nei messaggi esaminati il clima della Guerra Fredda): “ll riarmo atomico continua da una parte e dell’altra, dalle due superpotenze. E se una guerra, per dannata ipotesi, domani dovesse esplodere, sarebbe l’ultima guerra, perché sarebbe la fine dell’umanità. Nessun vincitore avremmo: vincerebbe soltanto la morte nucleare per tutta l’umanità.
Ebbene le due superpotenze cerchino di trovare un accordo. Lo chiedono tutti i popoli della terra. Ansiosi noi attendiamo che si seggano intorno ad un tavolo i dirigenti di queste due nazioni per discutere. Discutano e cerchino di trovare un accordo. Ed i miliardi che si spendono oggi per costruire ordigni di guerra che se domani, ripeto, fossero usati sarebbe la fine dell’umanità, si usino per combattere la fame nel mondo.“
L’ultima inquietudine di Pertini riguarda la disoccupazione: “La disoccupazione è una male tremendo. Molte famiglie di italiani, che in questo momento stanno ascoltando, passeranno un primo dell’anno tristissimo perché la disoccupazione ha invaso la loro casa e quindi, non potranno salutare il nuovo anno con animo lieto; vi sarà la miseria nella loro casa. Si cerchi di combattere la disoccupazione. È un male, ripeto, tremendo che io ho conosciuto ed è un’esperienza che benedico. Perché, figlio di famiglia ricca, fui costretto ad emigrare in francia sotto il fascismo per sfuggire al carcere e dovetti fare l’operaio. Ed ho conosciuto anch’io la disoccupazione e quindi per esperienza personale conosco questo male e so quali sono le amare rinunce cui deve sottostare un disoccupato. […]
Il Presidente del Consiglio [Bettino Craxi] ha affermato di recente che l’economia del nostro paese è in piena ripresa. Industriali venuti a trovarmi al Quirinale mi hanno detto la stessa cosa. Ed allora se l’economia è in piena ripresa si cerchi di combattere la disoccupazione”.
Francesco Cossiga (3 Luglio 1985 – 28 aprile 1992)
L’ultimo messaggio di fine anno del Presidente Cossiga del 31 dicembre 1991 è il più peculiare di tutti quelli presenti in questo riepilogo. Anzi, è il più peculiare mai pronunciato nella storia della Repubblica, oltre che il più breve.
Il Presidente picconatore inizialmente aveva previsto di esternarsi tramite una intervista “all’americana” con i direttori dei tre telegiornali della RAI, con Gianni Letta per Finivest e Roberto Quintini per Telemontecarlo. La risposta gelida dei vertici della televisione di Stato lo aveva fatto ripiegare però sulla forma classica del messaggio. Aveva quindi scritto un lunghissimo testo, forse sarebbe stato il messaggio di fine anno più lungo di sempre, pieno di polemiche e amarezza, una sorta di summa di un anno di dolori: dai magistrati al tentativo di messa in stato di accusa del PDS, dal caso Gladio alla risposta a Norberto Bobbio che su La Stampa lo aveva accusato di essere diventato con le sue picconate uno strumento di MSI e Lega.
Quattro giorni prima della data, però, Cossiga buttò via il brogliaccio dietro pressioni (Di Craxi? Di Andreotti? Di tutta la DC? Non si sa) e decise a registrare un messaggio brevissimo: “Non certo mancanza di coraggio o peggio resa verso le intimidazioni ma il dovere sommo, e direi quasi disperato, della prudenza sembra consigliare di non dire, in questa solenne e serena circostanza, tutto quello che in spirito e dovere di sincerità si dovrebbe dire; tuttavia, parlare non dicendo, tacendo anzi quello che tacere non si dovrebbe, non sarebbe conforme alla mia dignità di uomo libero, al mio costume di schiettezza, ai miei doveri nei confronti della Nazione. E questo proprio ormai alla fine del mio mandato che appunto va a scadere il prossimo 3 luglio 1992.
Questo comportamento mi farebbe violare il comandamento che mi sono dato, per esempio di un grande Santo e uomo di stato, ed al quale ho cercato di rimanere umilmente fedele: privilegiare sempre la propria retta coscienza, essere buon servitore della legge, ed anche quindi della tradizione, ma soprattutto di Dio, cioè della verità.”
Di conseguenza, “voti augurali di benessere e di serenità”. Inno di Mameli. Sipario.
Oscar Luigi Scalfaro (28 maggio 1992 – 15 maggio 1999)
Il messaggio di Scalfaro del 31 Dicembre 1998 vince la palma d’oro per la lunghezza, dall’alto dei suoi 37 interminabili minuti. Personalmente gli assegno anche il Golden Globe dell’inconcludenza. Magari sono troppo severo, ha l’attenuante che parlava a braccio.
Appaiono elementi che sono presenze fisse in tutti i messaggi successivi, come il gran affluire di lettere al Capo dello Stato in vista dell’occasione e i ringraziamenti alle forze dell’ordine e alle forze armate, in particolare se impegnate all’estero.
Dal maremagnum di parole (in cui la tutela ambientale è non si sa come collegata agli italiani all’estero), forse si possono estrapolare alcuni temi particolari (scuola e disoccupazione ormai sono nei messaggi dei Presidenti dagli anni ’60).
Intanto si percepiscono gli echi della guerra nell’ex Jugoslavia: “Lasciatemi dire: noi abbiamo anche importazione di criminalità e non poca. Nel disfacimento della ex Jugoslavia, non vi sono soltanto quei trasportatori, che sono dei pesanti criminali che speculano sulla pelle disperata delle persone, non vi sono soltanto questi. Vi è ben altro: il commercio di droga e di armi.“
Il tema della guerra nei balcani compenetra quello dell’ottimismo verso l’Euro e il processo di unificazione europea: “E questo [l’approvazione dell’Euro in Italia] come allarga il cuore a quelli di noi che ricordano i grandi Profeti dell’Europa, e attendono l’Europa politica, l’Europa della gente, l’Europa dei popoli, l’Europa che sarà capace di dire no per sempre alla guerra, che ancora lacera questo nostro vecchio continente. Sembrava impossibile… Anzi, per dei nostri alleati – ma non gliene facciamo colpa – era impossibile, perché molti non sanno che è nell’impossibile che si esprime il meglio di noi italiani!”.
Scalfaro parla poi del ruolo che devono avere i partiti: “Se ci sono, i partiti devono tornare con questa impostazione di alto profilo, devono aiutare ad elevare la politica. Se tornassero con i mali di un tempo, se tornano con i mali, è tragedia, perché è come respingere lontano i cittadini. Noi ci chiediamo perché la gente non va a votare. […] Ma, come fa la gente ad avvicinarsi quando incontra persone che dicono di essere persone politiche e che, nell’assenza totale di ogni pensiero politico, hanno come surrogato battute, ingiurie di qualsiasi tipo, dove l’educazione non si sa più dove stia, insinuazioni, se non addirittura il falso? Ma, questo può essere politica? E con questo sistema, si pensa che le persone perbene si avvicinino alla politica?”. Sgarbi e Bossi se ne risentirono personalmente.
Altro tema caldo degli anni ’90 che appare nel messaggio è quello del rapporto fra politica e magistratura: “I politici chiedono, la gente chiede ai giudici professionalità, chiede equilibrio, chiede serenità, chiede riserbo, chiede il rispetto della persona: sia colpevole, sia innocente, sia condannata, sia in istruttoria, è persona! Il reato non è un’offesa al magistrato: è offesa alla legge e alla società.
Ma si chiede ai politici rispetto dell’attività del magistrato, con il diritto di critica, il più ampio, ma che sia critica: critica giuridica, critica politica, la più ampia, con l’uso di tutte le impugnative pensabili che il codice e le leggi consentono… Ma mai l’aggressione, mai! Mai il tentativo di delegittimare il giudice, di qualsiasi livello esso sia. Mai! Questo è colpire lo Stato nel cuore, che è la giustizia!”.
Il messaggio è pronunciato come con Pertini su una poltrona accanto a un camino, ma il camino è spento e a fianco della poltrona ci sono bandiere e carta da parati di seta.
Carlo Azeglio Ciampi (18 maggio 1999 – 15 maggio 2006)
Dopo i 37 minuti di Scalfaro, lode al Presidente Ciampi nel 2005: “è questo il settimo incontro di fine anno con voi, l’ultimo prima del termine del mio mandato presidenziale. I commiati, quanto più sono sentiti, tanto più debbono essere brevi“. Un commiato che è un bilancio e un autoritratto.
Il messaggio è pensato come “un italiano che si rivolge a ogni altro italiano“. Si tratta di una riflessione retrospettiva attraverso la quale il Presidente spiega gli impulsi che lo hanno guidato dal mattino in cui ha messo piede al Quirinale, rendendola la sua residenza e la “Casa degli Italiani“. Un percorso iniziato “senza un disegno preciso nè esperienza di contatti diretti con la gente“, vissuto alla stregua di “un dovere, una missione” nella veste di “rappresentate dell’Italia e garante della Costituzione“. Ispirato da due propositi: “esercitare imparzialmente” il mandato di Capo dello Stato e “rivolgere sempre a tutti l’esortazione al dialogo, al confronto leale, aperto, reciprocamente rispettoso“.
Nel discorso Ciampi rievoca ciò “che si era sedimentato” in lui fin dalla giovinezza e che ha influenzato la sua azione: il senso della patria (“che non è retorica”), il richiamo “ai simboli della nostra identità di nazione”, il nesso ideale che per lui lega risorgimento, resistenza, repubblica e Costituzione. Non manca una difesa della lacità dello Stato, che ha “affermato”.
Il resto del discorso è rivolto “ai giovani“: “Siete il nostro domani. La nostra speranza. La mia generazione si è impegnata nel salvaguardare e trasmettervi lo spirito che ci animò all’indomani di una guerra orrenda.
Lo spirito che ci diede la forza di ricostruire le nostre città, di dar vita alle istituzioni di libertà che contraddistinguono la Repubblica Italiana, e l’Unione Europea, che abbiamo creato insieme con altri popoli.
Dai tanti incontri che ho avuto con voi ho tratto motivi di fiducia nell’avvenire della nostra Italia.
So quanto siate impegnati nel prepararvi ad affrontare le sfide del futuro, insieme con i giovani di altri popoli, che condividono le vostre aspirazioni di progresso, di giustizia, di pace“.
Giorgio Napolitano (15 maggio 2006 – 22 aprile 2013; 22 aprile 2013 – 14 gennaio 2015)
Non c’è bisogno di dire che il caso del Presidente Napolitano è molto sui generis, ma vedremo a breve se anche Mattarella finirà nella stessa categoria.
Dunque, quale dei due messaggi esaminare? Quello del 31 dicembre 2012 o quello del 31 dicembre 2014? Avendo sempre applicato il principio del “messaggio conclusivo del settennato” prenderemo in esame quello del 2012.
Il contesto: governo Monti e prossime elezioni politiche a fine febbraio.
“Ma al di là delle situazioni più pesanti e dei casi estremi, dobbiamo parlare non più di “disagio sociale”, ma come in altri momenti storici, di una vera e propria “questione sociale” da porre al centro dell’attenzione e dell’azione pubblica. E prima ancora di indicare risposte, come tocca fare a quanti ne hanno la responsabilità, è una questione sociale, e sono situazioni gravi di persone e di famiglie, che bisogna sentire nel profondo della nostra coscienza e di cui ci si deve fare e mostrare umanamente partecipi. La politica, soprattutto, non può affermare il suo ruolo se le manca questo sentimento, questa capacità di condivisione umana e morale. Ciò non significa, naturalmente, ignorare le condizioni obbiettive e i limiti in cui si può agire – oggi, in Italia e nel quadro europeo e mondiale – per superare fenomeni che stanno corrodendo la coesione sociale.” Sotto gli occhi di Napolitano ci sono la crisi delle imprese (“Come ho constato da vicino in Sardegna“) e dei cittadini (“Ricevo d’altronde lettere da persone che mi dicono dell’impossibilità di vivere con una pensione minima dell’INPS, o del calvario della vana ricerca di un lavoro se ci si ritrova disoccupato a 40 anni“).
Per aiutare le famiglie serve una azione decisa: “lo si deve fare distribuendo meglio, subito, i pesi dello sforzo di risanamento indispensabile, definendo in modo meno indiscriminato e automatico sia gli inasprimenti fiscali sia i tagli alla spesa pubblica, che va, in ogni settore e con rigore, liberata da sprechi e razionalizzata”.
Riconosce ai “giovani” la giustizia “dell’indignazione che suscitano la corruzione in tante sfere della vita pubblica e della società, una perfino spudorata evasione fiscale o il persistere di privilegi e di abusi – nella gestione di ruoli politici ed incarichi pubblici – cui solo di recente si sta ponendo freno anche attraverso controlli sull’esercizio delle autonomie regionali e locali?” (vi ricordate tutti gli scandali per i rimborsi spese dei consiglieri regionali, del Piemonte in testa?).
“Ripresa e rilancio dell’economia e avanzamento civile del paese non possono separarsi“: in proposito vengono citate la necessità di dare la cittadinanza ai minori extracomunitari cresciuti e formati in Italia, il bisogno di intesificare la lotta alla criminalità organizzata, la soddisfazione per l’equiparazione dei figli nati dentro e fuori il matrimonio oltre all’esigenza di combattere la violenza domestica (“è impressionante, e richiede ancora ben altro, lo stillicidio di barbare uccisioni di donne nel nostro paese”) e di migliorare la condizione delle carceri.
Troviamo poi per la prima volta il Presidente del Consiglio fare una entrata di peso nel messaggio di fine anno: “Il senatore Monti ha compiuto una libera scelta di iniziativa programmatica e di impegno politico. Egli non poteva candidarsi al Parlamento, facendone già parte come senatore a vita. Poteva, e l’ha fatto – non è il primo caso nella nostra storia recente – patrocinare, dopo aver presieduto un governo tecnico, una nuova entità politico-elettorale, che prenderà parte alla competizione al pari degli altri schieramenti. D’altronde non c’è nel nostro ordinamento costituzionale l’elezione diretta del primo ministro, del capo del governo“.
Il messaggio ebbe oltre di 12 milioni di spettatori e finì a pagina 2 del Corriere della Sera. Quelli di Ciampi e Scalfaro furono a pagina 11.
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