Francesco Cossiga ricevette l’investitura a Capo dello Stato il 24 giugno 1985 con un’elezione lampo al primo scrutinio con 752 voti su 977, beneficiando così di un atto di forza politica dell’allora formula di coalizione governativa, quella del Pentapartito. L’elezione arrivò grazie all’importante intermediazione dell’allora segretario Dc, Ciriaco De Mita, il quale compattò la maggioranza al governo e ottenne anche l’endorsement del PCI, guidato dalla segreteria di Alessandro Natta. Cossiga divenne così il primo cittadino italiano più giovane della Storia repubblicana (primato che detiene ancora oggi) all’età di 57 anni.
Francesco Cossiga provenne dalla generazione politica “sassarese”, cugino di secondo grado di Enrico Berlinguer, legato politicamente ad Antonio Segni e docente di diritto costituzionale presso l’Università di Sassari; egli è, però, passato agli Annali come una delle personalità politicamente ed istituzionalmente più complesse e difficilmente decifrabili della Storia repubblicana. La storia di Cossiga parla, infatti, della sua parte attiva dell’establishment politico democristiano nella difficile e drammatica gestione della cosa pubblica durante gli anni di Piombo e le continue destabilizzazioni alla Repubblica scaturenti dalla Guerra Fredda; egli arrivò al Quirinale con un bagaglio importante di testimonianze dirette degli anni drammatici di instabilità sociale e politica e con in carico una pesante eredità politica e costituzionale lasciata dal suo predecessore, Sandro Pertini.
Sin da giovanissimo conobbe, seppur allo stato embrionale, i riflessi della Guerra Fredda e della cd. Strategia della tensione sul Paese, partecipando alla difesa “armata” delle sezioni Dc sassaresi all’indomani dell’attentato a Palmiro Togliatti contro un possibile golpe comunista. Su quest’onda rimase sempre affascinato dalle politiche di difesa, intelligence e sicurezza interna: di qui gli incarichi di Sottosegretario alla Difesa tra il 1966 il 1970, sino ad approdare al dicastero agli Interni con Moro e Andreotti dal 1976 al 1978. In questo periodo Cossiga impose una linea durissima verso le contestazioni studentesche (caso Giorgiana Masi), arrivando (a scopo intimidatorio secondo lo Cossiga stesso) ad inviare mezzi blindati durante le contestazioni presso l’Università di Bologna nel 1977: episodio che gli valse l’epiteto di CoSSiga, con le “S” scritte come le rune delle SS.
Da Ministro degli Interni operò, poi, durante il rapimento e l’uccisione di Moro. In particolare, su Moro fu fautore della cd. “linea ferma” nel non negoziare con le Br, ritenendo l’attentato allo statista un atto compiuto “da eredi di una linea di sovversione che discende dalla Resistenza”. Le ombre sulla gestione delle trattive sul rapimento Moro e le critiche alla sua fermezza nel non volere che lo Stato trattasse con le Br lo costrinsero alle dimissioni alla scoperta del cadavere dell’ex Presidente della Dc: di lì un anno di Aventino che, secondo molte ricostruzioni storiche, gli lasciarono in eredità un disturbo bipolare (ciclotimia).
Divenne poi due volte Presidente del Consiglio tra il 1979 e il 1980, gestendo una fase di post compromesso storico sino alla nascita della formula pentapartitica: da questa ottenne il soglio quirinalizio e mantenne un’interpretazione del ruolo molto notarile per i primi quattro anni, dove il sistema partitico della cd. Prima Repubblica godette di ultimi anni d’oro prima del tramonto.
Fu, infatti, nel 1989 alla caduta del Muro, la fine della conventio ad exlcudendum verso il PCI e alle prime avvisaglie di crisi partitica Cossiga iniziò a dare voce alla necessità di cambiamento dei paradigmi costituzionali che dal 1948 avevano governato il Paese e che lui stesso contribuì ad implementare. Probabilmente, l’emersione del Dr. Jekyll e Mr. Hyde (da Cossiga stesso definita come la presenza in sé di un “omino bianco e uno nero”) venne acutizzata dallo scoppio della vicenda “Gladio”, l’organizzazione segreta afferente alla rete della Nato “Stay behind” che in collaborazione con i servizi segreti italiani aveva il compito di opporsi ai tentativi di golpe e invasione dei regimi comunisti negli Stati di area atlantica.
Cossiga non negò la sua partecipazione a Gladio, anticipando le cronache giornalistiche con un discorso tenuto a Edimburgo il 27 ottobre 1990 e operò in assetto da guerra sino al termine del settennato muovendosi, da un lato, nelle vesti di omino bianco come Presidente della Repubblica che diede impulso per un rinnovamento dell’ordinamento costituzionale, d’altro canto, da omino nero come “picconatore” nei confronti del sistema partitico e della Magistratura accusati rispettivamente di consociativismo e di protagonismo sovversivo. Le picconate varie portarono i partiti a porsi in trincea con decine di richieste di dimissioni e con una richiesta di messa in stato d’accusa per attentato alla Costituzione ex art.90 Cost. presentata nel 1991 dal PDS, la Rete e dai Radicali italiani. Nella richiesta vennero elencati vari motivi tra cui le picconate, il coinvolgimento in Gladio e la gestione autocratica della Presidenza del CSM, di cui ne minacciò più volte lo scioglimento e l’intervento delle forze dell’Ordine per far terminare le riunioni (fece effettivamente schierare i Carabinieri in assetto antisommossa pronti ad irrompere nella sede romana del CSM di Palazzo dei Marescialli).
(Super chicca su Cossiga che offende Palamara, allora giovane turco dell’ANM)
Tra le picconate si segnalano in particolare quelle date ad Occhetto (“Lo zombie con i baffi), De Mita (“Il Lepido di Nusco”), a Stefano Rodotà (“il piccolo arrampicatore sociale”) e Craxi (“un burattinaio che ha le voglie di raddrizzare l’Italia con il qualunquismo”). La Dc ottenne una menzione d’onore: “La Dc è da lapidare”! Una personale vendetta per non aver ricevuto appoggio nelle sue attività da omino nero dai suoi ex colleghi di partito.
Come omino bianco Cossiga operò facendo ampio uso del messaggio alle Camere, spingendo e proponendo possibili soluzioni per una intera revisione della seconda Parte della Costituzione il 26 giugno 1991, proponendo le vie della riforma costituzionale ex art.138 della Costituzione o in ultima analisi il ricorso alle elezioni di una nuova Assemblea costituente che fondasse un nuovo testo costituzionale per una effettiva Seconda Repubblica. Il messaggio, composto da ben 82 cartelle, non ricevette la controfirma di Andreotti, allora Presidente del Consiglio.
La richiesta di messa in stato d’accusa che arrivò nel dicembre 1991, segnò comunque la definitiva delegittimazione politica del Presidente, il quale il 28 aprile 1992 a poco meno di due mesi dalla scadenza naturale agli albori di Tangentopoli si dimise, fallendo nei suoi propositi il tentativo di farsi da traghettatore verso una nuova fase istituzionale del Paese.