Un brutale omicidio si consuma a Versailles nel 1889. Tutti gli indizi puntano a un uomo, ma l’intuito di un poliziotto scongiura un errore giudiziario grazie al vestiario del sospettato. Sarà davvero così?
La vicenda che stiamo per raccontarvi si svolge nella primavera del 1889 a Versailles, il 20 di maggio, ma il quadro è tutt’altro che affascinante e bucolico, ci perdonerete. Non siamo infatti nella bella reggia, la prison dorée dei blasonati Borbone, bensì nella cittadina che le ha prestato il nome, e non siamo certo tra i preziosi marmi sui quali aveva piroettato Maria Antonietta d’Austria, bensì in una comune dimora nei pressi della stazione locale. Il nostro protagonista, un poliziotto del luogo di non conosciamo il nome, è colpito da una scena raccapricciante: la proprietaria di casa, una donna anch’essa a noi ignota, è riversa a terra nei trentacinque pezzi in cui il suo corpo è stato brutalmente smembrato (in realtà, la coscia non venne mai ritrovata, pertanto si ipotizzava una scissione in pezzi trentasei). Otto furono invece i giorni di tormento per la locale stazione di polizia, assorta nelle indagini che mai seppero rivelare, ahimé, il nome dell’assassino. Le uniche testimonianze parlavano di un tale visto gironzolare nei pressi dell’abitazione, vestito di un cappello moscio e pardessus – cioè un soprabito – chiaro.
La nostra fonte, tale Giulio Hoche, ci proietta nella mente dell’uomo di legge che seguì il caso, avendo trovato la descrizione dei fatti nelle “Memorie di un poliziotto” scritte proprio dal nostro protagonista. Il vestiario del sospettato sembra creare una pista, ma il poliziotto subito riprende l’errore che farebbe una persona poco esperta di caccia al crime: un pardessus chiaro può fornire qualche lume sul sospettato, ma il vero capo prediletto dai manigoldi è la blouse. Sono les blouses ad ammantare i criminali!
Il poliziotto sentiva che il ragionamento filava, le sue tesi sposavano perfettamente l’evidenza empirica, perciò si rasserenò. Fu poi per puro caso che il poliziotto si recò una sera al cinematografo, per svagarsi, ma lo spettacolo proposto lo fece sussultare: veniva ripresa la scena di un uomo che si apprestava a salire sul treno, con il capo coperto da un cappello moscio e la figura ammantata in un pardessus chiaro. L’uomo è chiaramente agitato: si muove da un vagone all’altro, apre un compartimento, scuote il capo, poi quello successivo, e ancora il treno fischia ma l’uomo non sale a bordo, il viso ammorbato dal dispetto. Il treno si muove, s’avvia, infine. La bobina si ferma, le luci si accendono. Il poliziotto ritorna ancora al cinematografo, e ancora viene riproposta la stessa pellicola. Non gli aggrada la compagnia, cerca un vagone in cui restare solo, quello sciocco preferisce piuttosto perdere il treno che unirsi ad altri. Che spasso!
Questi erano i pensieri del nostro poliziotto, che incuriosito dalla scena si recò dal fotografo chiedendo informazioni sulle riprese. Egli apprese così che la scena è stata girata presso la stazione di Versailles, il 20 maggio. Ma no, non poteva essere quell’uomo il colpevole! Indossava un pardessus!
Così il poliziotto si recò presso il capo stazione con una foto del sospettato e ottiene ciò che stava cercando: ulteriori prove a favore della sua tesi. Il capostazione gli rivela, con un sorriso, che il pover’uomo quel giorno si agitava in preda a una forte colica e desiderava partire al più presto. Cercava, in quella tediosa situazione, il vagone dotato di toilette, e fu proprio il capo treno a indicargli quello giusto, in coda al treno. Prima di salire, grato com’era, disse al capo treno che gli avrebbe mandato sue notizie: era infatti niente meno che il procuratore della Repubblica!
Il nostro protagonista riconobbe allora di aver evitato un errore giudiziari. Il “tatto e la prudenza” di un esperto di così lunga data hanno risparmiato all’Ufficio di Pubblica Sicurezza un imbarazzante confronto.
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