Negli ultimi due millenni anche gli insetti hanno avuto la loro parte da protagonisti nei tribunali. A bruchi, cavallette e locuste sono stati riservati in prevalenza processi ecclesiastici, spesso culminati con la sentenza di scomunica.
Se c’è un libro che non finirà mai di stupirci è sicuramente Bestie delinquenti di Carlo D’Addosio! In questo volume, tutto dedicato ai processi agli animali, D’Addosio setaccia con grandissima erudizione i casi storici più incredibili dall’antichità all’età moderna, facendo ironicamente il verso a L’uomo delinquente di Lombroso e guadagnandosi tra l’altro il merito di aver dato vita a una nuova corrente giuridica, quella dei diritti degli animali non umani.
Vi abbiamo già raccontato la storia del cane reazionario e del merlo rivoluzionario. Questa volta, invece, parliamo di insetti. Dovete sapere che, sin da tempi antichissimi, l’Italia fu invasa da ogni genere di insetto, tanto che persino alcuni celebri autori latini, come Plinio e Tacito, espressero viva preoccupazione per l’eccessiva presenza di questi animali sul suolo italiano.
Il primo ci racconta che i bruchi «furono sempre una terribile minaccia per i vigneti d’Italia, e che spesso vennero dalla vicina Africa, dove hanno origine, a devastare le nostre terre». Il secondo, nei suoi Annali, parla di grandi danni risalenti al tempo di Nerone. Fu Livio, però, a raccontare la storia più interessante. Pare, infatti, che a Gneo Pompeo in persona fosse stato affidato il compito di estinguere una «nuvola di locuste, volate per la via del mare col favore del vento nel territorio delle Puglie». I nostri lettori più affezionati forse sanno che non è il primo sciame di locuste di cui parliamo… qualcuno si ricorda di questo articolo sul processo agli insetti dell’abbazia di Segovia nel 1650?
Balzando di nuovo indietro tempo, questa volta al 1562, scopriamo che anche re Filippo II emanò a Napoli la cosiddetta Prammatica de Bruchis, per affrontare questo “flagello” millenario.
Citando un libro intitolato I monitorii, D’Addosio ci racconta che al tempo di Carlo duca di Borgogna ci fu una quantità di locuste tale da causare una carestia in tutto il Mantovano, se non si fosse ricorso a dei processi di scomunica. Nel 1541, poi, arrivarono le cavallette, anch’esse prontamente scomunicate. Nel XVI secolo effettivamente non esistevano le moderne tecniche di disinfestazione, perciò non restava altra scelta che scomunicare. Scomuniche a bruchi, locuste e cavallette come se piovesse.
E non fu nemmeno la prima volta! Infatti, d’Addosio afferma che nell’Anno del Signore 886, dopo l’ennesima devastazione di locuste, «il popolo costernato andò a gittarsi ai piedi del pontefice, pregandolo di voler allontanare gli insetti devastatori».
Inizialmente, il papa pubblicò un editto in cui decretò che chiunque gli avesse portato un sestiere pieno di questi animali avrebbe ricevuto una ricompensa in denaro. Di recipienti ne arrivarono a centinaia, ma le locuste non diminuivano. Allora, «il Santo Padre si vide costretto a emettere una sentenza di scomunica contro le bestie, e a ordinare processioni intorno ai campi». Pare che, poco dopo la conclusione di questi processi, le locuste davvero scomparvero!
Quindi funzionò davvero la potenza del castigo divino? Non esattamente. Nella maggioranza dei casi, infatti, si trattava di insetti dalla vita molto breve, quindi «mentre si discuteva e si passava il tempo nel fare processioni, aspersioni d’acqua benedetta ecc., avveniva che gli insetti perivano da soli».
A volte, però, gli insetti non se ne andavano per anni. In merito a ciò, l’autore – ce lo immaginiamo sghignazzare tra sé e sé – afferma: «io non so che cosa dovesse pensare il popolo quando, scagliata la sentenza di scomunica, i bruchi se ne restavano tranquillamente nei terreni invasi, senza darsi pensiero delle folgori ecclesiastiche».
Ancora più esilarante è la storia raccontata dal benedettino Leonardo Vairo, che nel suo Trattato sulla Fascinazione racconta che, nel reame di Napoli, quando gli insetti devastavano i campi il popolo eleggeva un giudice e due procuratori. Di questi ultimi, il primo doveva prendere le difese degli abitanti, mentre il secondo quelle degli insetti. Si istituiva, poi, una sorta di processo: il procuratore del popolo doveva cercare di convincere quello degli insetti a “sgomberare” i campi, mentre l’altro asseriva tutte le ragioni per cui gli animali avrebbero dovuto restare.
A Vercelli, in un tempo non ben precisato, i tribunali ecclesiastici e quelli civili arrivarono persino a contendersi un processo ad alcuni bruchi che avevano infestato le viti della parrocchia.
In tempi più recenti, in consonanza con la “nuova epoca del progresso” si preferì benedire i campi piuttosto che scomunicare gli animali.
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