25 maggio 1992 – Scalfaro eletto Presidente della Repubblica
Oscar Luigi Scalfaro venne eletto Presidente della Repubblica il 25 maggio 1992, al settimo scrutinio con 672 su 1002 voti grazie a un accordo di centro-sinistra (Dc-PDS-PSI-PSDI-PLI) più i neonati Verdi e la lista Pannella. La sua elezione scaturì, però, analogamente a quella che vide salire al Quirinale nel 1978 Sandro Pertini,
“[…] dai mille chili di tritolo su cui era saltato Falcone, piuttosto che dai mille grandi elettori”
così come affermato da Indro Montanelli nella sua “Storia d’Italia”. In effetti, l’elezione del successore di Francesco Cossiga avvenne sotto il segno dalle prime movenze del pool Mani Pulite di Milano e dell’omicidio Falcone: fu proprio questo episodio a rompere lo stallo politico che si creò in Parlamento con la Dc indecisa se proseguire con la candidatura Forlani, stretta dai franchi tiratori della corrente andreottiana. Il clima di tumulto per l’ennesima situazione drammatica portò rapidamente i partiti a convergere sull’allora Presidente della Camera, Scalfaro.
Ex magistrato, membro dell’Assemblea costituente per la Democrazia cristiana (ma proveniente dall’Azione Cattolica) ed esponente di spicco della corrente centrista su posizioni rigorosamente anticomuniste, Scalfaro si guadagnò nel corso della sua lunga carriera politica ed istituzionale la fama di uomo rigoroso e di “cattolico intransigente” (cit. Mammarella-Cacace). Soprattutto su quest’ultima qualifica il gossip istituzionale ricamò molto su un episodio avvenuto il 20 luglio 1950 nel noto “caso del prendisole”, dove gli venne imputato di aver aspramente apostrofato in pubblico in un ristorante della Capitale la signora Edith Mingoni in Toussan, per il suo abbigliamento che mostrava le spalle scoperte. La vicenda degnerò presto culminando in una querela e in una sfida a duello da parte del padre della Signora (un Colonello dell’Aeronautica militare): sfida rifiutata da Scalfaro ed oggetto di censura e attacchi di viltà anche dal Principe della risata, Totò, con una lettera poi pubblicata sull’Avanti!.
Ma la sua storia istituzionale venne, comunque, premiata per l’indipendenza di giudizio mostrata nei vari incarichi di governo agli Interni, Trasporti, Istruzione e nel rigore mostrato come Presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sul terremoto dell’Irpinia nel 1980. Questa fama di algido uomo delle istituzioni lo accompagnò, infine, anche durante il suo settennato quirinalizio e determinò un fondamentale contributo alla prassi costituzionale del Capo dello Stato. Un primo episodio fu la nomina del primo Governo a conduzione tecnica della storia d’Italia, guidato dal suo futuro successore Carlo Azeglio Ciampi, per traghettare l’Italia fuori dal rischio default economico, che determinò la momentanea uscita della lira dal Sistema Monetario Europeo. La scelta ricadde sull’allora Governatore della Banca d’Italia, Ciampi, che portò avanti un processo di risanamento economico-finanziario molto duro di lì ad un anno. Nel 1994, all’alba dell’epopea Berlusconi, Scalfaro si rese protagonista di due importanti momenti di scontro istituzionale a scapito dell’emergente Cavaliere. Il primo momento riguardò l’atto di nomina del primo esecutivo Berlusconi, il quale incassò il rifiuto di Scalfaro di nominare Ministro della Giustizia Cesare Previti, uno dei legali del Cavaliere: fu un primo caso conclamato e riscontrato di rifiuto espresso di procedere alla nomina di una personalità indicata dal Presidente del Consiglio incaricato. Il secondo passò agli annali come il cd. “ribaltone”, vale a dire la decisione di non sciogliere le Camere nel dicembre 1994 a seguito della caduta del Governo Berlusconi I, vittorioso alle elezioni pochi mesi prima grazie al sistema prevalentemente maggioritario previsto della legge Mattarella. Scalfaro optò per un’interpretazione formalmente e sostanzialmente presidenziale del potere di scioglimento, da effettuarsi solo in extrema ratio e nell’impossibilità di creare un nuovo Governo, creando un importante precedente nell’interpretazione costituzionale di questa importante prerogativa presidenziale.
I commentatori e cronisti istituzionali hanno scritto molto sul perché di questa sua durezza d’animo. Forse le radici possono rinvenirsi in un episodio drammatico, ma giuridicamente emblematico dell’eterno dilemma sofocleo sulla giustizia del Νόμος terreno. Ancora magistrato rispose alla chiamata straordinaria dell’allora Ministro della Giustizia Togliatti per far parte delle Corti d’Assise straordinarie per i crimini di collaborazionismo, istituite con il d.d.l. del 22 aprile 1945, n. 142 dal Governo Bonomi. Durante un processo di appello nel 1945 contro il repubblichino Salvatore Zurlo, Scalfaro in qualità di Pubblico Ministero chiese la pena di morte, mantenuta in vigore nell’art. 21 del Codice Rocco solamente per i reati di collaborazionismo in base al d.l.l. 27 luglio 1944, n. 159. La condanna in appello accolse la richiesta di pena capitale di Scalfaro, ma egli stesso, come avrebbe testimoniato anni dopo (ammettendo che l’episodio avrebbe di lì compromesso la sua presenza in magistratura) suggerì allo stesso Zurlo di ricorrere in Cassazione e di chiedere la grazia. La Cassazione commutò la pena in trent’anni di carcere e Zurlo beneficiò successivamente dell’amnistia Togliatti del 22 giugno 1946. Alcune cronache riferiscono della richiesta di pena di morte (poi eseguita) verso l’ex Prefetto di Novara, Vezzalini, ed altri coimputati: sul punto vi sono voci contrastanti e lo stesso Scalfaro negò il suo coinvolgimento giudiziario in vicende conclusesi con l’esecuzione della pena capitale da lui richiesta.
Nonostante l’abbondono della toga, vi sono testimonianze dell’impegno di Scalfaro in Assemblea costituente per l’abolizione della pena di morte nei dibattiti per l’approvazione delle norme sulla repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. Così come per la completa eliminazione della pena capitale nell’ordinamento italiano grazie all’approvazione dell’art.1 della L. 13 gennaio 1994 n.589, che abolì la pena anche per i delitti previsti dal Codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra: la firma per la promulga in calce a quella legge porta il nome di Oscar Luigi Scalfaro.