La Vigilia di Natale del 1971 regalò – con lieve anticipo rispetto al giorno della natività – il successore di Giuseppe Saragat: Giovanni Leone. L’elezione fu la più lunga e travagliata della storia repubblicana, arrivando al ventitreesimo scrutinio utile. Gli scrutini partirono, infatti, l’8 dicembre 1971 con la Dc inizialmente convergente su Amintore Fanfani, ma non tenne, però, conto della decisione del blocco social-comunista di logorare il partito di maggioranza relativa, misurando la tenuta delle candidature di Francesco De Martino e poi di Pietro Nenni raccogliendo un buon margine di voti (sui 400 in media). Dopo alcuni scrutini di astensione della Dc e di dialogo serrato con la sinistra per un eventuale accordo su Aldo Moro, la Dc decise di rompere lo stallo sul nome di Giovanni Leone, già Presidente della Camera e già Presidente del Consiglio nei due governi cd. “balneari” del 1963 e del 1968 (Leone tentò già l’assalto al Quirinale, ma venne sconfitto nelle elezioni precedenti che portarono Saragat alla Presidenza della Repubblica). Il 23 dicembre al ventiduesimo scrutinio Leone si arrestò a quota 503 voti, uno meno del quorum della maggioranza assoluta del Parlamento in seduta comune: l’imminente elezione arrivò, infatti, il 24 dicembre con 518 voti utili grazie al blocco centrista (Dc, Pri) e i contributi decisivi dei social democratici e del Msi.
Il commento di Vittorio Gorresio sull’editoriale sul Corriere della Sera all’indomani dell’elezione e nel suo volume intitolato, “Il Sesto Presidente” (v. p.392-1972), fu molto favorevole, definendo Leone come un “[…] jolly di riserva, la carta buona da cavare dalla manica nei momenti difficili […]”. In effetti, la fama di Leone al momento dell’elezione rimase quella dell’abile pacificatore e mediatore neutrale entro le correnti Dc, grazie alla sua “fama” di stimato giurista della scuola partenopea.
Avvocato penalista (per un periodo collaborò presso lo studio di Enrico De Nicola a Napoli), ordinario di procedura penale, venne eletto in Costituente nelle file della Dc, lavorando alla scrittura dell’articolato sulla magistratura e la Corte costituzionale nella Commissione per la Costituzione e nella Seconda Sottocommissione (che si occupò della redazione del testo sulla Parte II in merito all’assetto istituzionale della Repubblica). Come accennato, la sua esperienza forense e accademica si rifletté in politica concedendogli la possibilità di destreggiarsi in maniera super partes entro le varie correnti Dc e di ricevere numerosi endorsement come Presidente della Camera dei deputati, dove rimarrà ininterrottamente dal 1955 al 1963. La sua oratoria e per le spiccate doti di intermediazione politica e di conduzione dei lavori dell’Assemblea lo avrebbero portato, poi, per ben due volte a Palazzo Chigi a capo dei due governi balneari di decantazione e di raffreddamento delle tensioni politiche nel centro-sinistra per la gestione delle elezioni e per le ricuciture dei rapporti nella coalizione.
Tutti i buoni presupposti e pronostici vennero, però, in parte smentiti durante il settennato quirinalizio. Al giorno d’oggi è ancora complessa e controversa l’interpretazione sia politica che giuridico-costituzionale di Leone al Quirinale. Il contesto politico-istituzionale giocò, probabilmente, un ruolo chiave. Leone fu Capo di Stato tra il 1971 e il 1978 assistendo dal Palazzo del Quirinale alla maggior parte dei fatti più sanguinosi di quegli anni: le bombe sul treno Italicus e in Piazza della Loggia, gli omicidi Feltrinelli, Calabresi in una crescente escalation sino al sequestro e delitto Moro da parte delle Brigate Rosse (oltre che lo stress economico dell’area occidentale a causa della crisi petrolifera). Il Presidente registrò, poi, la non sufficienza del centro-sinistra senza un allargamento con il Pci e il tentativo del cd. “compromesso storico”. Tutti fattori che contribuirono ad accrescere l’alta tensione attorno alle istituzioni, inducendo Leone ad assumere nell’esercizio delle proprie prerogative costituzionali un atteggiamento estremamente prudente, non interventista e nel rispetto ossequioso dei partiti dell’arco costituzionale. Ad esempio, nei due scioglimenti anticipati delle Camere (1972 e 1976) Leone non interferì nel merito, lasciando ai partiti la decisione sul fine legislatura e cercando, solamente, la maggior convergenza possibile di tutto l’arco parlamentare sulle sorti del mandato delle Camere. L’atteggiamento prudente attirò, comunque, molte critiche da parte delle opposizioni visto lo slittamento del referendum sul divorzio a causa dello scioglimento anticipato del 1972 o come, sempre nel 1972, la nomina di un monocolore Dc, guidato da Andreotti, per la gestione degli affari correnti pre-elezioni, attirando molte critiche anche da parte della dottrina costituzionalistica.
In generale, questo approccio molto prudente e attento non tenne, però, al riparo il Presidente dalla tensione economica, politica e sociale degli anni Settanta. Se, da un lato, il gossip sulla vita familiare (in particolare sulla moglie, Vittoria Michitto, e sull’ampia schiera di familiari e amici invitati durante le sue visite istituzionali all’estero) e le gaffe (come il noto gesto scaramantico delle corna rivolto agli studenti dell’Università di Pisa che lo contestarono con il cartello “Morte a Leone!”) resero l’immagine del Presidente sempre più sovra-esposta e vulnerabile, d’altro lato, un colpo decisivo fu assestato dallo scandalo Lockeed.
Lo scandalo riguardò l’acquisto da parte del Ministero della Difesa di aerei da trasporto, modello C-130 H Hercules (di cui uno di questi causò il noto incidente aereo del Monte Serra nel 1977 dove morirono 44 persone), prodotti dall’azienda statunitense Lockeed: l’accusa per l’azienda fu quella di aver corrotto politici e funzionari di varie nazioni affinché venisse favorita nelle gare d’appalto per la fornitura. Lo scandalo portò all’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta e dalla condanna da parte della Corte costituzionale (ex l. n.20 del 1962) verso alcuni alti esponenti politici e militari. Leone si potrebbe dire che fu colpito per ironia della sorte, da un’antilope: Antelope Cobbler. Questo fu il nome in codice del contatto istituzionale, risultante dalle indagini giornalistiche e giudiziarie coordinate tra Stati Uniti e Italia, della Lockeed in Italia che avrebbe gestito i rapporti tra la politica e l’azienda nel giro delle tangenti. Tra i sospettati si andò a ricercare i tre Presidenti del Consiglio al tempo delle tangenti: Moro, Rumor e Leone. In base all’amicizia stretta che legò Leone ad alcuni dei principali indagati, come il Ministro Mario Tanassi e gli avvocati Lefebvre, egli venne sospettato di essere l’”antilope” del caso: il suo atteggiamento molto remissivo e prudente anche verso questi sospetti ebbe, quasi, l’effetto boomerang di aumentare l’alone di sospetto e di ambiguità della persona del Presidente intorno allo scandalo – alcune cronache istituzionali riferirono di interviste difensive rilasciate dal Presidente e mai pubblicate anche grazie al mancato sostegno della Dc (v. Mammarella-Cacace, il Quirinale, 2011, p.168). Infatti, le accuse vennero irrobustite dai Radicali Italiani (Marco Pannella ed Emma Bonino avrebbero vent’anni dopo inviato una lettera di scuse a Leone), dalle inchieste dell’Espresso e dalla giornalista Camilla Cederna nel suo libro: “Giovanni Leone: la carriera di un Presidente”.
I sospetti di coinvolgimento di Leone si rivelarono infondati (la Cederna e l’Espresso avrebbero poi ricevuto una condanna per diffamazione, originata da rispettive querele dei figli di Leone) in quanto sia la magistratura e sia la commissione parlamentare d’inchiesta non procedettero nei confronti del Presidente. L’assassinio Moro e il clima di delegittimazione creatosi intorno al Presidente portarono la Dc stessa ad isolarlo e a non coprire politicamente la sua immagine. Il 15 giugno 1978 Leone rassegnò le sue dimissioni in un clima per lui politicamente inaccettabile. Il picco della tensione socio-politica e l’onta di un Leone mangiato da un’antilope silurarono il Presidente, costringendolo ad attendere vent’anni circa per ricevere le prime scuse e il risanamento della sua immagine politica.