Alessandro Pertini, detto Sandro, divenne Capo dello Stato solamente allo scrutinio numero 16 ma con il favore di quasi tutto il consesso parlamentare: 832 voti su 995 votanti. L’elezione fu particolarmente travagliata a causa, da un lato, del recente assassinio di Aldo Moro e, sotto un altro versante, per la tumultuosa ondata di scandali (la vicenda Lockeed in particolar modo) che silurarono la legittimazione del Presidente della Repubblica uscente, Giovanni Leone. Ragion per cui, il Parlamento in seduta comune dovette prendersi molto tempo nello studiare un profilo che potesse garantire un equilibrio politico-istituzionale all’interno delle istituzioni e che potesse rappresentare un amalgama del tessuto politico e sociale del Paese.
Il profilo del socialista Pertini emerse subito nell’immaginario collettivo del Parlamento, ma venne osteggiato dal fuoco “amico” del suo stesso segretario, Bettino Craxi, il quale, malgrado puntasse a portare un socialista al Quirinale, in modo da gettare così le basi per nuove formule di centrosinistra, avrebbe preferito una personalità meno vulcanica (noti furono gli scontri tra loro durante il sequestro Moro con Pertini sulla linea dura nel non trattare e Craxi, invece, favorevole a patti con i brigatisti). I nomi che circolarono dal Psi furono, infatti, quelli di Antonio Giolitti, Giuliano Vassalli e Norberto Bobbio, mentre Dc e Pci rimasero allineati verso Ugo La Malfa: lo stesso La Malfa col passare degli scrutini e dei nomi bruciati (incluso il suo, bloccato da Craxi) riuscì ad aggirare lo stesso segretario socialista convincendo il Pci a virare su Pertini. La mossa prese di sorpresa il segretario Psi, il quale vide anche la Dc convergere per rimanere allineata ai propositi di solidarietà nazionale con il Pci (per lasciare poi così al Quirinale un “nemico” di Craxi).
Ligure, laureato in Giurisprudenza all’Università di Modena e in Scienze Politiche a Firenze, nel Partito socialista italiano sin dal primo Dopoguerra ed esponente della primissima ora della lotta antifascista, aderì al Partito Socialista Unitario di Turati all’indomani dell’assassinio di Giacomo Matteotti. Entrò, infatti, in contatto intorno al 1925 con Turati e i fratelli Rosselli e venne arrestato e condannato per la prima volta su un successivo totale di sei condanne e successive due evasioni durante il regime fascista e la Resistenza. Pertini dovette, inoltre, espatriare in Francia facendo molti lavori umili, come il “laveur de taxi” e il carpentiere, ma venne anche confinato al suo rientro in Italia. Ma fu la sua partecipazione attiva in episodio di guerriglia a dargli la fama di bestia nera delle forze fascista: in particolare, la prigionia dopo la difesa di Roma con un suo futuro predecessore al Quirinale, Saragat, nel carcere di Regina Coeli a Roma nel 1944, la stessa difesa di Roma nella battaglia di Porta San Paolo del 10 settembre 1943, le fughe in paracadute grazie all’aviazione alleata e il ruolo determinante nell’insurrezione di Milano e nell’esecuzione di Mussolini (egli fu infatti membro della Giunta rivoluzionaria militare in seno al CLN). Un episodio sicuramente descriverebbe con grande accuratezza il carattere duro ma orgoglioso del Presidente-partigiano. Durante il suo confino nell’isola di Pianosa al rientro dalla Francia, Pertini seppe della domanda di grazia in suo favore fatta dalla madre direttamente a Mussolini, ma il futuro Presidente chiese al Presidente del Tribunale speciale, che lo condannò al confino, di non prendere in considerazione la richiesta.
Con l’avvento della Repubblica nel secondo Dopoguerra, egli sedette nell’Assemblea costituente, osteggiò in quella sede l’amnistia Togliatti e si adoperò affinché il blocco social-comunista rimanesse compatto non evitando, però, la scissione di Palazzo Barberini. Ma il contributo politico-istituzionale maggiore, che pose solide fondamenta m alla sua salita al Quirinale, fu la Presidenza della Camera, assunta ininterrottamente dal 1968 al 1976 dopo aver ricoperto la carica di Vicepresidente. Con Pertini si ebbe un importante contributo alla riforma storica dei regolamenti parlamentari di ambo le Camere, avutasi nel 1971. Con la riforma e con la sua conduzione dei lavori parlamentari nell’arco degli otto anni di Presidenza Pertini contribuì a rendere il Parlamento nella sua organizzazione e funzionamento in linea con lo stato dell’arte del sistema politico: valorizzazione del parlamentare non solo come singolo ma all’interno del “gruppo politico” di appartenenza, maggiore enfasi su poteri ispettivi delle commissioni parlamentari e una maggiore apertura del Parlamento verso la società civile (cit. Gianniti-Lupo). In particolare, le lunghe Presidenze Pertini gestirono i lavori del Parlamento dando ampi spazi alle opposizioni senza dare spazio a momenti di ostruzionismo e favorendo l’instaurarsi di convenzioni costituzionali all’interno delle commissioni e dell’assemblea per una maggiore leale collaborazione tra maggioranza e opposizione.
La prassi da Capo dello Stato di Pertini costrinse la dottrina costituzionalistica ad interrogarsi su nuovi orizzonti di potere per il Presidente della Repubblica. Proprio per il suo forte temperamento, l’altissimo numero di esternazioni, di viaggi all’estero e per l’aver costruito entro il Quirinale la nuova “casa degli italiani”, su due punti la letteratura costituzionalistica si è interrogata: 1. La nascita di una sorta di potere comunicativo; 2. L’affermazione concreta del ruolo di rappresentanza dell’unità nazionale ex art.87, comma 1 della Costituzione.
La grande popolarità del Presidente unita al suo carisma portò la dottrina ad interrogarsi sulle potenzialità e sui limiti dell’ampio uso delle esternazioni presidenziali: emersero molte riflessioni, ancora oggi riprese e ricalibrate, che sancirono l’attribuzione al Capo dello Stato di un “atipico” (nel senso di non tipizzato in Costituzione) potere di comunicazione con le forze politiche e la società civile. Questo potere atipico sarebbe stato indirizzato e legato al secondo punto citato, quello della rappresentanza dell’unità nazionale, che da formula meramente simbolica si carica di contenuti concreti e aventi l’obiettivo di compattare l’arco costituzionale dei partiti, di dare impulso all’azione politica, ma altresì a rendere il Quirinale un simbolo di unità e di vicinanza politica per tutte le componenti della Repubblica, dai partiti alla società civile. A riprova di tutto ciò, si possono allegare le scelte del Presidente sulla sua vita quotidiana come quella di non vivere al Quirinale, ma di mantenere come residenza la sua casa presso Fontana di Trevi assieme alla moglie Carla Voltolina (anche lei ex partigiana), la necessità di rimanere aggiornato costantemente su ogni fatto di cronaca e non (esultanza alla finale dei mondiali di calcio del 1982 in Spagna o la veglia al capezzale di Alfredino Rampi, il bambino caduto in un pozzo artesiano nel 1981) e le consistenti iniziative volte a favorire il dialogo tra i partiti e la prevenzione di spaccature nel delicato periodo di passaggio dalla formula della solidarietà nazionale sino alla nascita del Pentapartito.
Al termine del settennato nel 1985 l’eredità di Pertini avrebbe rappresentato un lascito troppo pesante per il successore Cossiga (di cui abbiamo parlato), ma, costituì probabilmente, un punto di non ritorno per la posizione costituzionale del Presidente della Repubblica.