Antonio Segni salì al Quirinale il 6 maggio 1962 soltanto al nono scrutinio, dopo che all’ottavo era mancato il quorum di 428 preferenze della maggioranza assoluta dei componenti del Parlamento in seduta comune per soli quattro voti. Al nono scrutinio conquistò 443 preferenze che gli valsero l’elezione a primo cittadino italiano.
Un’investitura frutto di una gestazione estremamente complessa, non solo in quanto venne raggiunta dopo cinque giorni di votazioni, ma perché rappresentò un crocevia molto delicato per i futuri piani politici della Dc.
Infatti, il partito di maggioranza relativa vide in quell’anno il sopravvento della corrente morotea con Aldo Moro e Fanfani a guidare un nuovo corso, fatto di governi di coalizione di centro-sinistra assieme al Psi. La scelta creò, come facilmente pronosticabile, molti malumori all’interno dell’area conservatrice, di cui Segni fu uno dei leader più in vista, così come per gli USA e per il Vaticano: quest’ultimo, come raccontano Mammarella e Cacace, lavorò a stretto contatto con Fanfani per il tramite del Segretario di Stato vaticano, Giovan Battista Montini, (futuro Papa Paolo VI) in modo da cercare la quadra sul nome di Segni. Moro, cercando di mantenere intatta la sua leadership, cercò di mediare proponendo Segni al Quirinale come contropartita, ma vi furono ostruzionismi di vario genere a partire dalle sinistre che votarono inizialmente compatte per Saragat e per i non morotei spaccati su Gronchi, deciso a ottenere la conferma ma mai vicino ad una soglia alta di voti, e Merzagora.
L’affermazione del sassarese Antonio Segni come giurista di fama nazionale iniziò dopo la laurea in giurisprudenza nel 1913 come avvocato e docente universitario in procedura civile (allievo di Giuseppe Chiovenda) presso le Università di Perugia, Cagliari, Pavia, Roma e Sassari, dove ne fu anche Rettore. Fu già negli anni Venti nella direzione nazionale del Partito Popolare Italiano, ma soprattutto fu tra i fondatori della Democrazia cristiana nel 1942 e deputato della stessa Dc in Assemblea costituente, iniziando, poi, con i Governi De Gasperi a costruire la sua carriera politica con numerosi incarichi di governo.
La sua attività di governo ne mostrò la personalità politica estremamente decisa con un retroterra conservatore ma spinto in molte occasione da uno spirito riformista.
Il mondo dell’Agricoltura, da sempre nel sangue in quanto figlio di grandi proprietari terrieri, lo vide prima di tutto come grande esperto dal punto di vista giuridico e personale, poiché egli fu, da un lato, discendente di una famiglia di grandi proprietari terrieri, ma sotto un altro versante, potenziò la sua conoscenza del settore sul piano tecnico (avrebbe ottenuto poi ottenuto la laurea honoris causa in Scienze Agrarie presso l’Università Georgetown di Washington). Questo grande bagaglio gli consentì di guidare questo specifico dicastero per ben cinque anni dal 1946 al 1951, in cui portò a termine (usando parte dei finanziamenti del Piano Marshall) la cd. “Legge Stralcio” di riforma del settore, l. n.841 del 1950. Questa riforma agraria, che portò alla lottizzazione dei latifondi e a una prima redistribuzione agli agricoltori, ora denominati come piccoli-medi imprenditori agricoli, gli diede l’appellativo di “bolscevico bianco” (paradossale se si pensa alla grande avversità di Segni verso il blocco social-comunista).
Dopo aver diretto la Pubblica Istruzione, arrivò la prima chiamata da Presidente del Consiglio nel 1955 da parte dell’allora Presidente Gronchi a seguito della caduta di Scelba. Questo esecutivo venne definito da molti come un governo di “mediazione” delle varie anime della Dc, che in quel periodo era ancora alla ricerca di una quadra entro la formula centrista quadripartitiche e nel il dialogo con il Psiup e Psi.
La prima esperienza durò quasi due anni fino al 1957, mentre nel 1959 venne richiamato sempre da Gronchi per un nuovo governo di decantazione politica che rimase in carica per un anno fino al 1960.
Malgrado la necessità del suo nome come punto di incontro delle anime conservatrici e riformiste della Dc, durante il suo primo Esecutivo riuscì a fregiarsi di aver contribuito a sbloccare il grave impasse sull’insediamento della Corte costituzionale nel dicembre del 1955.
L’insediamento al Quirinale (dopo un’esperienza anche da Ministro degli Esteri che assieme all’impegno da Premier nella firma dei Trattati di Roma del 1957 gli sarebbe valso il Premio Europa “Carlo Magno”) durò solamente due anni fino all’attacco di trombosi cerebrale che lo costrinse alle dimissioni nel 1964 (v. la vicenda di Segni e del Piano Solo). Ma nel breve lasso di tempo la sua prassi diede un contributo significativo al modellamento costituzionale della prima carica dello Stato. In particolare, Segni potenziò molto il potere di rinvio delle leggi, riuscendo a rinviare ben otto volte (considerando solo due anni di mandato) e evidenziando come il Presidente abbia un ruolo cruciale nel controllo della copertura finanziaria delle leggi e degli atti aventi forza; un elemento che avrebbe poi influenzato la prassi di molti suoi successori fu l’impiego del suo Segretariato Generale nel dialogare direttamente con le strutture tecniche ministeriali e parlamentari in modo da prevenire possibili criticità e successivi momenti di rinvio. Così come nell’ambito della politica estera Segni fu particolarmente attivo, non seguendo pedissequamente l’esempio estremo di Gronchi, ma lavorando in moral suasion per rafforzare la coesione italiana entro il patto atlantico e nel processo di integrazione europea.
Il triste epilogo del suo mandato venne a posteriori considerato come pronosticabile quanto meno nelle ragioni più che, chiaramente, nell’evento in sé. Infatti, già con il suo insediamento nel 1962 i primi rallentamenti del boom economico e la nascita dei primi movimenti di rivendicazione e lotta sociale fecero presagire tensioni interne ed esterne che avrebbero messo a dura prova la sicurezza dello Stato. Il Piano Solo contribuì a far scoccare la miccia della bomba sociale sessantottina e inaugurò la stagione degli Anni di Piombo.
Sul punto si segnala come il recentissimo libro del figlio Mario Segni, intitolato Il colpo di Stato del 1964: la madre di tutte le fake news (Rubbettino editore), potrebbe raccontare qualcosa di nuovo sugli avvenimenti di quei giorni e sulla campagna giornalistica scatenata dall’Espresso di Eugenio Scalfari nei confronti di Antonio Segni e sul suo presunto coinvolgimento con il Piano Solo e con il Generale De Lorenzo.