Persino l’apocalisse finale di Don’t Look Up non fa togliere al giurista gli occhiali che lo portano a domandarsi: ma la cometa a chi appartiene? Guardiamo cosa dicono il diritto spaziale, il diritto del mare e il diritto di Stati Uniti, India, Giappone, Danimarca e Italia.
Don’t Look Up è il film del momento. Io non l’ho visto e quindi mi sento in diritto di parlarne.
Mi sono in realtà posto un quesito. Ipotizziamo che una cometa arrivi davvero, e che si schianti sulla terra, e ipotizziamo pure che per non si sa quale miracolo non faccia danni. A quel punto la questione è semplice: di chi è la cometa? Chi ne sarebbe il proprietario? Ci dovrà essere una legge in proposito. E infatti, siccome il diritto è infinito e niente è mai lasciato al caso, c’è.
Di diritto spaziale abbiamo già parlato. Ci ritorniamo ora a proposito della proprietà e lo sfruttamento della cometa quando questa si trova ancora nello spazio. La materia è inserita nel Trattato sui principi che governano le attività degli Stati nell’esplorazione e nell’uso dello spazio esterno, inclusa la Luna e altri corpi celesti del 1967, che attualmente conta 110 Stati parti, e afferma, sin dal primo paragrafo dell’articolo 1, che l’esplorazione e l’utilizzazione dello spazio esterno devono essere condotte per il bene e nell’interesse di tutti i paesi, indipendentemente dal livello del loro sviluppo economico o scientifico, dal momento che il cosmo, la Luna e gli altri corpi celesti “sono territorio di tutta l’umanità”. Questo Trattato afferma anche come lo spazio esterno debba essere liberamente esplorato e utilizzato da tutti gli Stati e come non deve mai essere oggetto di occupazione o appropriazione esclusiva attraverso rivendicazioni di sovranità.
A riguardo, però, Stati Uniti e Lussemburgo hanno obbiettato che l’estrazione mineraria nello spazio è una cosa ben diversa da una “occupazione o rivendicazione di sovranità”, attuando una analogia con quanto dispone la Convenzione di Montego Bay riguardo all’alto mare. E quindi abbiamo una legge del Lussemburgo del 2017 che riconosce alle aziende private il possesso delle risorse che trovano nello spazio, come i minerali contenuti negli asteroidi, e troviamo negli Stati Uniti il Commercial Space Launch Competitiveness Act, firmato dal presidente Obama nel 2015. Secondo questa legge, gli Stati Uniti non solo autorizzano attività di estrazione spaziale privata, ma riconoscono anche il diritto di aziende private registrate nel loro territorio di appropriarsi e utilizzare a fini commerciali le risorse ottenute nello spazio. Queste due normative hanno trovato l’opposizione di Belgio e Russia.
Facciamo però il passo oltre, cosa succede dopo che la cometa si è schiantata sulla terra? Dipende.
La menzionata Convenzione di Montego Bay ci dà la risposta nel caso che essa impatti sull’Oceano: se cade in alto mare è considerata res communis omnium e può essere sfruttata da chiunque; se però cade entro la piattaforma continentale che si protende nelle acque dalla costa di uno Stato, è questo che ne ha il monopolio dell’estrazione mineraria.
Nel caso, invece, in cui la cometa si schiantasse sulla terraferma, ogni Stato ha le sue leggi particolari in proposito. Negli Stati Uniti, se cadesse su suolo privato allora sarebbe del proprietario di quel suolo, se cadesse su suolo statale sarebbe dello Stato, se su suolo federale del Dipartimento dell’Interno del governo federale. Il suolo federale però è circa un terzo di tutto il territorio degli USA e numerosi Stati del West lo sono quasi interamente, con tutti quelli che ci vivono che hanno il titolo di semplici locatori, non si tratta dunque di una ipotesi residuale. La giurisprudenza però ha ritenuto che un meteorite caduto su suolo federale fosse del governo centrale in quanto non contenente “minerale di valore”: sappiamo però che non è il caso della nostra cometa, quindi si può applicare il General Mining Act del 1872 il quale consente a chi scopre un giacimento minerario su una terreno pubblico di ottenere il monopolio del suo sfruttamento dietro il pagamento di una cifra risibile, in quanto dall’entrata in vigore della legge non è mai stata adeguata all’inflazione.
Guardiamo ad altri Stati del mondo.
In India la cometa sarebbe dell’agenzia del Geological Survey, senza compensazione, sulla base di una risoluzione del governo coloniale inglese del 1885.
In Giappone, chi la trova ne ottiene la proprietà secondo il codice civile.
In Danimarca, invece, chi la trova deve cederla allo Stato, che ne paga il valore di mercato.
Se cadesse in Antartide invece sarebbe un gran mal di testa capire di chi sia, ma comunque la questione sarebbe irrilevante perché il Protocollo di Madrid entrato in vigore nel 1998 vieta ogni sfruttamento minerario sul continente fino al 2038. Ci si penserà poi.
E se la cometa cadesse su suolo italiano?
Provenendo dal cielo ed essendo di nessuno, cadendo in Italia su un terreno basta che il proprietario di questo la dichiari sua (articolo 923 codice civile). Ci può comunque essere il caso che la Sovrintendenza dichiari cometa e impatto come di “interesse storico” e in tal caso ogni cosa passerebbe allo Stato. Questa è la normativa generale, ma noi sappiamo che la cometa suscita forti interessi per la sua componente mineraria. In tal caso il Regio Decreto 29 luglio 1927, n. 1443 (noto anche come Legge Mineraria) prevede che la proprietà del fondo non si estenda al sottosuolo, che apparterrà allo Stato. Questo rilascerà concessione temporanea per lo sfruttamento minerario a un soggetto che dimostri idoneità tecnica ed economica allo scopo. Il titolare del fondo la prenderà in tasca avendo diritto solo a un indennizzo per l’incomodo di avergli scavato una miniera sulla sua proprietà.
Probabilmente, comunque, non avrà modo di godersi nemmeno quei pochi soldi perché sarà morto come tutti per l’impatto della cometa.
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