Le neuroscienze ci hanno confermato una cosa che sapevamo da millenni: abbiamo bisogno di storie. Non solo perché sono avvincenti, ma perché sono il modello con cui il nostro cervello mette ordine nella realtà. Per questo anche l’avvocato deve fare dello storytelling parte del suo mestiere. E un’altra buona parte consiste nel design: perché anche la forma è portatrice di significato.
Gli studiosi di neuroscienze hanno di recente evidenziato che il cervello umano lavora principalmente costruendo narrazioni: il cervello elabora, attraverso gli impulsi che riceve dai sensi, un modello narrativo che diventa la tua realtà.
Il cervello infatti ha bisogno di mettere ordine alle tue esperienze e per farlo ricorre a una struttura di senso di tipo narrativo: la marea di fatti disparati della tua vita è sistematizzata in un vero e proprio racconto, del quale tu sei il primo destinatario. Questa la ragione – ipotizzano i neuroscienziati – per la quale gli uomini sono da sempre attratti dalle narrazioni. E le narrazioni hanno sempre una struttura ben definita.
I tratti salienti di questa struttura sono stati esemplificati da Joseph Campbell nel libro L’eroe dai mille volti secondo la formula, poi ampiamente diffusa in narratologia, del “viaggio dell’eroe”. Lo schema è questo: il protagonista (l’eroe) si allontana dal suo contesto d’origine (mondo ordinario) a seguito di un evento che ne rompe l’equilibrio (chiamata all’avventura). Questo evento spinge l’eroe ad affrontare alcune prove; a relazionarsi con antagonisti e coprotagonisti della sua vicenda; a ripristinare un nuovo equilibrio in un mondo ordinario, ormai mutato per sempre.
Questa struttura archetipica, ovviamente, non è riprodotta in modo identico in tutte le storie ma quasi tutte le storie portano tracce di questo DNA, rispetto al quale sviluppano varianti più o meno complesse.
Sia le storie elaborate dal nostro cervello, sia le storie narrate da altri per il nostro cervello ruotano attorno a un perno che è la presenza di una domanda; mostrano una sequenza di eventi che potrebbero rispondere in modo plausibile a quella domanda; solleticano la curiosità dell’ascoltatore per mantenere alta l’attenzione ma soprattutto per determinare la sua adesione al significato che la storia vorrebbe veicolare.
L’idea su cui ti propongo di riflettere è che gli avvocati siano dei narratori e che l’essenza della loro professionalità consista anche nella capacità di raccontare storie in modo persuasivo.
La crisi di cooperazione che genera un potenziale contenzioso è il frutto di un evento di rottura del mondo ordinario in cui si svolgevano le esistenze dei protagonisti e, esattamente come avviene secondo la formula del “viaggio dell’eroe”, la crisi di cooperazione altera l’equilibrio del mondo normale e chiama all’avventura. I protagonisti dovranno agire per ricomporre la frattura e restituire alle rispettive vite quella ordinarietà che risulterà, però, rinnovata all’esito della vicenda. Proprio come farebbe uno scrittore, l’avvocato deve dare a questo viaggio una struttura narrativa precisa.
Al cliente, difatti, non compete la selezione dei dati sulla base di un criterio di rilevanza. La rilevanza dei dati e la successiva selezione dipendono dagli obiettivi cui è diretta la comunicazione, e spettano all’avvocato che ha le competenze giuridiche per capire quali fatti (tra quelli raccontati dal cliente) sono contemplati dalle disposizioni di riferimento per la vicenda.
La selezione dei fatti in vista di un obiettivo comunicativo, e sulla base di un criterio preciso, è l’attività fondamentale dello scrittore e serve per conferire alla narrazione una struttura che che la renda riconoscibile come tale: una narrazione senza struttura è solo cronaca. L’avvocato lavora come uno scrittore e determina con la propria opera selettiva un vero e proprio restringimento delle possibilità: canalizza il racconto in funzione di una tesi difensiva, che costituisce il principio organizzatore della propria struttura narrativa.
L’avvocato progetta la struttura narrativa al cui interno sono collocati anche i ragionamenti in diritto, svolgendo quello che è definito “circolo ermeneutico”: in un modo che rende difficile stabilire cosa venga prima, ordina i fatti che ritiene rilevanti in relazione alle argomentazioni logico-giuridiche e individua le argomentazioni logico-giuridiche tenendo conto dei fatti salienti.
Il discorso difensivo, dunque, è una macro-struttura che ingloba al suo interno il fatto e il diritto. Questa struttura costituisce una narrazione che racconta i fatti storici contemplati dalle norme, ma anche gli altri fatti (quelli creati dal diritto) che conseguono ai fatti storici come effetto voluto dall’ordinamento.
difficoltà a decifrare l’inizio di questa frase.
Ho composto volutamente la frase in questo modo disordinato per indurti a una riflessione ulteriore. Le parole sono portatrici di significato ma sono anche tratti grafici posti in uno spazio. Il nostro cervello percepisce la dimensione grafica delle parole nel loro insieme prim’ancora di individuarne la precisa dimensione semantica.
Hai avuto difficoltà a decifrare l’inizio della frase ma alla fine ci sei di certo riuscito: il tuo cervello (da abile narratore qual è) ha ricomposto il testo e individuato il senso della frase. Se il disordine grafico può rendere difficoltosa la lettura, allora, l’ordine grafico può agevolarla. Un testo scritto, nella misura in cui è destinato a entrare in un flusso comunicativo, deve essere comprensibile da un punto di vista semantico e leggibile da un punto di vista grafico.
Non è un discorso lontano dalla pratica dei tribunali: i documenti di prassi e i decreti del Presidente del Consiglio di Stato sul principio di sinteticità degli atti (ma anche i documenti elaborati da autorità giudiziarie sovranazionali) indicano il font preferibile per la redazione degli atti processuali e la sua dimensione ottimale.
La grafica di un testo ostacola o facilita la comprensione del significato che quel testo esprime; stabilisce rapporti di importanza tra parti di cui è costituito; consente di mettere in evidenza alcuni passaggi che rappresentano il fulcro del discorso; aiuta a mettere a fuoco il senso profondo ideato all’autore. Questa semplice constatazione è alla base di una disciplina, denominata legal design, che ha come obiettivo proprio l’individuazione delle tecniche di composizione di un testo legale capaci di rendere (eventualmente anche con il supporto di immagini) più immediata la lettura e, di conseguenza, più facile la comprensione del significato.
Lo storytelling e il legal design hanno un elemento in comune: in entrambi i casi, l’autore del testo è chiamato a progettare una struttura – narrativa da un canto, e grafica dall’altro – che sembra andare oltre il mero significato che l’autore intende comunicare ma che, invece, contribuisce in maniera determinare a precisare quel significato.
Nella nuova prospettiva che ti suggerisco, l’avvocato lavora per il proprio progetto comunicativo ricorrendo sia alle competenze giuridiche di cui dispone sia a ulteriori abilità che acquisisce e coltiva andando oltre il proprio campo di gioco tradizionale.
Questa nuova prospettiva, in realtà, è molto vecchia. L’idea che il discorso giuridico sia un progetto comunicativo e che come tale debba essere pensato ed elaborato, difatti, deriva dalla retorica aristotelica (che è una retorica buona, come potrai leggere più diffusamente in quest’altro mio articolo). L’obiettivo dell’avvocato è rendere il proprio discorso giuridico persuasivo secondo criteri logici e tenuto conto della griglia normativa di riferimento. Un discorso persuasivo è un discorso efficace perché raggiunge l’obiettivo comunicativo che l’autore si era posto. L’efficacia del discorso giuridico dipende dalla comprensibilità del suo significato e dalla leggibilità della sua forma grafica.
La nuova prospettiva, però, è principalmente una prospettiva di metodo perché la retorica (quella buona, legata alla logica informale), lo storytelling e il legal design sono sia un mezzo per migliorare la comunicazione sia strumenti di elaborazione del pensiero.
- Il Codice di Hammurabi
- La medicina delle passioni
- Le vigilatrici d’igiene: a scuola negli anni ’30
- Un telegramma alla donna di Marte
- Impronte digitali: alla Cina il primato
Non devi pensare secondo schemi tradizionali e poi tradurre quel pensiero tradizionale in una forma nuova: devi elaborare il pensiero (anche quello giuridico) tenendo conto della struttura narrativa e grafica in cui lo esprimerai.
Immagina Caravaggio nell’atto di dipingere: le scodelle di coccio nelle quali prepara i pigmenti; la tavolozza su cui dispone ordinatamente i colori; il pennello; l’accuratezza del gesto pittorico; le figure che emergono lentamente; il paziente lavoro di definizione del fascio di luce, che sembra penetrare dalla realtà fin dentro la tela
Ora immagina Jackson Pollock mentre agisce con tutta la propria fisicità e sparge il colore sulla tela: senza ridefinire così profondamente il modo di dipingere, Pollock avrebbe davvero potuto trasformare così radicalmente il concetto di dipinto?
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