Il locatore, il conduttore e il contagiato
In questo quasi drammatico periodo di contagio ed emergenza a causa della diffusione del Covid-19, si parla molto, nel campo del diritto, di famosi concetti e istituti, come la forza maggiore, il factum principi e l’impossibilità sopravvenuta non imputabile.
E così, quasi con un poco di macabra euforia, i giuristi – e non solo più speculativi e studiosi – vedono nella drammatica situazione che stiamo vivendo, l’avveramento del “caso di scuola”, impresso nella loro mente sin dai tempi dell’università, e la realizzazione di famosi esempi portati dai più comuni manuali, attentamente ideati dai loro autori per imprimere con efficacia la regola iuris nelle menti giovani e malleabili degli studenti; esempi tuttavia quasi sempre presentati come teorici e bollati come privi di sostanza e utilità pratica.
Ma, almeno per quel che concerne la diffusione delle malattie infettive, la nostra memoria, purtroppo sbiadita da decenni di salute, igiene e benessere, non riesce a ricordare con immediatezza neppure le recenti epidemie, come la SARS e l’aviaria, e quindi tanto meno quelle del passato; tranne ovviamente la peste, ma probabilmente solo perché evocata da celebrazioni che sono anche occasione di divertimento (come la Festa del Redentore di Venezia, che celebra la fine dell’epidemia di peste che tra il 1575 e il 1577 afflisse la Serenissima), oppure perché narrata da famose opere letterarie, come il “Decameron” e i “Promessi Sposi”, o magari perché magistralmente raffigurata da qualche artista del passato, come il “Trionfo della Morte” di Palermo e l’omonimo dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio.
Ma di malattie contagiose ne esistono molte, e ancor di più ne sono esistite in passato, e una delle più famigerate e temute è sempre stata la tubercolosi polmonare. Veicolata dal Mycobacterium tuberculosis, (noto anche come Bacillo di Koch, dal nome del medico tedesco che lo scoprì) la tisi, come era più frequentemente chiamata in passato, forse con la complicità della letteratura e delle arti figurative, è ancor oggi associata a ideali romantici e vista quale infausta sorte spesso riservata agli artisti o alle belle donzelle oggetto del loro amore (generalmente non corrisposto), quasi fosse il prezzo che essi dovevano pagare all’Onnipotente (o forse a Lucifero) per il talento ricevuto in dono. Data la sua diffusione e pericolosità, la tubercolosi non era purtroppo solo uno stimolo del romanticismo, né per fortuna solo lavoro per i medici, ma era anche, necessariamente, e con una certa frequenza, materia per avvocati e giudici.
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Abbiamo così trovato un caso tanto curioso, quanto dibattuto e, pur vecchio di oltre cent’anni, oggi nostro malgrado attualissimo.
All’inizio dell’anno 1908 il signor Adalberto Levy concesse per un anno in locazione al signor Giuseppe Lamanna un appartamento sito in Largo Ascensione a Chiaia n. 21 a Napoli. Nel corso della visita dell’appartamento, prima della conclusione del contratto, il signor Lamanna notò, in una camera, una donna distesa sul letto, che gli riferirono “essersi da poco sgravata di una bambina”. Tuttavia, il giorno stesso della visita la donna morì e, a seguito di informazioni acquisite successivamente alla sottoscrizione del contratto di locazione, il signor Lamanna apprese che la stessa era deceduta a causa della tisi. Per conseguenza, il signor Lamanna domandò al signor Levy una “dichiarazione del recesso dal contratto” e la restituzione dell’anticipo dei canoni pagato al momento della sottoscrizione del contratto medesimo. Il signor Levy si oppose, e quindi il signor Lamanna lo citò avanti il Tribunale di Napoli “per sentire emettere le seguenti provvidenze di giustizia: a) dichiarare risoluto in danno di esso Levy il contratto di Locazione 21 gennaio 1908; b) condannare lo stesso Levy alla restituzione della somma di lire 2000 versata in conto della pigione [nonché] alle spese contrattuali ed al risarcimento dei danni […]”.
La presenza della donna tisica nell’appartamento, secondo il signor Lamanna, costituiva un vizio della cosa locata che ne impediva l’uso, ai sensi dell’art. 1577 del Codice civile del 1865 (e similmente a quanto prevede l’art. 1578 del Codice civile attualmente vigente), rispetto al quale doveva essere garantito dal signor Levy, e che lo legittimava alla risoluzione del contratto. L’azione del signor Lamanna era tutt’altro che in discesa: infatti, almeno una parte della giurisprudenza dell’epoca si era già pronunciata su questioni analoghe in modo contrario alla tesi dell’attore.
La Cassazione di Napoli 4 marzo 1902 aveva statuito che non costituivano vizi della cosa locata, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1577 cod. civ. 1865:
condizioni derivanti da circostanze estranee, che possano avere relazioni occasionali o contingenti con la cosa, quale la circostanza che nella cosa locata abbiano abitato precedentemente o siano morte persone affette da malattie infettive”.
E il Tribunale di Roma 9 settembre 1905 aveva parimenti negato il diritto alla risoluzione del contratto di locazione:
“se l’appartamento, abitato in precedenza da ammalato di tubercolosi, fu disinfettato dall’autorità sanitaria, eccetto che nel contratto fu pattuito che l’appartamento non fosse stato mai abitato da persone aventi malattie infettive”.
Pare che all’epoca questo tipo di dichiarazione e garanzia del locatore non fosse inusuale nei contratti di locazione, così come era abitudine che – come testimonia Tribunale Napoli 29 luglio 1892 – specie nelle grandi città si convenisse anche che l’inquilino non potesse “fare abitare la casa da persone affette da male contagioso”; e in tal caso persino l’inquilino aveva diritto alla risoluzione del contratto, avendo tale patto “efficacia anche in favore di lui”.
Alla luce di tale quadro, il Tribunale si domandò se la precedente presenza nell’immobile locato di una persona ammalata da una patologia infettiva come la tubercolosi costituisse un vizio, e cioè una “imperfezione, o originaria o sopravvenuta, la quale per la sua importanza rende la cosa stessa in tutto o in parte disadatta all’uso cui è destinata”.
L’analisi del Tribunale, oltre che giuridica, è anche molto rigorosa dal punto di vista scientifico (sulla base ovviamente delle conoscenze dell’epoca), giacché considera con cura il fatto che “il bacillo della tubercolosi è di una resistenza grandissima e di una vitalità straordinaria, ed ha una forza diffusiva in diretta della facile ricettività di esso da parte di quasi tutte le specie degli animali e di ciascun individuo della specie. La via di trasmissione normale della tubercolosi è l’inalazione, e il semenzaio dei bacilli è costituito dagli sputi e dalle altre secrezioni o escrezioni dei soggetti malati”, i quali hanno una virulenza terribile e prolungata anche quando essiccati, “che resiste alla congelazione e alla putrefazione; che è solo eliminata dal calore umido a 100 [gradi], dall’ebollizione e dalla luce solare diretta”.
Per conseguenza, concluse il Tribunale di Napoli, “una casa già abitata da un tubercolotico, non senza grave pericolo può essere abitata da altre persone, prima che non siano completamente rinnovati i pavimenti, i cieli e le pareti: luogo e deposito di conservazione dei bacilli” con la conseguenza che è “obbiettivamente a ritenersi un pericolo reale inerente alla casa, e quindi ipotizzante il vizio o difetto che può formare la base di una domanda di risoluzione”.
Alla luce di quanto sopra, il Collegio partenopeo ritenne di “non [poter] non far buon viso alle ragioni fondamentali della istanza del Lamanna”, ed accolse quindi le sue domande.
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La sentenza del Tribunale di Napoli venne poi confermata da Cassazione Napoli 12 luglio 1910 (la sentenza della Corte d’Appello cassata dai Supremi Giudici è inedita), la quale condivise le ragioni dei Primi Giudici, e acutamente osservò anche che “i bacilli sono invisibili ad occhio nudo ed il loro modo di comportarsi costituisce ancora un’incognita, solo potendosi affermare che il loro virus è facilmente diffusibile, tanto da rendere necessari gli ospedali speciali per i tubercolotici“. Di conseguenza, “la morte per tubercolosi [è] un vizio occulto della casa ove la morte avvenne, quando la malattia della persona che sta ad abitarvi è ignorata da colui che la toglie in affitto, e quando la morte si verifica, come nella specie, quasi contemporaneamente alla stipula del contratto”.
Pur essendo dal punto di vista biologico molto diverse, la tubercolosi e la sindrome respiratoria acuta da Covid-19 hanno alcune analogie, soprattutto in relazione all’impatto che la prima aveva, e la seconda ha ora, sulla società. Entrambe, infatti, si trasmettono per via aerea, anche se la trasmissione del bacillo di Koch non è facilissima, perché a tal fine il malato deve essere affetto da tubercolosi polmonare attiva e non essere in terapia, la carica batterica deve essere molto elevata e l’aria dell’ambiente in cui si trova il malato deve essere sostanzialmente stagnante. Ed è questo il motivo per il quale con il significativo miglioramento delle condizioni igieniche, a partire dal secondo dopoguerra, i casi di tubercolosi sono molto calati (anche se essa è ancora tra le prime 10 cause di morte nel mondo, soprattutto nei paesi sottosviluppati).
Al contrario, il Covid-19 è molto virulento e si trasmette con estrema facilità.
La domanda che un giurista si può quindi porre, considerando l’antica casistica relativa alla tubercolosi, e in particolare quella inerente ai contratti di locazione, è se oggi il fatto che un immobile sia stato abitato da una persona affetta da coronavirus possa legittimare il nuovo conduttore alla risoluzione del contratto, se naturalmente ai sensi dell’art. 1578 cod. civ. tale circostanza era a lui ignota o comunque non facilmente conoscibile.
Allo stato, non è chiaro se il Covid-19 possa essere trasmesso mediante il contatto indiretto con superfici precedentemente toccate da una persona infetta (per esempio, toccando una maniglia con una mano e poi facendo entrare in contatto tale mano con le mucose orali, nasali o oculari). Tuttavia, le varie misure sinora adottate dal Governo per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 prevedono la sanificazione degli ambienti, e quindi considerano questa evenienza quanto meno come possibile.
Non ci resta che aspettare che finisca l’emergenza Covid-19, e soprattutto che finiscano le sue drammatiche conseguenze, e poi capire se una questione simile a quella che abbiamo raccontato verrà portata all’attenzione delle nostre corti.
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