La Massima dal Passato di questa settimana è dedicata agli amici penalisti, amanti della natura e degli animali.
Mi sono infatti imbattuto in questa incredibile decisione del Tribunale di Trani del 25 aprile 1903. Nella sentenza, i magistrati si chiedono (dando risposta positiva) se la “forza virile” degli animali possa costituire oggetto di furto, come già allora si riteneva per il gas o l’elettricità.
Scenario della vicenda è Spinazzola, paesino addormentato nelle campagne al confine tra Puglia e Basilicata. Siamo agli albori del XX secolo e la pastorizia è ancora attività diffusissima. Essere proprietario di molte capre vuol dire essere ricchi. Ma più ricco può rendere il possedere montoni di razza scelta, ambiti virgulti moltiplicatori di ovini.
Desiderare però il montone d’altri può essere pericoloso, se non si paga il giusto compenso al suo proprietario per la prestazione…
Ecco di seguito la sentenza e la splendida massima, da leggere tutta d’un fiato.
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Il capraio che clandestinamente introduce delle capre nel fondo altrui onde ottenerne l’accoppiamento con alcuni montoni di rimonta senza pagare al padrone la relativa tassa, commette furto della forza genetica di quegli animali – art. 402 c.p.
Fatto – D’Errico Michele, di Spinazzola, con la querela 29 settembre 1903, denunziava che egli possedeva alcuni montoni di razza scelta per migliorare la produzione delle capre; che questo era un suo capitale, di cui chi si voleva servire doveva pagare un’indennità, come si usa per altre industrie consimili, quale la rimonta dei cavalli; che invece l’odierno imputato D’Addezio Stefano, capraio a servizio di Piarulli Raffaele, nel 28 settembre 1903, sebbene in precedenza diffidato, introduceva clandestinamente nel fondo di esso querelante le capre del padrone e le faceva accoppiare con i montoni del D’Errico, procurando a costui un danno con illecito suo profitto.
Per questo fatto venivano tradotti innanzi al pretore di Spinazzola il capraio ed il padrone per rispondere quegli di danneggiamento, delitto di competenza ordinaria del pretore, questi di responsabilità civile in detto reato.
Il pretore con la sentenza 12 dicembre 190[3] riteneva non provato il fatto, ed assolveva il D’Addezio ed il Piarulli.
Oggi, sull’appello del Procuratore del Re s’impegna anzitutto la questione di competenza, sostenendosi che il fatto rivesta i caratteri del furto e che perciò sfugga alla cognizione del pretore.
Diritto – Questa tesi è fondata
Certo non si nega che quel fatto importi lesione al diritto patrimoniale del querelante, dacché costui con artifizi dolosi e per opera dell’uomo fu privato dell’indennità, che aveva diritto di pretendere dal D’Addezio e dal Piarulli.
Non si può neanche negare che ne trassero indebito profitto gli appellanti, in quanto costoro ottennero l’utilità ambita senza pagare l’indennità.
Quello che i resistenti negano è che concorra l’apprensione materiale d’una cosa mobile per fatto dell’uomo.
Ma, a giudizio del Tribunale, la loro tesi non è esatta: dacché esiste furto se anche non concorra l’apprensione materiale diretta.
E per non cadere in erronee interpretazioni, bisogna bene intendersi sul significato delle parole e sull’estensione che il codice del 1890 dette alla nozione dell’elemento materiale del furto.
Al riguardo si noti che altro è contrectare, altro è impossessarsi.
Quello vuol dire maneggiare, portare la mano sull’oggetto che si vuole involare, rimuoverlo dal luogo ove il proprietario lo aveva collocato, e trasportato con la forza fisica dell’uomo sotto l’attività patrimoniale del colpevole.
Sicché contrectare ha significato ristretto: alla necessità d’un’azione materiale, diretta e continua dell’uomo sulla cosa sottratta.
Ora l’errore sta appunto in questo, nel ritenere cioè che, pel codice del 1890, il furto si abbia sol quando l’apprensione materiale della cosa mobile si assegua con la forma diretta della contrectatio. Invece ci può essere furto se anche l’uomo arrivi ad impossessarsi con mezzi indiretti.
Questa è la teoria accolta nel nuovo codice; questo spiega perché la contrectatio nel senso di apprensione materiale diretta della cosa è una delle modalità come il furto si esegue, ma non è la sola; ciò spiega perché il codice adottò invece la parola: impossessarsi.
Questa è la parola più generica, più lata: abbraccia altre ipotesi, che non ricadano sotto la forma quotidiana ed abituale della contrectatio, ma che non di meno, per consenso unanime dai compilatori del codice, della dottrina e giureprudenza, ne rivestono pure i caratteri; quali per esempio, la deviazione dolosa, o clandestina dell’ossigeno gas-luce, la deviazione della corrente elettrica, l’impossessamento d’animali domestici tratti con inviti artifiziosi o con altri mezzi fraudolenti dal luogo di custodia del proprietario.
In questi casi ed in altri non c’è la presa materiale della cosa nella forma diretta, ma ciò non esclude il reato, perché vale come forma di apprensione anche il mezzo indiretto, che non richiede il contatto continuo dell’agente della cosa, soggetto passivo del reato. Si hanno di ciò esempi luminosi nell’impossessamento del gas e dell’elettrico; basta che il ladro applichi dei tubi nei modi suggeriti dall’arte, perché la corrente devii e devii con effetto continuativo anche senza l’esplicazione d’altra attività umana, anzi contro il volere di costui, producendosi solo per legge fisica l’ulteriore effetto che la cosa mobile passi dalla custodia altrui nella propria, ma passa sempre però come conseguenza dell’opera dell’uomo intervenuta nel momento iniziale.
Ora, perché non applicare gli stessi principi all’impossessamento doloso dell’energia genetica d’animali, che si possiedano pel miglioramento delle razze?
Non è mezzo indiretto di apprensione il fatto del capraio, che conduce le capre dai montoni, e ne procura con questi l’accoppiamento?
L’atto iniziale è suo, e si concreta nella violazione del possesso della cosa mobile altrui, marcè esercizio di atti di dominio e con effetto di sottrarre la cosa.
Ora questo basta per aversi il furto.
Nulla rileva che per l’ulteriore conseguimento della utilità intervenga, al di fuori dell’attività umana, l’esercizio di una funzione fisiologica.
Ma, si obbietta, nel caso in esame manca la cosa, soggetto passivo del reato. Come manca la cosa? ma che forse in tema di furto occorre che la cosa sia tangibile? È necessario che sia materiale, ma può non essere tangibile.
È soggetto passivo di furto ogni cosa mobile, ed è cosa tutto ciò che è capace di valore patrimoniale, sia tangibile, sia intangibile, come per esempio le sostanze che per processo chimico si trasformano in istato aeriforme, quali l’ossigeno e il gas-luce.
Occorre che sia corporale, ma anche ad essere incorporale (come il diritto di credito), se questo si concreta in un documento, diventa pure passibile di furto, quando porta via la carta, che ne costituisce la prova.
Ed in quest’ordine d’idee è cosa mobile anche l’energia elettrica e l’energia genetica d’animali, una volta che l’una e l’altra sono suscettive di valore patrimoniale, compresa quest’ultima che applicata al miglioramento delle razze dei cavalli, costituisce certo una speculazione ed un’industria d’indiscutibile valore economico.
Nulla rileva che la seconda (la genetica) a differenza della prima, derivi da sostanza organica, e che la prima, cioè la corrente elettrica, derivi da sostanza inorganica; l e conseguenze giuridiche non mutano.
Epperò, essendo il pretore incompetente gli atti debbono rinviarsi all’istruttore.
(Monitore dei Tribunali, 1905, 639)