Nato a Torino da una famiglia agiata, da liceale conobbe Leone Ginzburg, Vittorio Foa e Cesare Pavese, figure che sarebbero diventate intellettuali di spicco nei decenni successivi.
Si laureò con lode in Giurisprudenza nel 1931 e appena due anni dopo conseguì anche la laurea in Filosofia, ottenendo ancora una volta la lode.
Nel 1934 ottenne la libera docenza e insegnò nelle università prima di Camerino, poi di Siena, Padova e infine, per venticinque anni, della sua Torino.
Nel 1935, a seguito di una retata, fu arrestato insieme ad altri esponenti dell’antifascismo torinese. Per essere scagionato dalle accuse, inviò una lettera a Benito Mussolini dichiarandosi del tutto estraneo a quelle frequentazioni.
Non fu l’unico compromesso con il regime: dovette giurare fedeltà al fascismo per ottenere la cattedra di filosofia del diritto a Siena.
Dal 1942 aderì però al Partito d’Azione e l’anno successivo subì un nuovo arresto per attività clandestina, ma continuò a militare nell’opposizione anche dopo la liberazione, collaborando con il quotidiano Giustizia e Libertà.
Sostenitore di un socialismo liberale, a guerra finita Bobbio si trasferì nell’ateneo torinese, dove si dedicò agli studi politici, dedicando lavori a Hobbes, Locke, Marx, Gramsci e al rapporto tra politica e cultura. In particolare, i suoi studi di Hobbes collocano il filosofo nella corrente del giuspositivismo, di cui era convinto difensore.
Distante sia dall’idealismo, sia dalle posizioni “decadenti” dell’esistenzialismo e dell’irrazionalismo, prospettava un ritorno a un illuministico razionalismo. Col tempo, si avvicinò sempre più alla filosofia analitica anglosassone, applicandola anche allo studio del linguaggio giuridico e tracciando le linee di ricerca della scuola analitica italiana di filosofia del diritto.
Nel 1984 fu stato nominato senatore a vita e per tutti gli anni Novanta continuò a intervenire nel dibattito pubblico sui temi della libertà, democrazia, del pacifismo.
Scomparve a Torino il 9 gennaio 2004.