Nel febbraio del 1958 viene approvata la legge Merlin, che chiude le case di tolleranza e sanziona lo sfruttamento della prostituzione. Il dibattito pubblico fu subito attraversato da un coro di allarmismi, moralismi e profezie catastrofiche. Tra i censori più zelanti – come ricorda il magistrato Romano Canosa – spicca il procuratore generale Trombi, celebre per i suoi toni apocalittici.
Di tanto in tanto, soprattutto in base agli umori del pubblico-elettorato, la politica rispolvera dal sempreverde baule dei temi etici la disciplina della prostituzione, che deve ora più che mai fare i conti con il mutamento del sentire comune circa il valore del corpo e della sua immagine come res extra commercium. E proprio in queste occasioni riecheggia inevitabilmente il nome di una donna: Angelina Merlin, detta Lina, promotrice ed eponima della legge che tutt’oggi regola la materia.

Il 20 febbraio 1958 Lina Merlin, combattiva senatrice socialista, un passato nel movimento antifascista e membro dell’Assemblea Costituente, ispirata anche da un’analoga legge francese del decennio precedente, ottenne non senza fatica l‘approvazione del disegno di legge che aveva presentato anni prima nella legge 20 febbraio 1958, n. 75, intitolata “Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui“.
Dal 1958, in Italia la disciplina è netta: sono sanzionati con pene di tutto rispetto, detentive e pecuniarie, lo sfruttamento e il favoreggiamento dell’attività di meretricio, concetti descritti meticolosamente dal testo della legge e ulteriormente sviluppati dall’interpretazione giurisprudenziale. Rimane lecito prostituirsi, anche se contrario al buon costume, per gli individui maggiorenni che lo scelgano volontariamente al di fuori di ogni forma di soggezione. La principale conseguenza di questa svolta legislativa fu la chiusura forzosa delle case di tolleranza che fin a quel momento operavano sul territorio nazionale, con tanto di sdegno di categoria da parte dell’APCA (Associazione Proprietari Case Autorizzate).
La maggioranza che approvò il testo era piuttosto insolita per il tempo e caratterizzata da un gran numero di dissidenti rispetto alla linea stabilita dal partito: comunisti e democristiani uniti nel voto favorevole da moralismi uguali e opposti; molti socialisti schierati contro la propria compagna di lotte; radicali, missini e monarchici dallo stesso lato (contrario) della barricata.

Si propone quindi un un assaggio di quello che fu il dibattito pubblico sulla legge, tra toni apocalittici, castigatori di costumi ed epidemie di sifilide.
Il magistrato Romano Canosa ricorda, nella sua autobiografia Storia di un pretore, i discorsi magniloquenti e disfattisti dell’allora procuratore generale Pietro Trombi. Noto al grande pubblico per lo zelo con cui censurava i film neorealisti (tra gli altri, L’avventura di Antonioni e Rocco e i suoi fratelli di Visconti erano caduti sotto le sue forbici), usava inaugurare l’anno giudiziario con tono – parole di Canosa – «a metà tra l’apocalittico e il delirio di grandezza».
Nel 1962, per esempio, era partito con un attacco contro una sentenza della Cassazione che aveva stabilito che è pienamente lecito per una donna l’uso esclusivo del suo cognome di nubile anche dopo il matrimonio, senza dover aggiungere quello del marito. Per Trombi era l’anticamera della sovversione, chiaramente ispirata da “certe recenti rivendicazioni di una nota corrente femminista progressista, la quale in realtà viene a minare le basi della famiglia civile“.
Difficile capire a quale corrente femminista si riferisse: il femminismo radicale emergerà alla fine del decennio e soprattutto negli anni ’70, però già cominciavano ad affiorare riflessioni pubbliche e rivendicazioni, soprattutto tra alcune giuriste, intellettuali, sindacaliste, politiche. Alcuni segnali di cambiamento iniziavano a incrinare l’assetto patriarcale stabilito dal diritto di famiglia (è ancora quello del codice civile del 1942, per cui il marito è il capo della famiglia, ha poteri di autorizzazione sulla moglie, decide la residenza, gestisce il patrimonio comune).
Uno dei segnali più forti era stata proprio l’entrata in vigore la legge Merlin: un provvedimento che sollevò un acceso dibattito pubblico. Nel 1963, ecco il procuratore Trombi se la prendeva proprio contro i film (il suo cavallo di battaglia) e contro la Legge Merlin.
Anzitutto, si compiaceva del fatto che i suoi interventi censori avessero attenuato l’ondata pornografica degli anni precedenti. Con sua enorme soddisfazione, negli ultimi film erano «state abolite o ridotte al minimo quelle sequenze nient’affatto funzionali rispetto alla tematica del film, quegli abbracci lascivi, quegli spogliarelli femminili o maschili, quei baci saltellanti che non risparmiano un centimetro quadrato dell’epidermide facciale del soggetto maschio o femmina, quei baci a mordicchio, a risucchio, a ventosa, ad aspirapolvere, così stucchevoli da annoiare anche il più cretino e smidollato ricercatore di emozioni erotiche».
Sulla Legge Merlin, invece, il procuratore era più pessimista. Denunciava con veemenza il primato italiano nel numero di affetti dal mal francese, evocando suggestive metafore militari:
Intanto le spirochete [batteri della sifilide, n.d.a.] avanzano sempre più baldanzose a battaglioni affiancati così che i dati statistici (la statistica è una scienza positiva e non può considerarsi un’opinione) pongono l’Italia all’avanguardia dei malati di sifilide (…)
Pietro Trombi in R. Canosa, Storia di un pretore
Sulla piaga sociale della prostituzione, che a suo dire era incentivata dalla legge stessa, Trombi ritornava anche nel discorso del 1964:
Ancora una volta, cortesi ascoltatori, devo intrattenervi mio malgrado su un tema scabroso che ogni anno puntualmente ritorna nei discorsi dei procuratori generali: il tema della prostituzione “libera” e dei suoi riflessi penali. Ho detto libera e non senza intenzione; ho voluto mettere l’accento su questa nuova maniera di condannare l’idea di libertà, associandola a una immagine di turpitudine.
Pietro Trombi in R. Canosa, Storia di un pretore
Giacché è proprio vero che la cosiddetta legge Merlin – paludata di nobili propositi – e riuscita sol tanto a farci dono di una nuova e non desiderata libertà: la libertà di meretricio.
Le geremiadi di Trombi e degli altri suoi colleghi censori non erano tuttavia tali da arrestare il vento di cambiamento che, di lì a pochi anni, avrebbe soffiato impetuoso nelle piazze del ’68.
L’iniziativa della senatrice Merlin, al netto delle varie sensibilità su un tema così delicato che tocca corde come il rapporto con il corpo e il concetto di dignità, fu un vero e proprio spartiacque nell’evoluzione della morale sociale italiana, che aveva ormai imboccato la via del riconoscimento delle istanze femminili e non poteva più tollerare con la stessa serenità che certi atti fossero compiuti alla luce del sole. O, per meglio dire, nella luce soffusa di un postribolo.


