Il 20 maggio del 1915, in una solenne ed entusiasta seduta della Camera dei Deputati, conclusasi con applausi festanti e con la voce contraria del solo Turati, vengono concessi al Re poteri straordinari in caso di Guerra.
Pochi giorni più tardi, il Regno d’Italia dichiara guerra all’Impero Austro-ungarico, e quindi alla Germania.
Sfogliando le riviste di quegli anni, si percepisce chiaramente come il dramma della guerra avesse fin da subito pervaso qualsiasi sfera della vita sociale del paese: interruzione dei trasporti, scarsità di materie prime e di derrate alimentari, cessazione delle attività sportive, chiusure di teatri, etc.
E la guerra aveva naturalmente avuto serie ripercussioni anche sulla professione dell’avvocato.
Gli avvocati milanesi, che spesso annoveravano tra i loro clienti anche ditte e imprenditori tedeschi in affari in Lombardia, si interrogavano sull’opportunità di prestare la loro opera a favore di sudditi di un impero con cui l’Italia era in guerra.
Nel dicembre 1915, l’Ordine degli Avvocati di Milano aveva quindi inviato una lettera dai toni drammatici e severi a tutti gli iscritti invitandoli a “non prestare durante la guerra […] la loro opera professionale a favore di sudditi germanici (neppure se per l’occasione avessero assunta altra cittadinanza), specie per cause e pratiche che abbiano per iscopo, immediato o no poco importa, di ottenere in definitiva che capitale italiano vada in Germania”.
Ecco di seguito il testo della comunicazione. L’assurdità è che è successo davvero, e sarebbe successo ancora.
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