Dal lontano 1906 ci giunge una storia che insegna quanto possa essere pericoloso incitare per scommessa gli amici a bere (o come più opportunamente dice la Corte di Cassazione a tracannare), nel più breve tempo possibile una ingente quantità di vino (nel caso di specie poderoso vino pugliese).
Sembra di vederli ancora lì, al tavolo dell’osteria romana, gli imputati Luigi Giustizieri e Settimio Fioramonti, aizzare il povero beone Stefanini a ingurgitare a più non posso uno dopo l’altro i bicchieri prontamente rabboccati, con l’orologio alla mano, mentre battono i pugni sul tavolo per scandire i secondi e i decilitri al ritmo di “Bevi! Bevi!”, solleticando così la morbosa vanità di ubriacone a conseguire un assurdo primato.
Tre litri in nove minuti.
Accade però che il povero Stefanini si sente male, torna a casa e muore nel suo letto, e a quel punto il Fioramenti e lo Stefanini affrontano un processo per omicidio colposo, concluso con la condanna in via definitiva con la sentenza della Corte Cassazione (di Roma) qui di seguito riportata.
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“Vanno ritenuti responsabili di omicidio colposo coloro i quali, solleticando la vanità d’un beone, lo inducono ad accettare e mantenere la scommessa di bere in pochi minuti una forte quantità di vino, con conseguenza letale – art. 371 c.p.”
Corte di Cassazione, 20 marzo 1906
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Fatto – Ricorrono Fioramaonti Settimio e Giustizieri Luigi contro la sentenza 9 dic. 1905 della Corte di Roma, confermativa di altra del locale Tribunale, che li condannò a tre mesi di reclusione e 100 lire di multa quali rei di omicidio colposo, ed accordò il beneficio della sospensione della condanna al solo Giustizieri.
Secondo le due sentenze di merito, i ricorrenti, nella osteria del Giustizieri, esaltando la tendenza e la potenzialità del beone Stefanini a tracannare il vino , lo eccitarono ed indussero ad accettare la scommessa di bere in pochi minuti 3 litri di poderoso vino pugliese.
Stefanini tenne e esaurì la scommessa in nove minuti; ma subito dopo cadde in letargo, e trasportato a casa morì dopo poche ore, per solo effetto di quella gran quantità di vino in sì breve tempo ingerita.
Col I mezzo aggiunto si denunzia la violazione dell’art. 371 c.p. imperocché, dati i fatti ritenuti dai giudici di merito, fu lo Stefanini a volere accettare la scommessa e la sua stessa imprudenza fu causa vera ed esclusiva della sua morte, Nella specie fuvvi assoluta discontinuità di nesso tra il fatto colposo degl’imputati e l’evento dannoso, che fu l’effetto della stessa volontà dello Stefanini, in modo che potrebbe trattarsi di un caso di suicidio colposo in cui non è ammessa la figura giuridica dell’eccitamento (omissis).

(Pieter Brueghel il Giovane, “Brueghel degli inferi”)
Diritto – Infondato si ravvisa il I mezzo aggiunto, pur prescindendo che contro apprezzamenti di fatto del giudice di merito esso si concreti.
Ritenne il Tribunale, e confermò la Corte, la responsabilità dei due imputati per due distinte fonti di colpa, entrambe espressamente contemplate dall’art. 371 c.p.: l’0inosservanza cioè delle disposizione della legge e la imprudenza.
Dissero i giudici di merito che gl’imputati cagionando la ubriachezza dello Stefanini, versavano in fatto illecito, per sé solo punibile a termine dell’art. 489 c.p. e riconobbero in essi la più grande imprudenza non solo nel mettere in campo una scommessa ben pericolosa per la salute altrui, e che di ciò essi eran conscii,
ma altresì per aver essi spinto e determinato lo Stefanini a tenere quella fatale scommessa, solleticando in quel beone la morbosa vanità di conseguire un primato, e fornendogli il vino poderoso, ed eccitandolo a tracannarlo in un tempo anche più breve di quello stabilito.
Cotesti fatti sovranamente apprezzando i giudici di merito affermarono che la morte dello Stefanini era conseguenza diretta del duplice fatto colposo de due ricorrenti ogni altra causa escludendo.
Or le contrarie argomentazioni della difesa ricorrente, nel sostenere che il concorso della volontà dello Stefanini nel bere quel vino spezzò quel nesso diretto fra le colpe suindicate e l’evento dannoso, oltreché dirette a censurare il convincimento di fatto dei giudici di merito, non dedotte nel giudizio d’appello non sarebbero più deducibili in questa sede, implicando esse una indagine di fatto non consentite al S.C.
In appello, per parte degli imputati, si sostenne che quel nesso di causalità fra le suindicate colpe degli imputati e la morte dello Stefanini, erasi rotto spezzato per la colpa da ascriversi alla moglie di quell’infelice, che aveva trascurato di far apprestare pronti ed energici gli opportuni rimedi; ma non risulta siasi sostenuto che quella morte seguisse per volontaria opera dello stesso soggetto passivo; epperò on può farsi rimprovero alla impugnata sentenza se limitossi a discutere sulla voluta colpa della moglie dello Stefanini, che dopo largo esame esclude, rifermando che unica e diretta ed immediata cagione della morte derivava dal fatto degli imputati.
Ma, pur da ciò prescindendo, poiché la contestazione cade sulla giuridica esistenza del reato, è da osservare che nella specie non fu violato il principio giuridico mercè cui nei reati colposi fondati la imputabilità nel nesso di causalità fra il fatto imprudente e l’evento, imperocché gl’imputati vollero che lo Stefanini bevesse ed in pochi minuti quella enorme quantità di vino poderoso, eccitandolo , suggestionandolo e fornendogliene i mezzi, e la morte di quel beone fu punto ed esclusivamente da quella bevuta cagionata.
Né potrebbe dirsi spezzato quel nesso di causalità pel fatto volontario della vittima, imperocché il fatto di costui, anziché considerarsi nuovo ed estraneo nei rapporti dell’azione imprudente ed illecita degli imputati, costituisce partecipazione e concorso – fatale concorso per lui – nel menare quell’azione a compimento.
Il fatto volontario della vittima o di un terzo, che si frammetta nei reati colposi fra la causa prima e l’evento dannoso, dev’essere del tutto nuovo ed estraneo, deve per sé stesso costituire cagione determinante e produttrice del danno, per tramutare la prima in causa indiretta ed occasionale, e renderla inimputabile agli effetti della legge penale.
Nella specie ed in rapporto all’azione degli imputati che si concretava altresì in un fatto illecito e per sé stesso punibile, non può dirsi nuovo ed estraneo il fatto dello stesso Stefanini nel tracannare volontariamente tutto quel vino, quando lo Stefanini a quel fatto si induceva per opera appunto degli imputati, come la impugnata sentenza sovranamente ritiene in linea di fatto. Né il concorso dello Stefanini, che pagò con la propria vita la sua parte d’imprudenza può rendere giuridicamente non imputabile le colpe dei ricorrenti, come non potrebbe essere eliminata la responsabilità penale del direttore di una costruzione , quando l’adempimento di ordini imprudenti e pericolosi da lui dati fu cagione di morte dall’operaio che pure volontariamente a quegli ordini adempiva ed a quel pericoloso lavoro dava volontaria esecuzione.
Nella causa presente anzi, al concorso delle colpe che in materia penale non elimina, ma include la responsabilità dei vari concorrenti, si aggiunge l’accordo della volontà nel fatto generatore dello evento, e la parte di ciascuno nella esecuzione a porre in essere quel fatto; la illecita scommessa volontariamente messa su, l’eccitamento, il vino fornito, l’orologio tenuto presente a marcare i minuti che scorrevano, ecc., ciò per parte dei ricorrenti, la volontaria bevuta per parte della vittima cedente agli eccitamenti degli amici.
Il progresso scientifico nel giure penale non fa più ritenere come assolutamente inconciliabili le norme della complicità nei reati colposi, nei quali il fondamento della politica imputabilità è del tutto analogo a quello dei fatti dolosi – “È superfluo dimostrare (scrive il ministro Zanardelli nella Relazione al progetto del codice penale) che la volontarietà dell’azione e della omissione deve ricorrere in ogni e qualsiasi reato, doloso o colposo, delitto o contravvenzione che esso sia. Involontario (nei reati colposi) sarà l’effetto lesivo, ad esempio la morte dell’uomo, ma volontaria dev’essere l’azione od omissione dalla quale derivò l’evento letale” (pag. 153).
Se adunque il reato colposo deve dipendere ed essere cagionato da volontaria azione od omissione implicante imprudenza, negligenza, imperizia, inosservanza di ordini o discipline, e se non è lecito dubitare che a quell’azione od omissione colposa possono prender parte e concorrere anche più persone, la non punibilità della vittima, che rimase dal fatto proprio punita, non può rendere irresponsabili davanti alla legge penale gli altri, i quali parimenti vollero il fatto generatore dell’evento e con atti esecutivi di natura morale o materiale, concorsero – come nella specie – alle esecuzione di quel fatto che cagion il danno da niuno voluto.
Per tanto non merita censura la sentenza che si denunzia.
p. q. m. rigetta
(Monitore dei Tribunali, 1906, 879)