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52. I Ladri di Pannocchie (1912)

52. I Ladri di Pannocchie (1912)

Io lo so che non è periodo. Ma l’influenza mi ha fatto venire una strana voglia di primavera, anzi d’estate. Sarà forse anche il desiderio di libertà, di quando si scorrazzava senza meta con il motorino per le strade di campagna, per il gusto di alzar polvere e terra, di scoprire percorsi nuovi, o anche solo di faticare quando sceglievamo la bicicletta (cioè quasi sempre).

Facevamo delle volte vere e proprie spedizioni, e ci sentivamo così grandi in quelle epiche esplorazioni che spesso culminavano in improvvisate partite di pallone, e quasi mai in un pic nic.

Con la fierezza dei quindici anni ci mangiavamo l’Irpinia con gli occhi (amici che siete alla lettura: vi ricordate?).

Io mi ricordo perfettamente che in un punto preciso della strada che collega Fontanarosa a Gesualdo, quella secondaria, c’era una villa con un piccolo giardino. Beh, di ville e di giardini ne era pienissimo (pure di cani, *****!)… ma quella me la ricordo bene, perché aveva un solo albero di mele, con i frutti che spuntavano rubicondi oltre un muretto, comunque basso e invitante di per sé.

No, no… cosa avete capito? Non ne ho mai raccolta una di quelle mele. Chiarisco: non è perché non volessi o perché “non si fa“, ma solo perché sono impedito e non so mangiare le mele a morsi, ma solo se qualcuno me le taglia.

Comunque confesso. Se fossi stato abile al taglio e al morso, ne avrei prese a più non posso!

Da solo, o in compagnia, che differenza fa?

Eh no. Un po’ di differenza la fa.

Voi non sapete in che guaio giudiziario si erano cacciati alcuni baldi giovani di Pontecorvo, per essersi messi a rubare pere e pannocchie in una sera di luglio della torrida estate del 1911!

A quanto pare, la sera del 9 luglio “nel far ritorno alla contrada Tavolella ove eransi recati a suonare e cantare“, dodici amici si erano fermati presso il terreno di tal Patriarca Tommaso bello rigoglioso, e si erano messi a mangiare delle pere dagli alberi che lì crescevano e a rubare qualche pannocchietta.

Detta così sembra una piccola bravata, ma uno di loro (dal nome ignoto) sparò anche un colpo di fucile!

Comunque è una fortuna che uno sia rimasto senza nome. In questo modo possiamo goderci la sfilza dei nomi degli imputati come se fosse la formazione di una squadra di Serie B misconosciuta di tanti anni fa.

Provate: (1) Tedesco, (2) Franco, (3) Zorino, (4) Mario, (5) Marioncelli, (6) Carnevale, (7) Gerardi, (8) Spiridigliozzi, (9) Cornicella, (10) Giona e (11) Pellegrini.

La nostra squadra di fuoriclasse (che campione che era Spiridigliozzi.. e che stopper Marioncelli!) fu scoperta dal Patriarca, che li denunciò tutti per furto.

E al processo il busillis. Furto semplice, o furto qualificato per numero delle persone?

Su querela di Patriarca Tommaso, il pretore di Pontecorvo iniziava procedimento penale a carico di:

Tedesco Giovanni,
Franco Antonio,
Zorino Luigi,
Mario Luigi,
Marioncelli Mario,
Carnevale Gaetano,
Gerardi Alessandro,
Spiridigliozzi Gaetano,
Cornicella Giovanni Battista,
Giona Giulio,
Pellegrini Paolo,
ed altro ignoto,

per avere i primi undici commesso in danno del detto querelante un furto, qualificato pel numero delle persone, di pannocchie di granturco e di pere del valore di lire 2: ed il dodicesimo per avere minacciato un grave ed in giusto danno con fucile a Vincenzo Centofonte, e per porto di arma senza licenza.

Istruitosi procedimento, risultava che:

la sera del 9 luglio 1911 i predetti imputati, nel far ritorno dalla contrada Tavolella ove eransi recati a suonare e cantare, giunti nei pressi del fondo del Patriarca, divisarono di andare a mangiare delle pannocchie di granoturco e delle pere, il che fecero uno dopo l’altro.

Il giudice istruttore presso il tribunale di Cassino riteneva che nella specie mancasse la qualifica del furto derivante pel numero delle persone, per avere ciascun imputato agito per proprio conto e senza previo accordo, e, modificando la rubrica in quella di furto semplice, rinviava i primi undici imputati al giudizio del pretore di Pontecorvo dichiarando non luogo a procedimento penale contro l’autore della minaccia, perché rimasto ignoto.

Ma il pretore opinava che ricorressero gli estremi del furto qualificato a norma dell’art. 404, n. 9, cod. pen., in quanto che per l’esistenza di tale qualifica non fosse necessario il previo concerto; e poiché la pena contemplata nel detto articolo eccede la competenza, anche prorogata, del pretore, elevava il conflitto.

Osserva che, come ebbe già a ricordare il Supremo Collegio in una notevole sentenza (2 luglio 1903 ) la qualifica del furto derivante dal numero delle persone è determinata dal maggior pericolo cui i cittadini trovansi esposti quando più persone si riuniscono per rubare. Che, sebbene nel vigente codice non sia detto espressamente, come lo era nel codice toscano e nel progetto Vigliani, che la qualifica sussista quando «il fatto sia commesso da tre o più persone riunite a fine di rubare», non pertanto non può prescindersi, per stabilirne l’esistenza, dalla indagine se occorra che le due o più persone siansi riunite a rubare in seguito e previo concerto, oppure basti la semplice materialità del concorso di tre o più persone, sia pure occasionale.

Che, come rettamente considerò la Corte Suprema nella succitata sentenza, non possa aversi furto commesso da tre o più persone riunite, senza che si corra col pensiero ad un concorso immediato, efficace e diretto di più persone cui stringa un sol volere e senza che ciò importi per necessità logica e giuridica: a) unico fatto, quale è quello commesso da più persone; b) disegno comune fra coloro che lo commettono; c) ed accordo di volontà fra quelli che concorrono alla sua esecuzione.

Che ciò risulti evidente sia dalla lettera che dallo spirito della legge, giacché le persone debbono essere riunite, ed il concetto di riunione importa accordo per un fine comune e coscienza di ciò che ciascuno si è proposto per conseguimento del fine.

Che non possa concepirsi l’esistenza di un accordo di un disegno comune, se non si ricorra all’idea che l’accordo sia stato precedente al momento della consumazione del reato, ed a questo preordinato.

Che siffatta razionale interpretazione del testo della legge venga inoltre avvalorata dai precedenti legislativi. In alcuni progetti che precedettero la formazione del codice penale, era espressamente richiesto, per la qualifica derivante dal numero delle persone, l’accordo anteriore dei ladri a fine di commettere il furto; a p. 380 della relazione ministeriale si accenna appunto «al pericolo maggiore cui i cittadini si trovano esposti quando più persone si riuniscono per rubare»; ed a p. 383 della medesima relazione, volendo il ministro spiegare perché avesse fissato a tre il minimo delle persone, usa l’espressione «individui che si adoperano a commettere il furto».

Che se maggiore sia l’allarme ed il pericolo quando il delitto è commesso da più persone riunite, ciò deriva dal fatto che la riunione di più persone per raggiungere un fine delittuoso comune rende l’animo di ciascuno più baldo e coraggioso, più pericolosa l’azione collettiva, e più difficile la reazione e la difesa del soggetto passivo. Che ben diversamente accada quando più persone, riunite per tutt’altro fine, subiscano il momentaneo impulso a commettere un lieve reato individuale per la suggestione che deriva da parola accidentalmente lanciata o da esempio irriflessivamente dato da uno dei membri della comitiva.

Che pertanto, nel determinare se determinare se sussista la qualifica derivante dal numero delle persone, non basti tener presente circostanza meramente obiettiva del numero delle persone in data occasione hanno commesso il reato, ma occorra stabilire in linea di fatto che questo sia stato consumato in seguito a precedente accordo dei ritenuti coautori.

Che nella specie gl’ imputati di cui sopra, la sera del 9 luglio 1911, nel far ritorno dalla campagna, ove eransi recati a scopo di sollazzo, giunti nei pressi della proprietà del querelante abbiano improvvisamente desiderato, senza vero e proprio concerto, di mangiare qualche frutto, e la risoluzione essendo stata seguita dall’atto, ciascuno per proprio conto ne abbia raccolto tenuissima quantità per mangiarla; come risulta dal valore complessivo attribuito alla refurtiva

Che, ciò posto, sia indubitabile che la figura giuridica del reato imputabile alle suindicate persone, sia quella contemplata nell’art. 402 cod. pen., e non l’altra più grave dell’art. 404, n. 9 dello stesso codice; e quindi l’ordinanza del giudice istruttore che rinviò al giudizio del pretore ai sensi dell’art. 252 cod. proc. pen., sia conforme alla legge. Per tali motivi, letti ed applicati gli art. 345 e 731 cod. proc. penale, chiede che la Corte Suprema dichiari che il reato ascritto ai sopraindicati imputati sia quello di cui all’art. 402 cod. pen., ed annullando conseguentemente la sentenza del pretore di Pontecorvo, disponga il rinvio degli atti al Procuratore del Re per loro corso ulteriore, avanti lo stesso pretore.

Il Foro Italiano, 37, 1912, 257.

© Riproduzione Riservata

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