Allora, lo dico chiaramente: non vado matto per gli uccelli, e ho una avversione particolare per i piccioni.
Nulla di personale, è che:
- Temo molto la loro capacità di volare, proprio come temo, anzi invidio, tutti i poteri sovrannaturali degli animali, come respirare sott’acqua o avvelenare le prede con un morso.
- Mi intimidiscono le loro zampe rosse e rugose, che sembrano carne viva, come se mancasse loro qualcosa: mettetevi almeno dei calzini!
- Rabbrividisco all’idea delle loro deiezioni. Anche se m’è dolce il ricordo di quella che mi colpì sulla spalla la mattina del 9 luglio 2006, data la fortuna che portò!
- Sono troppi.
- I loro occhi iniettati di sangue sono quanto di più spaventoso Madre Natura abbia mai realizzato. Non mi stupirei se incrociando il loro sguardo promanasse da esso un fascio di luce accecante.
- Quel piumaggio triste grigio topo avrebbe bisogno di una seria svecchiata.
- Sembrano essere incapaci di camminare se non azionando uno strano congegno meccanico posizionato nel collo, e che collega le zampe alla testa.
- Come dicevo al punto 4, sono davvero troppi.
- Attirano orde di turisti stranieri che si divertono a stuzzicare la loro insaziabile fame continuando a foraggiarli con mollichine di pani e altro mangime. Tali turisti stranieri fanno ciò al fine di farsi ritrarre in fotografie nelle quali assumono pose a mo’ di fontana con chili di piccioni addosso.
- Per quanto ci si sforzi di chiamarli colombi, restano piccioni.
Saranno senz’altro pregiudizi infondati i miei, frutto di grassa ignoranza della materia, di magra cultura avicola (si dice così?), e spero mi perdonerete (anzi, mi aspetto che mi inviate i vostri 10 motivi per cui i piccioni dovrebbero essere amati!). I piccioni, infatti lo so, sono anche molto altro da quanto da me scioccamente descritto.

Piazza Duomo a Milano sarebbe la stessa senza il Duomo, ma non senza i piccioni!
Alcuni li cacciano e se ne cibano, ma eviterei di approfondire. Mi interessa invece il modo in cui il piccione conquista il suo riscatto civico, e cioè quando diventa viaggiatore. Per migliaia di anni l’uomo ha utilizzato questo volatile per comunicare, inviando messaggi a centinaia di km di distanza, sfruttando l’abilità del piccione viaggiatore di ritrovare la via di casa. Peraltro, sono molto note le storie di veri e propri piccioni viaggiatori eroi utilizzati nella Seconda Guerra Mondiale.
Non mi sarei mai aspettato però di imbattermi in una storia così curiosa come quella oggetto della Massima dal Passato di questa settimana! Non pensavo infatti che un piccione che si aggira libero per le strade possa anche essere oggetto di furto.
E invece è successo anche questo.
Verona, quattro di pomeriggio del 2 gennaio 1930. Alcuni ragazzini giocano nei pressi di Castel Vecchio. Il loro divertimento consiste nell’inseguire alcuni piccioni, lanciando loro pietre. Uno degli animali viene ferito e uno dei ragazzi – Mario Perusi – corre a raccoglierlo. Sfortuna volle per il giovane che di lì in quel preciso istante passava un vigile urbano, che colto in flagrante il ladro di colombi, lo denunciò all’autorità giudiziaria.
Il caso giunse fino in Cassazione, che si trovò a decidere sul seguente quesito: un piccione può considerarsi “cosa di nessuno o abbandonata” o è in qualche misura di proprietà del Comune?
La sentenza merita di essere letta anche solo perché fa a suo modo applicazione della mitica disciplina sugli sciami d’api.
Vi anticipo solo che il piccione non si era costituito parte civile.
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