La Massima dal Passato di questa settimana è probabilmente un unicum nel suo genere.
Si tratta di una sentenza del Tribunale di Milano che aveva riconosciuto colpevoli del reato di violenza privata tre sgherri che avevano costretto con le cattive un anziano signore a bere olio di ricino, come era costume fare all’epoca.
Come si legge nella nota di commento alla sentenza, la fattispecie non aveva mai occupato prima di allora la giurisprudenza, sia perché “non si era affacciata al mondo della realtà prima del movimento così detto fascista, sia perché non si era potuto su di essa giudicare prima d’ora, per la singolare amnistia promulgata dal fascismo giunto al potere”.
Ci si chiedeva infatti, già all’epoca, come potessero restare impuniti certi atti di violenza che agevolmente sarebbero potuti rientrare in ipotesi delittuose di diritto positivo: costringere una persona a ingurgitare una forte dose di qualche sostanza imbevibile, subirne la dipintura del viso, la svestizione, ed altre simili umiliazioni che spesso però restavano impunite.
Atti ancor più esecrabili, se – come nel caso di specie – erano commessi da giovani ardimentosi e in forze a danno di persone deboli, anziane e indifese che spesso accettavano di bere olio di ricino, senza opporre la minima resistenza.
D’altronde la prassi non era nemmeno celata dagli squadristi, che anzi ne facevano motivo di orgogliosa propaganda, come questa famosissima vignetta ci ricorda.
La sentenza, che si interroga sulla riconducibilità della fattispecie al reato di violenza privata o di mere minacce (risolvendo per la prima, ben più grave) racconta con incedere giornalistico l’Italia al tempo della Marcia su Roma: “conflitti gravissimi che travagliano ogni lembo di terra italiana“. Conflitti che avevano portato i giudici di Milano a concedere ai tre galantuomini anche uno sconto di pena.
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Il Tribunale: — La sera del 27 dicembre 1922 Giuseppe Moretti, Italo Magenes ed Ettore Magnaghi entra vano nella casa di abitazione di Antonio Bolzoni di Barate di Gaggiano, e lo costringevano a bere un bicchiere di birra pieno di olio di ricino.
Per questo fatto, denunciato dai Bolzoni all’arma dei RR. CC. i tre individui di cui sopra venivano tratti giudizio per rispondere di violenza privata come al capo d’imputazione.
Il Tribunale osserva che per la sussistenza del reato in parola occorre che contro la vittima del reato stesso si usi violenza o minaccia, per costringerlo a fare, tollerare od omettere qualche cosa senza che però si tenda con ciò alla lesione di un diritto particolare (integrità personale, proprietà ecc.), poiché in tal caso la violenza non sarebbe che elemento costitutivo od aggravante altra ipotesi delittuosa (lesioni, rapina ecc.).
Conseguentemente perché si abbia il delitto di cui all’art. 154 cod. pen. occorre il concorso di questi estremi:
a) che vi sia costrizione diretta a che uno faccia, tolleri od ometta qualche cosa ; b) che la costrizione avvenga o con violenza o con minaccia.
Nella specie non può dubitarsi che vi sia stata la costrizione; gli stessi prevenuti hanno nettamente dichiarato di avere in precedenza deciso di far ingoiare l’olio di ricino al Bolzoni, colpevole, secondo loro, di avere sparlato dei fascisti del luogo e di agire, come mandatario dalla Cooperativa di consumo di Gaggiano, vendendo vino senza essere munito della licenza prescritta. A questo proposito non è fuori di luogo ricordare subito che il Magenes è figlio di un’oste di Barate, per modo che l’attività commerciale del Bolzoni, della cui illegalità non si ebbe nessuna prova, si sarebbe svolta in antitesi agli interessi privati di uno dei prevenuti.
Comunque si rileva che la costrizione subita dal Bolzoni è di per sé illecita. La libertà dei cittadini non può subire limitazioni oltre quelle segnate dalla suprema necessità della convivenza civile; di qui la ragione di punire qualsiasi attentato alla libertà privata oltre i limiti nettamente segnati dalla legge. Basta accennare all’azione compiuta dai prevenuti nei riguardi del Bolzoni per riconoscere nell’azione stessa un attentato alla libertà individuale di un cittadino senza altre finalità specifiche che possano prospettare una ipotesi di reato diverso da quello di cui all’art. 154 cod. penale.
E’ positivo però che i prevenuti non commisero violenze fisiche in danno del Bolzoni: anche se vi avessero pensato non ve ne fu bisogno perché il timore che invase il Bolzoni di fronte al loro contegno ed alla loro imposizione fu tale da paralizzare la volontà e da violentarne di conseguenza la libertà individuale.
Questo timore non fu, a sua volta, che la conseguenza della minaccia posta in essere dai giudicabili nei confronti del Bolzoni.
Si è detto della difesa che nella specie non vennero compiuti atti specifici diretti ad intimorire il Bolzoni, né vennero contro di lui pronunciate frasi di per sè minacciose. Ciò però non è esatto se si consideri il fatto in esame nella sua vera portata.
Non si possono dimenticare le condizioni in cui si è svolta la vita della nazione dell’anno decorso.
Conflitti gravissimi, spesse volte mortali, travagliarono ogni lembo di terra italiana; alle violenze degli appartenenti ai partiti antinazionali i fascisti ed i nazionalisti hanno risposto con rappresaglie sanguinose; negli ultimi tempi si generalizzò l’abitudine di sottoporre gli avversari a purghe forzate, usando loro violenze in caso di resistenza
Tutto ciò ben sapeva Bolzoni e sapevano pure i prevenuti il cui contegno in quella sera costituiva già di per sé una grave minaccia per la parte lesa.
Non è possibile infatti escludere il carattere minaccioso nel fatto di tre persone giovani, forti, in fama di ardimentosi che si presentano di sera nella casa di un uomo solo, di età piuttosto avanzata, che sa di avere i tre avversari implacabili. E’ perfettamente credibile il Bolzoni quando afferma che non oppose resistenza alla volontà dei prevenuti convinto che non ubbidendo alla loro imposizione si sarebbe certamente opposto a danni gravi per sé, per i suoi, per le cose sue. Per questo stato di animo della parte lesa, effettivamente voluta dai giudicabili, si deve ritenere la sussistenza dell’estremo della costrizione con minaccia, atto ad integrare il delitto di cui è questione.
Il Moretti ed il Maganes hanno d’altronde fornito la prova di ciò con le loro stesse dichiarazioni. Evidentemente per attenuare la loro responsabilità cercarono di far credere di avere ad un certo momento desistito dal loro proposito avendo il Bolzoni dimostrato di piegarsi facilmente alla volontà. Il che dimostra che i prevenuti agirono e si comportarono con l’intenzione di usare una violenza morale al Bolzoni (chè nella specie non vi furono violenze fisiche) e che rimasero delusi di fronte all’atteggiamento remissivo della parte lesa. La causzione morale da loro voluta e perseguita attraverso i loro atti non può essere costituita che da una minaccia che doveva piegare ai loro voleri il Bolzoni.
Che se però si volesse prescindere da tutto ciò e considerare i fatti nella loro nuda obbiettività, è logico il dedurne che il Bolzoni non può essersi indotto a trangugiare una notevole quantità di olio di ricino, superando la repugnanza fisica instintiva e avvilendo la sua personalità morale se non per una condizione di cose che alla sua mente si rappresentava ragionevolmente come di una gravità eccezionale. E poiché egli non subì violenze fisiche, si deve concludere che abbia subito una violenza psichica derivante dalla ingiusta minaccia a suo danno commessa.
Ritenuta così la sussistenza del reato di violenza privata, si deve affermare di conformità la responsabilità di tutti e tre i giudicabili.Essi, come dichiarammo, hanno agito dietro accordi preventivi e il colloquio che precedette l’imposizione di bere l’olio di ricino non fu che il mezzo per consumare la minaccia che doveva costringere il Bolzoni a subire la violenza alla sua libertà. Il contegno tenuto in seguito verso la vittima che, a cose fatte, viene schiaffeggiata dal Moretti e verbalmente minacciata di bastonate se la lesione subita non fosse bastata a farlo ravvedere, rientra nel quadro generale del reato e lo caratterizza.
Nella specie ricorre l’aggravante del numero: su ciò non vi può essere quistione e ricorre anche quella dal fine raggiunto, di fronte alle dichiarazioni del Bolzoni ed alle deposizioni delle testimoni sentite all’udienza.
Del resto su questo punto la negativa dei prevenuti fu molto fiacca e senza convinzione.
Va applicata pertanto la disposizione dell’art. 154 capov. 1 cod. pen., riconoscendosi idonea la pena irroganda per i prevedenti incensurati dei giudicabili, in anni tre di reclusione ed in lire seicento di multa. Però non si deve dimenticare il periodo che abbiamo testè attraversato e le condizioni speciali di ambiente in cui il fatto si è svolto. Tutto ciò induce il Collegio ad accordare ai tre imputati il beneficio di cui all’art. 59 cod. penale. La pena da irrogarsi in concreto si riduce quindi ad anni due e mesi sei di reclusione e lire cinquecento di multa per ciascuno.
Per questi motivi, ecc.
(Il Foro Italiano, vol. 48, II, 91, 1923)