“E tutti sappiano che non è capriccio di persona,
che non è libidine di Governo,
che non è passione ignobile,
ma è soltanto amore sconfinato e possente per la Patria”
Si tratta delle parole che chiudono il celebre discorso alla Camera di Mussolini di sabato 3 gennaio 1925.
Il discorso è riportato ovunque, ma solo leggendo il resoconto stenografico pubblicato sul sito della Camera si può apprezzare compiutamente il clima politico di quella giornata. Le parole del Presidente del Consiglio infatti, sono salutate da frequenti acclamazioni, riportate nel resoconto (Vivissimi prolungati applausi – Moltissimi deputati sorgono in piedi – Grida di Viva Mussolini! – Applausi anche dalle tribune – Gli onorevoli ministri e moltissimi deputati si congratulano con l’onorevole presidente del Consiglio).
L’esordio del discorso è solenne e sovversivo allo stesso tempo:
“Signori! [Mussolini non si rivolge al parlamento con l’espressione “onorevoli”] Il discorso che sto per pronunziare dinanzi a voi forse non potrà essere a rigore di termini classificato come un discorso parlamentare“.
Il passaggio fondamentale, il seguente: “Ma poi, o signori, quali farfalle andiamo a cercare sotto l’arco di Tito ? Ebbene, dichiaro qui, al conspetto di questa Assemblea e al conspetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. (Vivissimi e reiterati applausi — Molte voci: Tutti con voi ! Tutti con voi!). Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori -la corda; se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa ! (Applausi). Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! (Vivissimi e prolungati applausi —Molte voci: Tutti con voi !).
Ciò di cui Mussolini si assume la responsabilità è di fatto quanto avvenuto il giugno precedente in occasione dell’omicidio di Giacomo Matteotti, deputato del Partito Socialista Unitario.
Matteotti, soprannominato tempesta, era stato eletto per la prima volta in parlamento alle elezioni del 1919. Erano le prime elezioni in cui si presentò una lista dei Fasci Italiani di Combattimento, presente solo nel collegio di Milano, e che ottenne meno di 5.000 voti.

schedina elettorale di propaganda
Fu rieletto nel 1921, e in quell’occasione i fascisti ottennero 35 seggi, uno dei quali a Mussolini, il terzo deputato più votato d’Italia. Quello stesso anno, Matteotti pubblico l'”inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia“, con la quale denunciava le violenze squadriste nel corso della campagna elettorale.
Matteotti fu rieletto anche nel 1924. Il fascismo e Mussolini erano ormai saldamente al potere. A pochi giorni dalle elezioni, il deputato socialista pronunciò il discorso per denunciare i brogli elettorali a favore dei fascisti, discorso che segnò la sua condanna a morte.
Il 30 maggio 1924, infatti, Matteotti si presentò alla Camera con queste parole:
MATTEOTTI – “L’elezione, secondo noi, è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. In primo luogo abbiamo la dichiarazione fatta esplicitamente dal Governo, ripetuta da tutti gli organi della stampa ufficiale, ripetuta dagli oratori fascisti in tutti un valore assai relativo, in quanto che il Governo non si sentiva soggetto al responso elettorale, ma che in ogni caso – come ha dichiarato replicatamente – avrebbe mantenuto il potere con la forza, anche se.. “(Vivaci interruzioni a destra e al centro – Movimenti dell’onorevole presidente del consiglio. Voci a destra: Sì, sì! Noi abbiamo fatto la guerra (Applausi alla destra e al centro).
MATTEOTTI – “Codesti vostri applausi sono la conferma precisa della fondatezza del mio ragionamento. Per vostra stessa conferma dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà…” (Rumori, proteste e interruzioni a destra) “Nessun elettore si è trovato libero di fronte a questo quesito… […] Non dovevate voi essere i rinnovatori del costume italiano?, non dovevate voi essere coloro che avrebbero portato un nuovo costume morale nelle elezioni? (Rumori) e, signori che mi interrompete, anche qui nell’assemblea?” (Rumori a destra) […] “Coloro che ebbero la ventura di raggiungere le cabine, ebbero dentro le cabine, in moltissimi
comuni specialmente della campagna, la visita di coloro che erano incaricati di controllare i loro voti. Se la Giunta delle elezioni volesse aprire i plichi e verificare i cumuli di schede che sono state votate, potrebbe trovare che molti voti di preferenza sono stati scritti sulle schede tutti dalla stessa mano […]”.

lista del blocco nazionale. Mussolini è indicato con Mussolini Prof. Benito
Undici giorni dopo, mentre si stava dirigendo a Montecitorio, Matteotti viene aggredito da cinque energumeni nei pressi del lungotevere Arnaldo da Brescia e fatto salire a forza su una Lancia Lambda. All’interno dell’elegante auto nera avviene una colluttazione. Matteotti viene accoltellato a un braccio e al torace, fino a morire dissanguato dopo alcune ore di agonia.
Il cadavere del deputato socialista venne seppellito in un bosco fuori Roma.
Subito si sparse nella capitale la notizia del rapimento di Matteotti. Anche Mussolini si disse preoccupato e fece avviare le ricerche.

La Stampa del 13 giugno 1924
Le indagini furono portate avanti dal magistrato Mauro del Giudice, che risalì in poco tempo ai rapitori: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo, i quali furono arrestati.
Del Giudice fu destituito dall’incarico e costretto al pensionamento forzato.
Il cadavere di Matteotti fu trovato a metà agosto, nella macchia della Quartarella.
Il processo per omicidio si svolse a Chieti. Avvocato difensore dei cinque fu addirittura Roberto Farinacci, segretario nazionale del PNF. Dumini, Volpi e Poveromo furono riconosciuti colpevoli e condannati a 5 anni.
Dumini per diverso tempo entrò e uscì di galera, ora condannato per oltraggio a Mussolini (che minacciava di svelare il suo coinvolgimento nel delitto), ora graziato dallo stesso duce (per timore che la minaccia si concretizzasse). Già negli anni del regime infatti, il ruolo diretto del governo dell’omicidio Matteotti sembrava evidente, tanto da scatenare – almeno finché poté farlo – anche la stampa.
Ma con la caduta del regime, il caso fu riaperto. Il processo contro gli squadristi, infatti, era stato chiaramente pilotato, e la Corte di Cassazione nel 1944, liberatasi del fardello fascista, dichiarò l’inesistenza giuridica della sentenza di condanna. Ed è proprio la sentenza riportata sotto in calce. Voi ne avevate mai letta una simile?
Vi fu dunque un nuovo processo e questa volta, Dumini, Volpi e Poveromo furono condannati all’ergastolo. L’ergastolo fu poi commutato in 30 anni. Nel 1953 l’unico ancora vivo era Dumini, che beneficiò prima dell’amnistia e poi della grazia. Dumini morì da uomo libero a 73 anni nel 1967, fulminato mentre cambiava una lampadina.
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