Iniziano ad arrivare i primi freddi: siamo a ottobre.
Un ottobre molto in là col tempo, esistevano in Italia ancora tante Corti di Cassazione: così addietro nel tempo che non era in vigore neppure il Codice Zanardelli!
L’anno infatti è il 1887 e siamo di fronte alla Corte di Cassazione di Torino. Il fatto a processo era avvenuto a Pontremoli, era passato in qualche modo alla Corte di Appello di Genova e da lì era approdato a Torino.
Di cosa tratta il caso di cui stiamo parlando? Ma ovviamente, vista la stagione, di furto di castagne!
Chi di voi ne è ghiotto forse potrà mettersi nei panni del ladro. Un po’ come gli estimatori delle pannocchie avranno potuto immedesimarsi in quell’altro caso che vi abbiamo raccontato (per la serie dei furti non convenzionali, avevamo scritto anche del furto di piccione, ma questa è una altra storia…).
D’altra parte, le castagne sono un frutto più prezioso di quanto non si pensi: sui nostri Appennini da tempo immemorabile la farina di castagne sostituisce nell’alimentazione della gente comune la farina di grano, che non cresce in quel clima freddo e inospitale.
E poi cosa si può fare con le castagne?
Il castagnaccio.
La zuppa di castagne.
Gli gnocchi all’ossolana.
L’arrosto di maiale con castagne (consigliato).
I biscotti con farina di castagne.
Le tagliatelle con farina di castagne.
Il risotto alle castagne.
I necci.
I marron glacé…
e ovviamente le castagne al forno.
Tantissimi piatti a cui forse pensava Teresa Donati quando sottrasse alcuni di quei frutti farinosi caduti alla base di un castagno. Il proprietario dell’albero però non la prese bene e la denunciò. E così Teresa venne condannata.
Ma prendere delle castagne cadute da un albero è davvero un reato? Il Codice Penale Sardo del 1839, promulgato nuovamente nel 1859, prevedeva una lunga fattispecie rubricata come “furto campestre“: problemi di una Italia ancora molto rurale.
L’articolo 624 del Codice prevedeva:
Il furto di aratri, di attrezzi aratorii, di prodotti o frutti staccati dal suolo o dalle piante, di legna nelle tagliate dei boschi, di alveari d’api, di piante nei vivai, di pesci custoditi nelle peschiere, stagni od altri siffatti luoghi, di mercanzie od effetti esposti alla fede pubblica o nelle campagne, o sulle strade, sulle fiere, o sui mercati, od in altri luoghi pubblici, sarà punito colla pena del carcere non inferiore di mesi sei se è stato, commesso di giorno, e non minore di un anno se di notte.
Teresa Donati era quindi stata condannata per furto campestre, ma il Procuratore del Re non riteneva che la fattispecie fosse stata integrata. Di ricorso in ricorso la vicenda arrivò fino alla Cassazione di Torino.
Qua i giudici si attennero a quella che apparentemente era l’abbondante giurisprudenza sul tema. Secondo la Cassazione, con la disposizione dell’articolo 624 il legislatore voleva tutelare il contadino che doveva necessariamente ammassare il raccolto sul campo e non poteva stare costantemente a sorvegliarlo.
E fin qui, a quanto pare, Teresa Donati risultava colpevole, anche se non aveva staccato i frutti dalle piante. Tuttavia per punirla era necessario anche un secondo elemento: che l’abbandono di prodotti agricoli alla pubblica fede non fosse dovuto alla negligenza o noncuranza del contadino.
Tutte le sentenze dei gradi precedenti però riconoscevano fosse consuetudine del luogo (e di molti altri) che i contadini lasciassero i ricci di castagne alla base degli alberi per una settimana prima di raccoglierli.
E dunque per Teresa non poté esserci altro che una condanna per furto campestre.
Le castagne da fare arrosto probabilmente se le dovette comprare.
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