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53. L’Ubbriachezza Accidentale (1890)

L’Ubbriachezza Accidentale (1890)

Per una volta, parliamo di cose estremamente serie: l’alcol.

Anzi no, ancor meglio, parliamo di ubbriachezza. Rigorosamente con due “b”, come ci insegnano i nostri amici del XIX secolo.

Sapete come erano definiti allora coloro che si lasciavano andare a questo prelibatissimo vizio? Da uno dei miei libri preferiti (poi vi spiego…) ecco una perfetta descrizione del briaco.

“Il briaco ha l’aspetto goffo e greve; cammina a stento e vacilla; bitorzoli qua e là deturpano il suo volto abbronzato e del colore di rame; ha il naso rosso e pieno di bernoccoli, gli occhi foschi e languidi, il fiato puzzolente, i labbri tumidi, pendenti e scossi da continuo fremito. La pelle ha perduto il naturale suo colore, si è fatta di un giallo particolare, floscia e solcata da anticipate rughe. I muscoli atrofizzati non hanno più forza; è in preda a tremori, ai quali non può sottrarsi, la mattina e la sera specialmente, e che lo rendono incerto nel passo. La sua memoria è in parte distrutta; nessuno criterio; oscure e confuse le percezioni: non può accozzare due idee. La testa, china al suolo, accenna l’abiezione e l’abbrutimento dell’ubriaco. Indifferente per tutto che non è bevanda, mangia poco, trascura le vesti, o si copre di luridi cenci; è ridotto allora a quell’ignobile stato, cui si può applicare l’epiteto crapula dei Latini”

Solo che io volevo raccontarvi oggi di una storia un filino meno crapulosa. Quella di Giovanni Varetti che il 15 febbraio del 1890 si era presentato in preda ai fumi dell’alcol nel negozio di tal Benedetto Labese. Lì inizia a importunare i clienti dando molestie senza ragione. Magari si trattava solo di qualche gridolino, un paio di smorfiette, un fischio, non lo so… fatto sta che, scocciato, il buon Labese chiama le guardie. Queste si precipitano immantinenti e chiedono al nostro caro Varetti di seguirle in ufficio (la sentenza dice proprio così, nemmeno fossero due commercialisti). Comunque quando Varetti vede le guardie impazzisce sul serio e addirittura si permette di gridare loro “schifosi e birbanti” (siamo nel 1890, ragazzi, quali insulti vi aspettavate?), e a dare calci e pugni a casaccio.

Giovanni Varetti si becca quindi un processo per oltraggi con parole e violenze contro agenti della forza pubblica.

Il Tribunale di Roma (scusate, non vi avevo detto che eravamo da quelle parti..) lo assolve! Esatto, lo assolve. E il ragionamento è assai curioso. Era stato accertato, infatti, che il nostro eroe era ubbriaco talmente da non conservare la coscienza dei propri atti. Non imputabile insomma.

Il p.m. non ci sta e impugna la sentenza.

Quella che vi riportiamo sotto è proprio la sentenza della Corte d’Appello di Roma che si pronuncia su questo spinosissimo caso. L’ubriaco Varetti era imputabile o no? Tutto ruota intorno ai concetti di ubbriachezza volontaria e di ubbriachezza accidentale. Solo quest’ultima secondo la Corte può escriminare o al massimo comportare una diminuzione della pena.

Ma, ragazzi, cosa diavolo vuol dire ubbriachezza accidentale? Accidentale in che senso? Che ci si ubriaca per sbaglio? Ma la Corte è saggia e la risposta ha per tutto. Seguite lo strepitoso ragionamento.

L’ubbriachezza accidentale è solo quella cagionata da:

  1. aver bevuto licori di cui si ignoravano le qualità inebbrianti (beh, a chi non capita di tracannare liquidi alcolici senza rendersi conto che siano tali?)
  2. essersi trovato in un laboratorio in cui si manipolano sostanze alcooliche (praticamente succede un giorno sì e un giorno no)
  3. aver dormito od abitato in un magazzino, ove le uve sono in fermentazione, ignorandone gli effetti perniciosi (dove si trova questo curioso B&B?)

Capirete insomma che la casistica è un po’ residuale, come direbbero i giuristi veri.

E cosa ne è stato del Varetti? Per scoprirlo, non vi resta che cliccare sul tasto sotto e leggere la minutissima sentenza. State in ogni caso bene accorti a non ignorarne gli effetti perniciosi.

Varetti Giovanni, imputato di oltraggi con parole e violenze contro agenti della pubblica forza, venne dal tribunale penale di Roma assolto, sulle considerazioni che in quell’occasione era ubbriaco talmente da non conservare la coscienza dei propri atti.

Nei termini di legge il pubblico ministero ha prodotto appello, rilevando che l’ubriachezza per escriminare, oltre a dovere produrre un’infermità di mente per cui sia tolta la coscienza dei propri atti, deve essere accidentale, che nella specie, non essendosi ciò verificato, il tribunale doveva attenuare la pena, ma non poteva assolvere il Varetti.

Dalla pubblica discussione è risultato che il 15 febbraio 1890 il Varetti, ubbriaco, essendosi introdotto nel negozio di Labese Benedetto, cominciò a minacciare le persone ivi presenti dando molestie senza ragione; due guardie municipali lo invitarono a seguirle in ufficio, allora si ribellò e non bastando di oltraggiarle con parole di “schifosi e birbanti”, prese a dare calci e pugni.

Venne assodato che il Varetti era talmente ubbriaco che non poteva avere coscienza dei propri atti. Attesoché le disposizioni legislative contenute nel l’art. 48 sono chiare ed esplicite, né possono fraintendersi.

Per ottenere i benefizi di cui agli art. 46 e 47, bisognano due fattori, l’infermità della mente ed in tale stato da togliere la coscienza e la libertà dei propri atti, e che l’ubbriachezza sia accidentale. La sapienza del legislatore non poteva discriminare e dichiarare impunibile colui che volontariamente si mette nelle condizioni anormali. Per escludere la responsabilità era necessaria per la giustizia la prova che l’agente non avesse in modo alcuno concorso volontariamente nel fatto criminoso, di cui si rende responsabile.

L’ubbriachezza accidentale può essere cagionata da aver bevuto licori, di cui si ignoravano le qualità inebbrianti, o di essersi trovato in un laboratorio in cui si manipolano sostanze alcooliche, o per aver dormito od abitato in un magazzino, ove le uve sono in fermentazione, ignorandone, gli effetti perniciosi.

Nella causa che ci occupa l’ubriachezza del Varetti fu volontaria.

Egli ingoiò del vino ed in quantità da ubbriacarsi. Avendo voluto ciò che avvenne, gli effetti sono la conseguenza della causa voluta, e se criminosi, ei ne deve rispondere. Ammettere le teorie del tribunale sarebbe, oltre il fraintendere le disposizioni in esame, una aperta contraddizione con tutte le disposizioni di legge che reggono la materia. Se l’ubriachezza molesta ha pure una penalità, come poi potrebbe dichiararsi impunibile l’ubriaco che si rende responsabile di reato maggiore?

da Il Foro Italiano, 15, 1890, 491.

© Riproduzione Riservata

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