Sfogliando le pagine della rivista La scuola positiva nella giurisprudenza penale del 1902 (e chi non si dedica almeno una volta a settimana a questo hobby?) ci siamo imbattuti in un reperto letterario che sembra uscito dritto dritto dalla penna di Gogol’.
Si tratta della straordinaria autobiografia di un paziente psichiatrico, tale G. B., persona “troppo poco savia per stare in società ma troppo poco pazza per stare in un manicomio comune”.
Dopo aver girato a piedi mezza Italia e aver provato con scarsi successi una gran quantità di mestieri (nel suo singolare CV troviamo, tra le altre cose: meccanico, giornalista, guardiano di maiali, stagnino, farmacista, vinaio…), dopo aver bevuto, giocato e fatto a botte molto ma non aver mai fatto davvero troppo male a nessuno (se non al cuore della sua povera madre), finì al manicomio giudiziario di Montelupo Fiorentino.
Qui, ripensando a tutti i suoi irragionevoli vagabondaggi, consegnava al direttore Vittorio Codeluppi le sue memorie. Il dott. Codeluppi a sua volta le mandava alla rivista e noi, non potendo resistere alla loro verve, ve le ripresentiamo qui.
Trovandomi nel R. Manicomio di Montelupo, in un momento di buona luna ho pensato di scrivere la mia Vita: non si faccino maraviglia i lettori se un pazzo vuole ricordarsi del passato, perché i pazzi ci sono di più qualità.
Però non sono furioso, né pericoloso: solo volubile, cambio idea da un momento all’altro, ho la smania di viaggiare, di bere molto e di lavorare poco.
Prego i lettori quando avranno letto tutte le mie pazzarellerie di non farmi ricoverare al Manicomio perché ci sono già e prevedo che ci starò ancora dell’altro.
Mi chiamo G.B. e sono nato l’8 novembre 1874 in Firenze. Avevo cinque anni quando mi morì il babbo di un accidente in seguito ad una grossa sbornia. Mia madre, essendo impiegata presso una famiglia di signori, andava via di casa la mattina fino alla sera, così prima di recarsi al lavoro accompagnava me e mia sorella da una vicina. Io scappavo di casa e andavo con altri ragazzacci facendone di cotte e di crude.
Mia madre allora, per mezzo di buone persone, mi mise in un Istituto di orfani, ma dopo un mese, in seguito alle mie biricchinate, il Direttore mi mandò presso una famiglia di contadini i quali mi consegnarono 8 o 10 maiali da badare e pochissimo da mangiare. Quella vita durò diversi giorni, quando a un certo punto sentii il bisogno di scappare: detto fatto, montai sul somaro e via, ma dopo qualche chilometro il contadino mi rincorse. Agguantatomi, dopo avermi somministrati parecchi pugni e schiaffi, mi rimandò da mia madre.
Lei si raccomandò di nuovo al Direttore dell’Istituto e fui mandato in un altro paese presso uno stagnino, ma anche lì dopo pochi giorni feci conoscenza con diversi ragazzi e cominciai a scappare di bottega.
Mia madre allora, per mezzo di persone caritatevoli, mi mise a mezza pensione nel Collegio dei Frati Bigi. Ma se si andava a lezione bisognava pregare, se si andava al refettorio bisognava pregare, sicché di questa vita ben presto n’ebbi pieni i c… e un giorno in chiesa, poiché non volevo pregare, dissi a un frate: “Vallo a pigliare in c…”, e cominciai a strillare come un pazzo e a bestemmiare come un turco, buttai a terra sedie, panche, ragazzi e non mi misi quieto se non quando mi vidi legato come un salame. Il giorno dopo fui mandato da mia madre ma eravamo sempre alle solite: in casa assolutamente non ci potevo stare, sentivo il bisogno di correre e di girare.
Nei primi del gennaio del 1883 fui mandato nella casa di correzione di Pisa: c’erano dodici mestieri, li feci tutti e non imparai nessuno. Per non andare al lavoro ne inventavo di tutte. Mi facevo dei tagli alle mani oppure masticavo e inghiottivo delle cicche per farmi venire il vomito e così non andavo mai a lavorare.
Dopo essere stato sei anni in casa di correzione, ove non imparai nulla di buono, mi impiegai in un’agenzia giornalistica. Dopo due mesi cambiai bottega e andiedi a fare il vinaio, dopo poco mi stufai e andiedi ragazzo di farmacia, dopo mi misi a fare il meccanico. Un giorno trovai un mio compagno che era stato con me ai corrigendi e mi raccontò che aveva fatto parecchi viaggi in ferrovia senza pagare e mi insegnò il modo: detto fatto, piantai l’officina e il giorno dopo decisi di partire alla volta di Venezia.
Andai alla stazione e presi un biglietto per il primo paese, invece continuai fino a Casalecchio. Là scesi e mi misi a camminare; arrivai a Bologna: girai tutta la città e dopo due giorni presi il biglietto pel primo paese e via, ma fui scoperto e dovetti darmela a gambe. Via via arrivai a Ferrara: là andiedi in giro per la città. Verso sera sortivo da un’osteria mi si presentano due signori e mi domandano le carte. Non avendole, mi portano in questura e il Delegato di questura mi fece rimpatriare.
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Tornato in Firenze m’impiegai in una scuderia e guadagnavo bene e mi piaceva pure quel mestiere. Una sera trovo due miei compagni, si va a bere e si parla di Roma e delle belle cose che si dicevano di quella città. La voglia di girare mi prende, lascio gli amici e via.
Maledetto destino, appena arrivato trovai due guardie di P.S. e per farla corta si ripeté la storia di prima e fui rischiaffato a Firenze. Mi impiegai come cocchiere della marchesa L. ma coi compagni presi il vizio del gioco della zecchinetta e persi tutti i quattrini che guadagnavo.
Venni licenziato e a piedi andai a Viareggio. Essendo stagione di bagni mi misi a vendere paste, dopo mi occupai come vetturino e in poco tempo misi da parte da un 400 lire: ora per dire tutta la verità dirò che questi quattrini non li feci tutti col lavoro, ma in altro modo.
Una sera incontrai due miei compagni vestiti molto bene, i quali mi insegnarono a fare come loro, di andare in cerca di sodomisti: infatti io tutte le sere andavo in certi luoghi solitari e là trovavo dei signori che lo volevano in c… e mi davano persino 20 lire per volta.
Finita la stagione dei bagni fui aggregato alla 1^ batteria artiglieria a Livorno. Ma la prima sera, essendomi trattenuto fuori a bere, entrai tardi: il sergente di guardia mi rimproverò e io lo cazzottai di santa ragione, cosicché passai subito in prigione. Io non so come la sia andata, ma so che mi trovai all’Ospedale Militare legato con camicia di forza e dopo mi vidi passato al Manicomio. Là stetti pochi giorni soltanto perché mi sentivo sano e fui consegnato a mia madre.
Tornato a Firenze mi recai a un’agenzia di collocamento e fui ascritto in un registro. Dopo circa 20 giorni fui chiamato e mi dissero che un signore di Padova cercava un cocchiere: io accettai. Stetti là 20 giorni e poi mi stufai perché c’era un vecchio cavallo con un pelo lungo come un orso.
Tornato a Firenze mi impiegai garzone in una pizzicheria, ci restai appena 20 giorni. Mi misi a vendere delle stoffe e dopo poco partii. A Bologna, entrai in città e andiedi a mangiare e bevvi molto vino di Barletta così persi il treno e ritornai in città a bere: avendo commesso delle stranezze fui arrestato e portato al Manicomio. Vi stetti 4 mesi e fui riconsegnato a mia madre.
Mi misi a fare il fruttivendolo, ma mi misi anche a giocare, così mi ritrovai senza denari. Mi rivolsi a mio zio, il quale riuscì a impiegarmi in un albergo: dopo circa un mese il padrone mi rimproverò con cattive maniere pel mio contegno ed io allora mi licenziai.
Avevo circa 50 lire e mi misi al solito a girare. Allora io andai in un’osteria e mi bevetti un fiasco intero di vino e ritornai all’albergo armato di bastone e per vendicarmi cominciai a rompere le vetrate: fui arrestato, portato in carcere e quindi passato in questo Manicomio, ove mi trovo già da due anni. Se avrò la fortuna di ritornare in libertà farò il venditore ambulante: se poi invece mi terranno qui, a me per dire la verità poco me ne importa, basta che la sera vada a letto colla pancia piena.
Nei primi tempi che mi trovavo ricoverato al Manicomio di Montelupo mi sono fatto fare da un compagno, però di nascosto dei Signori Superiori, diversi tatuaggi in figura e sono:
- Una ballerina
- Un passero
- Una farfalla
- Un fiore
- Una lucertola
- La luna
- Una stella
- Una cometa
- Un occhio di sole
- Un dado da gioco
- Un diavolo
- Una guardia di P.S. che fa di corpo
- Una grande sirena che suona il flauto
- Una palma
- Un grosso teschio da morto con gli ossi
- Un treno
- Una vipera intorno al polso
- Una testa di guerriero
- Una testa con le corna rappresentante San Martino.
Dietro tutti questi segni non verrò mai perso.
Ed ora con rispetto saluto i lettori.