Nella Francoforte degli anni ’40 una giovane donna facoltosa commissiona a un sedicente pluriassassino l’omicidio di suo marito, in cambio di un compenso da capogiro. Il loro piano sembrerebbe perfetto, se non fosse che…
Certe storie, troppo assurde, intricate e inverosimili, uno pensa di trovarle solo nei film. E invece, la lieta sorpresa arriva quando ci si imbatte in vicende simili sfogliando una rivista di diritto penale, La Corte di Assise, pubblicata a Milano – ma diretta da Foggia – nel 1940 (e che da una decina di anni ha ripreso da Napoli le pubblicazioni come quadrimestrale, ma dei cui contenuti vi parleremo tra cento anni).
Una storia che ben potrebbe essere venuta fuori da un soggetto per un film del cinema noir. A rendere più verosimile questo accostamento, c’è anche l’uso del discorso, dei termini e il lessico degli anni ’40. Ve la riportiamo così come l’abbiamo letta noi, per lasciarvi lo stesso piacere della scoperta che abbiamo provato quando l’abbiamo scovata per la prima volta.
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Uscito da poco dal carcere di Berlino, un noto malvivente, certo Dodel, teneva circo tempo addietro in un caffè di Francoforte frequentato da pari suoi, vantandosi delle sue criminose imprese.
Una giovane donna che stava ad ascoltare domandò all’improvviso al Dodel se aveva anche ucciso qualcuno. «Ma come no? Un bel numero», rispose quel fior di galantuomo.
La donna, che appartenea all’alta borghesia di Francoforte e che, a quanto pare, si era recata nell’ambiguo locale per trovare un individuo che si assumesse l’incarico di uccidere suo marito residente a Vienna, fece tale proposta al Dodel e costui, manco a dirlo, accettò. Largamente rifornito di quattrini, il Dodel assicurò la dama che sarebbe partito entro ventiquattro ore per Vienna. A fattaccio compiuto la donna si impegnò ad inviare a una determinata persona una forte somma.
Tutto bene quel che finisce bene, direte voi. E invece no! Infatti, era appena trascorsa una settimana dalla partenza del Dodel, che un anziano e austero signore, tutto vestito di nero e con una magnifica barba bianca, si presentò alla signora alla sua abitazione dichiarando di essere un funzionario della polizia austriaca. Con molti sospiri e reticenze il funzionario comunicò alla sua interlocutrice che suo marito era stato trovato morto nel suo appartamento. «Il povero uomo si è tolto la vita, mediante una potente dose di veleno, forse per dispiaceri amorosi».
La vedova scoppiò in dirottissimo pianto, lodò fra i singhiozzi il defunto che, nonostante i suoi difettucci, era tuttavia una perla di marito, e riuscì persino a inscenare uno svenimento (scena già pronta per essere interpretata da una grande attrice). Il commissario se ne andò. La vedova si affrettò ad inviare, nella giornata stessa, la somma pattuita al Dodel e vestì le gramaglie.
Qualche giorno dopo, un’amica la consigliò di informarsi a Vienna se il defunto era stato convenientemente tumulato, e la signora, rivoltasi alla polizia austriaca, apprese che il marito stava benissimo: era stato visto, la sera precedente, in allegra compagnia.
A quel punto, la sventurata protagonista della nostra storia non ci vide più dalla rabbia e – che ci crediate o no, cari lettori – ebbe l’ardire di denunciare alla polizia il truffatore! Venne naturalmente arrestata.
Comparsi dinanzi al Tribunale, la signora e il Dodel, questi è stato condannato a 10 mesi di carcere, e la signora a 4.
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Il racconto non ci dice molto, purtroppo, sul processo. Sarebbe stato bello leggere le deposizioni dei testimoni, l’arringa dei difensori, la requisitoria del PM. Ma accontentiamoci, suvvia, che storie come queste, al giorno d’oggi, esistono solo nei film.
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