Negli anni ’30 giungeva in Italia la notizia di una macchina per scoprire la menzogna inventata negli Stati Uniti, con cui si potevano scientificamente incastrare i colpevoli e mandare in pensione avvocati e tribunali. Una rivista del 1939 ne racconta il funzionamento, i prodigi e il suo ruolo in un processo a un gangster di Chicago.
«Si vanno sempre più intensificando gli sforzi – tenaci ed appassionati – degli scienziati per servire non solo l’umanità ed il progresso ma anche per collaborare con la Giustizia.»
Così la rivista La Corte di Assise nel 1939 portava all’attenzione del pubblico italiano gli effetti dell’invenzione del poligrafo, la cosiddetta “macchina della verità” inventata nel 1921 da John Augustus Larson e poi perfezionata da Leonarde Keeler.
Lo strumento serviva a misurare varie caratteristiche fisiologiche di un individuo sottoposto a interrogatorio, come la pressione del sangue, la respirazione, il ritmo cardiaco, ecc.
La “macchina per scoprire la menzogna” – così era chiamata all’epoca – era stata messa in pratica in America contro i delinquenti che si rifiutavano di confessare i delitti, anche se già allora c’erano dubbi fra gli studiosi di psicologia criminale se tale fosse un mezzo di cui ci si potesse fidare. Riporta la rivista: «molti dubbi e perplessità sussistono tuttora poiché penetrare nelle coscienze di un essere per giudicarlo e condannarlo anche a pene gravissime, è un compito delicato e assai complesso».
Di conseguenza, la rivista proponeva di integrare i risultati ottenuti dalla macchina con altri mezzi, fra cui quello della reazione urinaria sperimentata dai dottori Laiguel-Lavastine e D’Heucqueville. In questo procedimento, che non deve aver avuto molto successo dato che si trova trattato in pochissimi libri, si comparava il grado di acidità dell’urina di un soggetto prima e dopo l’interrogatorio. Se durante questo l’interrogato non aveva subìto emozioni, l’acidità si stimava non avrebbe subito variazione: invece una acidità diversa veniva messa in rapporto con la coscienza della colpevolezza.
La rivista presenta poi un caso avvenuto nel 1937 riguardo a un gangster mandato alla sedia elettrica per tramite della macchina della verità.
Nella prigione di Chicago doveva infatti aver luogo l’esecuzione di un certo Joseph Rappaport, di 31 anni, gangster, specializzato nel traffico di droghe e probabilmente uno dei capi di una banda che aveva delle ramificazioni nelle città principali degli Stati Uniti.
Questo Rappaport era accusato di aver ucciso con un colpo di rivoltella un informatore della polizia pronto a testimoniare contro di lui riguardo a una vendita di eroina. I giurati, all’unanimità, lo avevano dichiarato colpevole e per questo condannato a morte. Il Governatore dell’Illinois, che doveva autorizzare la messa in opera della condanna o procedere con una grazia, aveva compiuto una larga inchiesta senza però riuscire a formarsi una convinzione personale. L’inchiesta durò sino alla vigilia del giorno in cui il termine legale spirava e in cui bisognava prendere a ogni costo una decisione.
A quel punto Leonarde Keeler si fece ricevere dal Governatore e gli propose «di provare la famosa macchina per scoprire la menzogna: questa macchina, tanto discreditata al momento della sua apparizione, fa ora una brillante carriera negli Stati Uniti».
Impiantata la macchina nel carcere venne portato nella stanza il condannato. Keeler spiegò al Rappaport di che cosa si trattava: «Noi vi rivolgeremo una serie di domande differenti. Voi risponderete in tutta sincerità. Vi prevengo che se la curva delle oscillazioni vi è favorevole voi sarete graziato».
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In un silenzio impressionante l’ultimo interrogatorio incominciò. Furono rivolte al condannato una ventina di domande preparate in anticipo. Vi era un certo numero di domande alle quali Rappaport poteva rispondere senza che la sua posizione di accusato corresse pericolo alcuno, ve ne erano altre decisive da cui dipendeva la sua sorte. La macchina segnò «menzogna» a tutte queste domande. Mezz’ora dopo il Rappaport moriva sulla sedia elettrica.
I comunicati stampa di allora parlarono di una fine della necessità di tribunali e avvocati.
Eppure siamo ancora qua.
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