Nell’aprile 1866 il Regno d’Italia strinse un’alleanza militare con la Prussia, avente lo scopo di unire “la Venezia” e Trento al proprio territorio. La terza guerra di indipendenza, scatenata da parte italiana nel quadro più vasto della Guerra austro-prussiana, vide le umilianti sconfitte di Custoza e di Lissa; in particolare quest’ultima, convinse il Regno d’Italia ad accettare una tregua a partire dal 25 luglio e a iniziare le trattative che portarono alla fine delle ostilità sul fronte italo-austriaco con l’armistizio di Cormons, firmato il 12 agosto.
L’Austria, sconfitta dalla Prussia, cedette con il Trattato di Praga del 23 agosto 1866 i territori residui del Regno Lombardo-Veneto alla Francia, nell’intesa che Napoleone III li consegnasse a Vittorio Emanuele II (infatti l’Austria si rifiutò di cederli direttamente all’Italia perché si riteneva invitta in guerra da essa), previa organizzazione di un plebiscito, che formalmente avesse confermato la volontà popolare di unificazione al Regno d’Italia.
L’opzione plebiscitaria non incontrò i favori del Re e del governo italiano:
«Il plebiscito si trova un atto veramente ridicolo e urta moltissimo il Re. […] Cosa diventa adunque il Plebiscito? Io non sono così persuaso che sia inevitabile. Che può venirne non lo facendo? L’Austria non mi pare che potrebbe portarlo in campo come condizione per evacuare. Oramai la stipulazione tra Austria e Francia ha avuto effetto. Noi faremo un trattato da soli con l’Austria e in questo trattato non parleremo di Plebiscito.»
(Lettera del presidente del Consiglio Bettino Ricasoli al ministro degli Esteri Emilio Visconti Venosta, 4 settembre 1866)
Nonostante ciò, il trattato di Vienna del 3 ottobre 1866, concluso fra Austria e Italia, stabiliva le condizioni della consegna e affermava nel suo preambolo che l’imperatore d’Austria aveva ceduto il Regno Lombardo-Veneto all’imperatore dei francesi, il quale, a sua volta, si era dichiarato pronto a riconoscere la riunione del “Regno Lombardo Veneto agli Stati di Sua Maestà il Re d’Italia, sotto riserva del consenso delle popolazioni debitamente consultate”.
l 17 ottobre venne emanato il decreto di convocazione per il plebiscito e rese note le sue modalità: le votazioni sarebbero avvenute i giorni 21 e 22 ottobre, mentre lo spoglio delle urne sarebbe avvenuto dal 23 al 26; infine, il 27 il tribunale di appello di Venezia, riunito in seduta pubblica, avrebbe sommato i dati e comunicato i risultati al Ministero della giustizia a Firenze (all’epoca capitale d’Italia) e una deputazione di notabili sarebbe partita per portare i risultati a Vittorio Emanuele II.
La notizia del decreto di convocazione, diffusa dalla stampa il 17 ottobre, provocò la reazione del generale plenipotenziario francese Edmond Le Bœuf, che protestò che
«a fronte delle determinazioni reali, la sua consegna del Veneto a tre notabili onde organizzino un plebiscito, diventa derisoria […] e d’altra parte essendo il Decreto Reale una violazione del trattato, egli protestava che ne riferiva al suo Governo, e che senza ordine ulteriore dall’Imperatore non avrebbe rimesso il Veneto».
La guarnigione austriaca aveva iniziato l’abbandono della città di Venezia già dalla notte del 18 ottobre.
Nella mattina del 19 ottobre il generale Le Bœuf, che alloggiava nell’albergo Europa in Ca’ Giustinian, riunì il commissario militare austriaco generale Karl Möring, il generale italiano Thaon di Revel, la municipalità di Venezia, la commissione incaricata di ricevere il Veneto, il console generale di Francia M. de Surville e M. Vicary per espletare le procedure del passaggio del potere.
La riconsegna del Veneto venne presentata da Le Bœuf con la seguente dichiarazione:
«In nome di S. M. l’Imperatore dei Francesi. Noi Generale Le Boeuf visto il trattato firmato a Vienna il 24 Agosto 1866 tra l’Imperatore dei Francesi e l’Imperatore d’Austria circa il Veneto: Vista la consegna a Noi fatta del Veneto il 19 Ottobre 1866 dal Generale Móhring Commissario di S.M. l’Imperatore d’Austria nel Veneto dichiariamo di restituire il Veneto a se stesso a ciò le popolazioni dispongano del loro destino e possano esperire liberamente col suffragio Universale i loro voti per l’annessione del Veneto al Regno d’Italia.»
Mancava ancora il plebiscito, ma ormai si trattava solo di una formalità.
La votazione per il plebiscito ebbe luogo nei giorni 21 e 22 ottobre 1866; a Venezia gli uffici elettorali rimasero aperti dalle 10:00 alle 17:00 in entrambi i giorni.
Il plebiscito fu a suffragio universale maschile:
Saranno ammessi a dare il loro voto tutti i Cittadini che hanno compiuti gli anni 21, che sono domiciliati da sei mesi nel Comune e, meno le donne, non è escluso che chi subì condanna per crimine, furto o truffa. I Cittadini che hanno fatto parte dell’Esercito Nazionale o dei Volontarii durante la campagna per l’indipendenza Nazionale saranno ammessi al voto anche se non abbiano compiuti gli anni 21.
L’affluenza al voto fu molto alta, oltre l’85% degli aventi diritto al voto. Nel solo distretto di Padova votarono 29.894 elettori, pari a circa il 98% degli aventi diritto.
Il voto non fu comunque “regolare” per gli standard moderni. I seggi erano presidiati da soldati dell’esercito italiano, in alcuni comuni erano previste schede diverse per il sì e il no oppure urne diverse (se non entrambe le cose).
Seppure non richiesto (in quanto all’epoca il suffragio era solo maschile), anche le donne di Venezia, Padova, Dolo, Mirano e Rovigo vollero esprimere il proprio voto. Anche a Mantova le donne, seppure non ammesse al voto, vollero portare il proprio sostegno: circa 2000 voti vennero raccolti in urne separate.
Il 27 ottobre a Venezia, nella Sala dello Scrutinio del Palazzo Ducale, si svolsero le operazioni di spoglio dei voti. Dopo un breve discorso di Sebastiano Tecchio, presidente del Tribunale di Appello, i consiglieri del Tribunale annunciarono i risultati delle nove province.
L’annuncio dei risultati fu dato prima nella Sala dello Scrutinio e fu poi ripetuto dal balcone di Palazzo Ducale: 647’246 favorevoli e 69 contrari (il dato in verità non è certissimo e c’è chi si domanda se sia stato falsato, ma anche questa era prassi dei tempi).
Ma alla fine il senso del plebiscito, pure innovativo, era tutto qui, poter dire che Vittorio Emanuele II era Re d’Italia per Grazia di Dio e Volontà della Nazione.