“L’attrice dichiarava che dalla data del suo matrimonio nel 1917 aveva vissuto felicemente col marito fino al 1932, quando la convenuta le aveva, con sottile malizia, sottratto l’affetto del marito per andare a convivere con lui…”
In Inghilterra, ben prima degli anni ’30, la seduzione e l’adulterio erano passati come atti illeciti dolosi dal campo penale a quello prettamente civile dell’azione di danni: un caso discusso nel 1933 di fronte al tribunale del King’s Bench (oggi per ovvie ragioni “Queen’s Bench”) ce ne parla.
La causa Newton v. Hardy, svoltasi di fronte al giudice Swift, tratta appunto di una azione di danni esercitata dalla signora Newton contro la signora Hardy, per aver questa sedotto il marito dell’attrice allontanandolo dal tetto coniugale e facendolo convivere con sé.
Vi era però un dettaglio fondamentale: l’azione dovette essere estesa contro il marito della convenuta per il principio, già allora giudicato arcaico ma ancora vigente in Inghilterra, secondo il quale vi è un responsabilità solidale del marito per tutti gli atti illeciti compiuti dalla moglie, pur avendo una legge già dal 1882 reso la donna maritata completamente indipentemente dal marito dal punto di vista patrimoniale.
Contro questa conseguenza normativa insorsero numerosi giuristi, in particolare Edward Jenks, professore alla London School of Economics and Political Science (The book of english law, 1928, p. 285). Ma, ugualmente, il giudice Swift, pur controvoglia, dovette riconoscerne la sopravvivenza.
Il marito della fedifraga dovette essere citato in giudizio come corresponsabile del suo comportamento. La common law prevedeva così, anche se ormai si desiderava mutarla.
Dove invece le opinioni erano in contrasto era nei riguardi di una effettiva responsabilità dolosa verso la donna abbandonata da parte della rivale per seduzione del marito della prima: alcuni giuristi, volendo conservare questa azione, avrebbero mutato la vicenda in un caso di responsabilità oggettiva, per la quale sarebbe bastata la fuga dell’uomo ammogliato con la donna amata; altri, preferendo circoscrivere tutta la responsabilità sull’uomo, vedevano in questi non un sedotto ma un seduttore.
L’illecito di adescare un coniuge fuori dalla famiglia (enticement) era originalmente limitato alla seduzione di donna, opinione che era condivisa dalla dottrina ma non dal giudice Swift, il quale, appoggiandosi al famoso precedente del caso Please v. Searle, confermò l’idea astratta di una responsabilità indipendente dal sesso di chi è stato oggetto di seduzione, ma nella fattispecie in esame ritenne che l’illecito doloso non fosse provato, aggiungendo di ritenere molto difficile la possibilità di fornire tale prova.
L’attrice dichiarava che dalla data del suo matrimonio nel 1917 aveva vissuto felicemente col marito fino al 1932, quando la convenuta le aveva, con sottile malizia, sottratto l’affetto del marito per andare a convivere con lui. Questa avrebbe, secondo l’attrice, approfittato del fatto che il sig. Newton dovesse recarsi per ragioni di lavoro nella città dove essa dimorava, per persuadere il proprio marito a ospitare la coppia di amici e così liberamente esercitare il proprio fascino sull’amante, che per lunghi periodi rimaneva solo presso di loro, quando la moglie era costretta a tornare nella città di origine.
Il giudice rimase insensibile alle lamentele esposte, considerando che “non si induce mai una persona ad innamorarsi; o sorgono delle situazioni nelle quali, da un momento all’altro, quando uno meno se lo aspetta, la donna si trova faccia a faccia con le proteste d’amore dell’uomo”, e così ritenne fosse successo in questo caso.
Il giudice appurò nella sentenza che il caso trattava di un uomo instabile in amore e di una donna attraente, l’uno lontano per un certo tempo dalla moglie, l’altra trascurata dal marito, attribuendo a queste circostanze la fuga amorosa dei due piuttosto che a speciali arti amorose della donna.
Su questa base decideva, pur stigmatizzando la condotta di entrambi, di respingere la domanda di danni contro la donna per seduzione, lasciando adito all’azione di danni per adulterio contro il marito e successivo divorzio.
Contro la sentenza innovatrice si sollevarono le voci di molti tradizionalisti, anche nella Camera dei Comuni, dove il deputato Hales propose di tutelare l’azione invocata e ampliarla abolendo la necessità della prova del dolo, “per poter colpire l’estraneo che venisse a turbare la pace matrimoniale e dar così, a tutela della santità del vincolo matrimoniale, la possibilità ai coniugi di riunirsi, senza intraprendere lotte giudiziarie tra di loro, che porterebbero a irrimediabile soluzione, spezzando quel filo che le parti potrebbero voler riannodare, una volta liberatisi di chi fu cagione di tanti guai”.
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