logologo
  • Home
  • Massime
    • Tutte le massime
    • Vizi, amore e tempo libero
    • Penale&Civile
    • Percorsi storici
    • Speciali e celebrativi
  • Nomen Omen
  • #giornopergiorno
  • Erudizioni Legali
  • Brevetti dal Passato
  • Interviste Chiarissime
  • Eventi
  • Home
  • Massime
    • Tutte le massime
    • Vizi, amore e tempo libero
    • Penale&Civile
    • Percorsi storici
    • Speciali e celebrativi
  • Nomen Omen
  • #giornopergiorno
  • Erudizioni Legali
  • Brevetti dal Passato
  • Interviste Chiarissime
  • Eventi
68. Un quadro a processo (1923)

68. Un quadro a processo (1923)

Signori e signore quest’oggi abbiamo l’onore di avere al banco degli imputati un quadro!’

Si tratta di un’opera di Ubaldo Oppi, uno dei principali esponenti del movimento “Novecento” e del Realismo Magico,  corrente artistica che inserisce elementi sorprendentemente sovrannaturali in contesti realistici, e alla quale afferiscono artisti del calibro di Frida Kahlo ed Edward Hopper.

Galleria Pesaro, 1923

L’opera in questione è più propriamente uno studio, e raffigura – per dirlo con le parole della sentenza che qui pubblichiamo – “cinque donne nude, sostanti, in atto di bagnarsi sui margini e sulla breve superficie di un laghetto“.

Siamo nel 1923 e l’opera è esposta a Milano nella celeberrima Galleria Pesaro gestita dal collezionista Lino Pesaro nelle sale del Palazzo Poldi Pezzoli in Via Manzoni.

È la mostra dei primi artisti del movimento “Novecento”, e insieme alle opere di Oppi ci sono quelle di Bucci, Sironi, Malerba, etc.

Ma l’attenzione degli astanti è catturata proprio dallo studio di Oppi, dal titolo “Conca Fiorita” . E a essere attirati dall’opera sono specialmente “gli adolescenti, i quali con curiosità concupiscente si soffermavano a guardarle“.

Montò così una rovente protesta del pubblico presso il proprietario e il direttore della galleria, e in particolare di una signora che attraversava via Manzoni e si presentò con la Milizia, affinchè rimuovessero l’opera sconcia che tanto si riteneva offendesse il pubblico pudore.

Il questore di Milano intimò dunque la rimozione dell’opera che con solerzia fu eseguita dal direttore della Galleria.

Il caso impazzò sui giornali, il Corriere della Sera vi dedicò diversi articoli. Li ho recuperati per voi.

Corriere della Sera, 6 marzo 1923

La questione spinosa era sciogliere il nodo dell’arditissimo confine tra osceno e arte, tra lecito e pornografico e se secondo la Questura il caso era da risolvere in favore della arditezza dell’opera, agli artisti del “Novecento” e al proprietario della Galleria così non pareva e scrissero a tutti i giornali protestando “contro chi arbitrariamente si erige a giudice per stabilire i confini del lecito e dell’osceno in arte“.

Ubaldo Oppi, autoritratto

In particolare, Lino Pesaro riteneva che l’opera di Oppi nulla avesse di scandaloso tanto da ledere il buon costume e che anzi fosse una nobile e pura espressione artistica.

Il quadro finì così a processo.

C’è da dire che una certa stampa era piuttosto schierata con le idee più bigotte, pure riteneva non oscena l’opera di Oppi. Il Corriere, che ad esempio riteneva porcheria Madame Bovary ed esortava la magistratura a “schiacciare il cinismo di più di un editore senza scrupoli e di più d’uno scrittore che intende portare in Parnaso il suo mestiere più adatto alla Suburra“, vedeva nell’opera di Oppi “alcune modeste nudità, puramente decorative, caste come la nudità delle agnelle, fanno pensare a delle giovani donne anemiche che fanno la cura dell’aeroterapia nel parco di una casa di salute“.

E all’esito del processo, come titolarono poi i giornali (trovate un altro ritaglio insieme alla sentenza sotto) le cinque donne furono assolte. Ora però a noi non interessa poi così tanto l’esito del giudizio e il perché delle motivazioni, quanto il linguaggio di questa sentenza dal mirabilissimo italiano. Il pretore infatti nell’affrontare la questione si lascia andare a profonde considerazioni utilizzando espressioni proprie più della letteratura che del diritto, come tante volte le nostre ricerche ci hanno abituato.

Guardate ad esempio come spiega il pretore il perché non sempre i nudi nell’arte debbano essere considerati osceni:

“Se così non fosse, noi dovremmo rovesciare e spezzare le innumeri statue di marmo veglianti, nei nostri cimiteri, sul sonno degli estinti; radiare dalle cupole e dalle pareti delle nostre chiese le mistiche teorie angeliche eternanti il mistero della preghiera; vuotare i nostri musei delle maggiori creazioni in cui palpita e rifulge il genio inesaurabile della stirpe; svellere dalle selci delle nostre piazze i bronzi conclamanti, nel murmure delle fontane, il ritmo perenne della vita“.

Eccezionale è anche la descrizione dell’opera e del motivo per cui fu “assolta”.

Ma lascio che questa parte la scopriate da soli.

Buona lettura

Il Pretore : — … Con rapporto del 3 marzo c. a. l’Autorità locale di p. s. denunziava al procuratore del Re di Milano Guarnotta Ernesto e Pesaro Lino, assumendo, a loro carico, che era stato da loro esposto, nelle vetrine della galleria Pesaro, uno studio a olio del pittore Ubaldo Oppi rappresentante cinque donne nude, sostanti, in atto di bagnarsi sui margini e sulla breve superficie di un laghetto;

Che, richiamando tali figure specialmente l’attenzione di adolescenti, i quali con curiosità concupiscente si soffermavano a guardarle, parecchie persone avevano insistito presso il Guarnotta, direttore della galleria, onde togliesse dalla pubblica vista il quadro stesso, emergendone manifesto l’oltraggio al senso del pubblico pudore;

Che, di ciò avvertita la questura, attraverso proteste e reclami inoltratile verbalmente e per iscritto, s’invitò esplicitamente il Guarnotta, il quale si obbligò di sottostare alla diffida, a non esporre più la tela in parola. Ma il comm. Pesaro, proprietario della galleria, successiva mente avvisava il Questore di Milano che egli non poteva uniformarsi all’impegno a cui lo aveva, a sua insaputa, vincolato il proprio direttore, essendo egli convinto di non avere nulla compiuto che riuscisse a ledere il rispetto per il buon costume, al quale non tornava punto offensiva, per la sua nobile e pura espressione artistica, l’opera dell’Oppi; che pertanto riappariva di nuovo nelle sue vetrine, provocando così il provvedimento del sequestro del quadro e del rinvio al giudizio del Guarnotta e del Pesaro.

Il quale ultimo, nel suo interrogatorio (dopo avere avocata soltanto a sè tutta la responsabilità dell’infrazione all’ordine ingiunto dalla polizia e del fatto della riesposizione della tela ritenuta pornografica), integrando e delucidando il concetto svolto in una lettera diretta al Questore, dichiarava come egli null’altro si era ripromesso, nel suo lungo scrupoloso apostolato, se non di favorire lo sviluppo delle più sane iniziative artistiche, e fra queste, meritevole di considerazione lo sforzo dignitosamente compiuto da un gruppo, a lui particolar mente caro, di giovani stretti attorno a una idea e a una scuola, di cui l’Oppi, col quadro incriminato, aveva offerto un saggio squisitamente onesto, se non tecnicamente perfetto, in confronto del quale (estraneo ogni volgare e sconcio intendimento) arbitraria assorgeva la diffida dell’Autorità di p. s., sulla cui legittimità o meno egli, disubbidendo, aveva voluto provocare il parere del competente magistrato.

All’uopo il pretore osserva che, incontroversa la circostanza della reale esposizione del quadro al pubblico, sia necessario determinare, prima di accingersi alla valutazione degli elementi concreti e specifici sottoposti al suo esame, i criteri di massima informatori ed esplicativi del proprio pensiero e del suo pronunziato nella particolare controversia che ne occupa.

Escluso, nei rispetti di un’opera pittorica esorbitante dai cancelli della convenzionale castigatezza (e ci limitiamo al genere d’arte in cui la nostra rientra) che il fine artistico, comunque perseguito e raggiunto, basti sempre da solo a eliminare il reato, ove non promani da un vivido e sereno e incensurabile proponimento del suo autore; egualmente è da escludersi che a priori le riproduzioni della nudità debbano essere di per sè stesse incriminate anche quando decorosamente costrette nelle inderogabili esigenze delle linee e dello stile, non si prestino punto a eccitare la sensibilità dell’uomo normale, e per il gesto e per il movimento che le animano non si addimostrino obbiettivamente idonee a stimolare un basso e peccaminoso istinto di carnalità.

Se così non fosse, noi dovremmo rovesciare e spezzare le innumeri statue di marmo veglianti, nei nostri cimiteri, sul sonno degli estinti; radiare dalle cupole e dalle pareti delle nostre chiese le mistiche teorie angeliche eternanti il mistero della preghiera; vuotare i nostri musei delle maggiori creazioni in cui palpita e rifulge il genio inesaurabile della stirpe; svellere dalle selci delle nostre piazze i bronzi conclamanti, nel murmure delle fontane, il ritmo perenne della vita.

Stabilito, così, il principio che la raffigurazione del nudo sia passibile d’incriminazione solo quando la si prostituisca (abilmente o goffamente non interessa) a mezzo di attacco preordinato e preminente a quel sommo bene giuridico costituito dal pubblico pudore, le nostre conclusioni in merito al quadro, dall’Oppi dipinto e dal Pesaro portato agli onori della ribalta, non possono essere contrastanti con quelle svolte e illustrate da critici insigni e da maestri della tavolozza, escussi nell’orale dibattito in qualità di periti e in qualità di testi.

E, in vero,

spoglie non solo di abiti e di veli, ma di ogni femminea vibrazione interiore, anemiche, e glaciali (si come è morta la vegetazione degli alberi e dei prati che la contorna), queste cinque donne, di cui si popola la tela dell’Oppi non certo si profilano calde di lascivia e di piacere, suscitando brividi di ceca febbre,

si bene macere del travaglio mentale e della conquista affannosa dello stile, onde balzarono dalla fantasia e dal sogno dell’artista; nel quale fu dominante e assoluta la evocazione dei motivi classici, lontani, di remote scuole, penetrative della sagoma, più che dello spirito e della sostanza dei soggetti e delle cose.

Potremmo dire che l’aridezza del disegno e il pallore delle tinte arieggino, qui, non un armonico e irrompente gruppo di creature floride e prosperose, ma una sterile ricostruttura di anatomia muliebre, per cui sembra si sia avuto a modello la pasta molle e livida della cera, anziché quella profonda e tumultuosa della carne.

Di modo che può discutersi, nell’orbita dei competenti, se l’Oppi abbia ottemperato, con la sua opera, ai canoni della scuola nella quale milita; ma è da scartarsi, senz’altro, da noi che egli abbia voluto esprimere, o abbia effettivamente espresso, attraverso il colore, una qualsiasi concezione orgiastica, una qualsiasi ideazione oscena.

E, di conseguenza, nessun danno e nessun pericolo scaturirono o potevano scaturire, con la esposizione del suo quadro, al pubblico pudore.

E come, inoltre, è doveroso rilevare che non a inquinare le fonti del civile consorzio mirarono il Pesaro e il Guarnotta, ma a rendere proficuo e affettuoso omaggio a una incontestabile tradizione di spirituale mecenatismo, così vanno essi assolti per non costituire reato il fatto a essi ascritto e di cui nell’art. 339 cod. pen.

Per questi motivi, ecc.

Il Foro Italiano, 48, 1923, 269

© Riproduzione Riservata

Ti è piaciuta questa storia? Leggine altre di Amore e Pudore

77. Amanti per finta (1928)
77. Amanti per finta (1928)

Questa storia comincia con un triangolo che più classico non si può: Camilla Vaglia...

Leggi tutto
68. Un quadro a processo (1923)
68. Un quadro a processo (1923)

La vicenda di un'opera di Ubaldo Oppi , esposta alla Galleria Pesaro di Milano,...

Leggi tutto
57. La Tazza del Piacere (1906)
57. La Tazza del Piacere (1906)

Primi del Novecento. La storia di Maria Brusoni, sedotta e abbandonata da Guido Bonasegala....

Leggi tutto
51. Il Bacio nel Diritto Penale (1927)
51. Il Bacio nel Diritto Penale (1927)

Vi siamo mancati? Mi piace pensare di sì, e mi piace pensare che questo primo...

Leggi tutto
49. In Costume da Bagno (1911)
49. In Costume da Bagno (1911)

Mi dispiace! non si può girare in costume, neanche se questo ricopre la maggior...

Leggi tutto
38. Le memorie di Giacomo Casanova (1923)
38. Le memorie di Giacomo Casanova (1923)

Io proprio non me la sento di aggiungere nulla ai racconti, le storie e...

Leggi tutto
22. Il Matrimonio del Generale (1880)
22. Il Matrimonio del Generale (1880)

Anche gli uomini avvolti da un alone leggendario sono, o sono stati, umani come...

Leggi tutto
13. La storia di Anatilde e della sua turpe tresca prematrimoniale (1898)
13. La storia di Anatilde e della sua turpe tresca prematrimoniale (1898)

La storia di un amore atteso per sette anni. E invece...

Leggi tutto

Leggi anche

49. In Costume da Bagno (1911)
15. Ho giocato tre numeri al lotto... (1895)
82. Come panni stesi al sole (1927)
17. Voto anch'io, No tu no! (1907)
Previous Post9 Ottobre 1954 – Muore Robert H. Jackson
Next Post8 ottobre 1944 - Muore Sergio Panunzio

Random Posts

Leggi anche:
  • L’isola che cambia di Stato ogni sei mesi
  • 22 gennaio 1973 – La Corte suprema decide Roe v. Wade
  • 10 Settembre 1977 – L’ultima ghigliottina
  • 20 Febbraio 1979 – La sentenza Cassis de Dijon
  • 13 Ottobre 1894 – Inizia il “Caso Dreyfus”

Contatti

Scrivici a:

info@massimedalpassato.it

Reg. Trib. Milano n. 113/2020, direttore responsabile Pasquale Tammaro

ISSN 2724-3656

(c) Le Lucerne S.r.l. Via Montecatini, 14, 20144 – Milano, P.IVA 11224540960

Privacy Policy - - Realizzato con ❤️ da Trame Digitali