Questa storia comincia con un triangolo che più classico non si può: Camilla Vaglia è sposata con Giuseppe Serafino, il quale ha una tresca con un’altra donna, Isabella Del Giudice.
La cosa ormai era diventata notoria in paese: era stata Camilla Veglia stessa a far sapere a tutti della relazione illecita del marito. Ma la sottile, pubblica riprovazione che aveva generato non la soddisfaceva ancora a pieno ed era intenzionata a suscitare agli occhi di tutti ancora più scandalo per compromettere definitivamente la reputazione del marito e dell’amante.
È così che entrano in scena Antonio Barbato e la moglie Maria Petrillo, amici molto stretti di Camilla e probabilmente in pessimi rapporti con Giuseppe (ed ecco che il nostro triangolo è diventato un pentagono).
Camilla si rivolse alla coppia di amici per mettere su una sceneggiata. L’idea era tanto bizzarra quanto semplice: Antonio avrebbe fatto la parte di Giuseppe Serafino che, scamiciato nel cuore della notte, scendeva dalle scale di casa dell’amante, mentre le due comari avrebbero attirato l’attenzione del vicinato sottolineando come quello che scendeva altri non era che l’infedele e vizioso Serafino.
Nella notte fra il 4 e il 5 luglio 1926, dunque, i tre si recarono di soppiatto fuori dalla porta di casa di Isabella Del Giudice.
Antonio, fingendosi Giuseppe, si mostrò tutto trafelato sulle scale, come colto “in flagrante”. Il piano sembrava procedere alla perfezione, ma ci volle poco perché i vicini si accorgessero dell’inganno. Forse non era abbastanza buio, o forse l’attore rivelò qualche goffaggine, chissà: fatto sta che i vicini mangiarono la foglia e capirono che non era affatto Giuseppe Serafino colui che stava scendendo le scale, bensì l’insospettabile Antonio Barbato.
La vendetta ritornò indietro senza sconti su Camilla Vaglia.
Ci fu un processo e le due donne vennero condannate per diffamazione, lo scamiciato Barbato per concorso.
All’epoca era ancora in vigore il Codice Zanardelli, che all’articolo 393 puniva chiunque che “comunicando con più persone, riunite o anche separate, attribuisse ad una persona un fatto determinato e tale da esporla al disprezzo o all’odio pubblico o da offenderne l’onore o la riputazione“.
Barbato venne condannato per concorso anche se non aveva “comunicato” con nessuno ma si era limitato a scendere delle scale, scamiciato. Infatti, “nulla rileva che la parte da lui rappresentata fosse stata muta pantomima, in quanto sussiste responsabilità punibile per concorso di reato di diffamazione nell’operato di colui che, previo concerto con i diffamatori, coopera con costoro. Tale è il fatto di chi si presta a rappresentare la parte di determinata persona, che di notte scenda scamiciata dalla casa di una donna, allo scopo di compromettere l’onore di costei ed anche quello dell’uomo che si è voluto raffigurare“.
Una scena degli anni ’20 che sarebbe potuta entrare in una commedia all’italiana degli anni ’60.
© Riproduzione riservata