Giurista, politologo, ma anche filosofo, Sergio Panunzio proveniva da una famiglia altoborghese di Molfetta, in Puglia.
Già dai primi anni di liceo rivelò un grandissimo interesse per la politica e per il socialismo in particolare, tra le cui fila aveva iniziato a militare.
Cominciò a scrivere per l’“Avanguardia Socialista” di Labriola e nel frattempo si iscrisse a Giurisprudenza a Napoli. Studiò con Nitti, Colajanni, Petrone, ma la passione per la politica non lo abbandonava.
Del 1907 è infatti “Il socialismo giuridico”, in cui Panunzio teorizzava l’opposizione del sindacato operaio alla borghesia per trasformare una volta per tutte la società in nome di un “diritto sindacale operaio”.
“Il socialismo giuridico”, diceva, “non sarebbe dunque che l’applicazione del principio di solidarietà, immanente in tutto l’universo, nel campo del diritto e della morale: in se stesso non è una idea astratta balzata ex abrupto dal cervello di pochi pensatori, ma efflusso e irradiazione ideale di tutta la materia sociale che vive e freme attorno a noi”.
Sull’aristocrazia sociale fu invece la sua tesi di laurea dell’anno successivo.
Nel 1911 ottenne la seconda laurea, questa volta in filosofia.
Nel frattempo però continuava a scrivere. Da “Sindacalismo e Medio Evo” a “Il Diritto e l’Autorità”, pubblicato nel 1912, quando ormai aveva abbandonato la professione di avvocato, la speculazione andava sempre di pari passo con la sua vita activa.
Dal 1912 si dedicò poi prevalentemente all’insegnamento. Prima a Casale Monferrato, poi a Urbino, Ferrara e Napoli. Proprio in quegli anni, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, cominciò a nascere e consolidarsi il rapporto di amicizia con Benito Mussolini, del quale Panunzio divenne anzitutto collaboratore presso l’“Avanti!”
Anche durante il fascismo e dopo la marcia su Roma, l’intesa con Mussolini non venne meno e l’impegno politico e culturale di Panunzio nemmeno. Anzi, risale proprio a quegli anni l’evoluzione del suo pensiero in senso organicistico. Uno Stato gerarchico, organico. Una concezione della vita. Proprio come il fascismo. “Lo Stato fascista” ne riflette bene il pensiero.
Intorno agli anni ’20 la cattedra di filosofia lo portò poi a spostarsi, prima a Ferrara, poi a Perugia e Roma, per poi essere incaricato dal Duce di creare la Facoltà Fascista di Scienze Politiche di Perugia.
Autore in cui teoria e azione difficilmente si scorporano, Panunzio fornì grazie ai suoi studi contributi decisivi per la costruzione del concetto di Stato.
Per lui restaurazione dell’autorità, Stato del lavoro e istituzioni costituivano una triade. Potere-lavoro-partito. Legata al sindacalismo, ma anche al nazionalismo e al fascismo. In questo senso lo Stato-Governo, lo Stato sindacale corporativo e lo Stato-partito che il fascismo stava costruendo avrebbero dovuto essere la risposta.
L’8 ottobre del 1944, a Roma, Panunzio morì.