Quando il piccolo Giovanni Maria Mastai Ferretti ai primi vagiti del XIX secolo si dilettava nel gioco del pallone con bracciale (disciplina di grande successo e diffusione per l’epoca, paragonabile al calcio di oggi) a Mondolfo, su una placida collina a un tiro di schioppo dal mare, forse tutto si sarebbe aspettato tranne che nella vita sarebbe diventato un religioso.
E sì che era stato già miracolato, quando a cinque anni, sopravvisse a una caduta in un torrente che lasciò in lui il ricordo dello spavento spesso rinverdito da funeste crisi epilettiche, che gli rendevano difficile lo studio e che per lo meno lo avevano esonerato dalla leva militare.
Il 15 maggio 1815 (l’anno del Congresso di Vienna) gli capitò di incontrare presso la Basilica della Santa Casa (il Santuario di Loreto) Papa Pio VII, che ivi si era recato come voto alla Madonna per ringraziarla di essere stato appena restaurato sul trono dagli austriaci, dopo l’improvviso attacco di Gioacchino Murat allo Stato Pontificio. Nel corso dell’incontro, il Pontefice predisse al giovane Giovanni, già studioso di teologia, la guarigione dalla malattia.
Trattandosi di Papi, la guarigione in effetti si verificò. E forse il Mastai Ferretti ebbe più chiaro il suo destino. Guarito, potè entrare il seminario e prendere i voti nel 1817.
E tuttavia, forse nemmeno allora poteva immaginare quali solchi della storia avrebbe percorso la sua esistenza.
Alla morte di Pio VII, seguì Pio VIII, e poi Gregorio XVI che morì nel 1846.
Giovanni era Cardinale già da 6 anni e prese parte al Conclave, l’ultimo che si svolse al Quirinale (che dal 1870 sarebbe diventato la residenza ufficiale del Re d’Italia, e dal 1946 del Presidente della Repubblica).
Il Conclave è uno degli eventi più affascinanti che la storia umana possa proporre. E oggi, nel mondo della tecnologia e dell’informazione opprimenti, è ancor più straordinaria questa riunione di signori vestiti di rosso porpora che scelgono il loro capo votando con i bigliettini, tra tradimenti, sorprese, schieramenti contrapposti, e senza comunicare con l’esterno se non con i segnali di fumo.
E, si diceva, il Conclave del 1846 non aveva certo un esito scontato. Si erano formate due nette fazioni, una appoggiava il cardinale Luigi Lambruschini, segretario di stato, rappresentante dell’assolutismo papale, l’altra – “liberale” – il cardinale Tommaso Pasquale Gizzi, originario di Ceccano. Dopo le prime votazioni, in cui nessuno raggiunse la maggioranza dei 2/3 necessaria per l’elezione ma in cui sembrava comunque prevalere l’ala conservatrice, si fece strada tra i “liberali” il nome appunto del nostro Giovanni Mastai Ferretti, che fu eletto Papa al quarto scrutinio la sera del 16 giugno.
Dato però che si era fatto tardi, si scelse di annunciare il gaudium magnum la mattina successiva. Solo che la voce dell’elezione – e non si sa come – iniziò a spargersi nei palazzi romani e nelle strade. Gli exit poll (mai fidarsi) davano per vincitore certo il cardinal Gizzi e un messaggero addirittura partì per Ceccano ad annunciare la notizia (mentre altri suoi domestici ne bruciarono le vesti cardinalizie, ormai ritenute inutili).
Il 17 giugno, fu ufficialmente annunciata l’elezione del nuovo Papa che prese il nome di Pio IX, duecentocinquantacinquesimo papa della Chiesa cattolica.

Pio IX
La scelta fu sorprendente, inattesa e quasi invisa agli Austriaci. L’Imperatore Ferdinando I godeva infatti di un fortissimo potere di veto, che comportava il diritto di proibire l’elezione a pontefice di una determinata persona. E l’Imperatore aveva incaricato l’Arcivescovo di Milano, l’impronunciabile Karl Kajeten von Gaisruck, di recarsi a Roma e porre il veto al futuro Pio IX. Il von Gaisruck però giunse nella città eterna, ahilui, a cose già fatte.
Il primo provvedimento di Pio IX (a un mese esatto dall’elezione) fu l’amnistia per i reati politici che restituì la libertà a 400 uomini richiusi nelle galere pontificie ad altrettanti esiliati di ritornare a Roma.
Sembrava essere l’inizio di un pontificato all’insegna dell’apertura, della tolleranza e della concessione dei diritti, come in effetti accadde nei primi anni.

Litografia allegorica che celebra l’amnistia del 1846
Purtroppo per lui, la storia lo pose in un periodo di impeti e rivoluzioni. Fu costretto all’esilio per i moti del ’48 e soprattutto ad affrontare le campagne per l’unità d’Italia e la proclamazione del Regno d’Italia nel 1861.
Con la proclamazione del Regno si aprì la questione romana. Il Regno d’Italia non comprendeva ancora naturalmente Roma e il Lazio, che facevano parte dello Stato Pontificio. Roma però, nelle mire di Cavour, era la necessaria capitale d’Italia.
E come poteva essere d’accordo il Papa?
Nel Regno l’anticlericalismo crebbe a piè sospinto, fino a sfociare nelle famose leggi eversive che soppressero la maggior parte degli ordini e gli enti ecclesiastici
Nel 1870 con la breccia di Porta Pia anche Roma cadde, e al Papa non rimasero che i Palazzi Vaticani, da dove nè lui nè i suoi successori uscirono più in segno di protesta fino ai patti del 1929.
Pio IX fu l’ultimo Papa Re

la notizia della presa di Roma
Il Papa non riconobbe nè il Regno d’Italia nè la sua capitale. Ordinò ai cattolici di non partecipare alla vita pubblica di uno stato di cui si riteneva prigioniero politico (non expedit) e in segno di protesta smise di affacciarsi a benedire la piazza.
Non smise però di parlare e tenere discorsi, seppur davanti a un ristretto numero di persone nel corso di udienze “pubbliche” bisettimanali.
Parlava a braccio, sulla base di pochi appunti, e parlava il più delle volte proprio della questione politica che lo riguardava (in un discorso del 29 settembre 1870 il Papa disse: “Voglio che il mondo sappia che io sono prigioniero”.
I discorsi venivano stenografati dal pio operaio Pasquale De Franciscis, che era giunto a Roma accorrendo a Porta Pia per soccorrere i feriti (e saputo che il Papa chiedeva spesso notizie di quei feriti, il De Franciscis si recò da lui e fu invitato a portare sempre più informazioni, arrivando anche a portare in udienza dal Papa i militari guariti dalle ferite. Nel corso di questi incontri, il Papa rivolgeva brevi messaggi di auguri ai militari, che venivano appunto stenografati dal De Franciscis il quale cominciò così la particolare collaborazione).
Dopo qualche anno, il De Franciscis iniziò a pubblicare volumi che raccoglievano alcuni discorsi del Papa. Queste opere erano accompagnate da note e commenti e portavano il titolo tutt’altro che lapidario di “Discorsi del Sommo Pontefice Pio IX pronunziati in Vaticano ai fedeli di Roma e dell’orbe dal principio della sua prigionia fino al presente per la prima volta raccolti e pubblicati dal P. Don Pasquale De Franciscis“.
Prima della prefazione del terzo volume (che si può leggere qui) il De Franciscis aveva avuto cura di scrivere: “Il Compilatore protesta di riserbarsi tutti i diritti di Proprietà Letteraria, non solo per la ristampa, ma ancora per la traduzione della presente opera in qualsiasi lingua: diritti che farà valere secondo le Leggi vigenti tanto per l’interno in Italia, quanto per l’estero negli altri Stati“.

frontespizio del terzo volume dell’opera del De Franciscis
Nel frattempo, a Napoli l’abate Milone diede alle stampe l’opera “Quaranta mesi al Vaticano ossia i discorsi pronunziati dal Papa Pio IX dal 20 sett. 1870 al 20 gen. 1874“. Nell’introduzione all’opera (che può tutta essere letta qui) si legge: “Gli editori di questa pubblicazione non ebbero altro di mira che la diffusione della santa parole dell’immortale Pontefice Pio IX, meraviglia nella secolare storia del Romano Ponteficato“.

frontespizio dell’opera dell’abate Milone
Inutile che ve lo dica: De Franciscis fece causa a Milone davanti al Tribunale di Napoli per violazione del suo diritto d’autore per la ripresa dei discorsi già da lui pubblicati.
Il Tribunale rigettò la richiesta ritenendo che il discorso di un Papa non costituisce opera proteggibile da diritto d’autore, essendo – come si leggeva nell’opera del De Franciscis – “voce di Dio parlante in mezzo agli uomini, e ad un tempo voce della natura, di cui discerne e rafferma la legge universale di verità e giustizia“. Lo stesso Papa aveva peraltro detto che i suoi discorsi erano: “voce che per diritto divino e per comun bene della società si rivolge al mondo tutto, e che non può essere circoscritta e raffrenata, senza che anche i diritti di tutti i fedeli non siano violati“.
Insomma, i discorsi del Papa, dell’ultimo Papa Re erano di per sè di pubblico dominio. E d’altronde come poteva essere diversamente per il Papa che aveva pronunciato il dogma dell’infallibilità?
Il De Francscis però, scontento naturalmente dell’esito del giudizio, impugnò la sentenza in Appello.
E di seguito trovate proprio la sentenza della Corte d’Appello di Napoli che nel 1876 risolse la questione. Non ve ne anticipo l’esito. La sentenza è bella e interessante e va gustata fino alla fine (è pure breve!).
Solo un ultimo cenno storico. Pio IX morì nel 1878, dopo 11.573 giorni di pontificato (tutt’ora il più lungo ).
Ai suoi solenni funerali, vi fu anche un tentativo di gettarne la salma nel Tevere. Ma questa è un’altra storia.
Vi benedico.
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