14 Giugno 1966 – Abolito l’Indice dei libri proibiti
“Che nessuno osi ancora scrivere, pubblicare, stampare o far stampare, vendere, comprare, dare in prestito, in dono o con qualsiasi altro pretesto, ricevere, tenere con sé, conservare o far conservare qualsiasi dei libri scritti e elencati in questo Indice del Sant’Uffizio”. Così recava il decreto con cui Paolo IV istituì l’Index librorum prohibitorum nel 1559, che per 408 anni ha compreso i libri la cui lettura – o anche il solo possesso – era sufficiente a condannare un uomo per eresia, peccato punibile con la scomunica e in alcuni periodi storici con la morte.
La necessità di redigere un indice dei libri proibiti emerse nel XVI secolo con il convergere di due eventi: la riforma protestante e l’invenzione della stampa, che rappresentarono una minaccia gravissima per la fede cattolica e la possibilità che questa si diffondesse in fretta. Le forme di controllo sulla letteratura erano principalmente due: una preventiva, sui testi redatti da cattolici e attinenti a tematiche di fede e morali, per stampare i quali era necessario l’imprimatur; una posteriore, su tutti gli altri testi, che poteva portare alla loro condanna e messa all’indice.
Il primo indice pubblicato era particolarmente severo. Accanto alle opere di Lutero e di Calvino comprendeva anche tutte le edizioni della Bibbia non in latino, nonché tutte le opere stampate dai tipografi della ormai temutissima zona svizzero-tedesca e quelle, anche italiche, di dubbia moralità: il De Monarchia di Dante, il Ludovico Furioso di Ariosto, il Decamerone di Boccaccio. Nel 1564, dopo il Concilio di Trento, Pio IV pubblicò un nuovo indice meno severo, che consentiva anche di “espurgare” i testi, ovvero di eliminare le sole parti considerate proibite – chiaramente travisando il significato delle opere.
Il 14 giugno del 1966 arrivò infine l’annuncio della sua abolizione, o meglio della perdita del suo valore giuridico di legge ecclesiastica, poiché “l’Indice rimane moralmente impegnativo, in quanto ammonisce la coscienza dei cristiani a guardarsi, per una esigenza che scaturisce dallo stesso diritto naturale, da quegli scritti che possono mettere in pericolo la fede e i costumi.” Al momento della sua abolizione annoverava tra i nomi più importanti della letteratura e della filosofia italiche e straniere, quali Machiavelli, Leopardi, Sartre, de Beauvoir, Moravia, per citarne alcuni, mentre non incluse mai il Mein Kampf di Hitler.