Penso che un sogno così non ritorni mai più
mi dipingevo le mani e la faccia di blu,
poi d’improvviso venivo dal vento rapito
e incominciavo a volare nel cielo infinito…
Domenico Modugno è sul palco del Casinò di Sanremo, ha trent’anni e le braccia tese sopra l’altezza delle spalle con le mani aperte, come pronto a spiccare un balzo e poi… volare.
Siamo nel 1958, ed è l’immagine iconografica di una intera epoca, quella del boom economico, e l’Italia, grazie alla canzone, si ritrova di nuovo improvvisamente al centro del mondo.
Un successo planetario: “Nel blu dipinto di blu” è prima in classifica per cinque settimane persino negli Stati Uniti, mercato da sempre – e per sempre poi – praticamente inaccessibile ai non anglofoni, figurarsi per un cantautore coi baffi di Polignano a Mare, ma che l’anno seguente avrebbe vinto addirittura due Grammy.
La canzone sarà cantata a tutte le latitudini, riarrangiata in tutti i generi, reinterpretata da centinaia di cantanti, ed è per certo una di quelle opere che ricorderà anche chi ci succederà tra quattro-cinquecento anni.
L’origine della nascita della canzone, e del suo celebre testo, non è certa. Sia Modugno che Migliacci (l’altro autore) hanno offerto storie diverse, dalla folgorazione davanti a un quadro di Chagall, alla contemplazione del cielo di Roma, o la passeggiata dei due autori sul Ponte Miglio, fino all’incubo notturno dopo una delusione d’amore (perché solo chi soffre è capace di scrivere una canzone bella – confermo).
Eppure, subito dopo quella fortunata edizione Festival di San Remo (che avrebbe consacrato l’evento come davvero il Festival della Canzone Italiana) e l’immediata e inarrestabile diffusione della canzone, accade un fatto che avrebbe potuto cambiare il corso della Storia, e forse privarci della canzone italiana più famosa di tutti i tempi.
La sera in cui la canzone fu presentata a San Remo, 30 gennaio 1958, alcuni amici raggiunsero a telefono Antonio De Marco, un compositore poco famoso, seppure attivo nel panorama musicale e vincitore nel 1957 del Festival di La Spezia. Gli chiesero come mai avesse ceduto un suo brano dal titolo Il Castello dei Sogni al cantautore pugliese.
De Marco – me lo vedo – saltò sulla sedia, e l’indomani si incollò alla radio per ascoltare la canzone di Modugno (che quell’anno cantava in coppia con Johnny Dorelli). Quando ascoltò la canzone, quell’introduzione sospesa, quel testo trasognante che così tanto insisteva sul tema del “blu“, andò su tutte le furie.
Riteneva il De Marco, infatti, che “Nel blu dipinto di blu” presentasse evidenti analogie con la sua “Il Castello dei Sogni” sia nel motivo della strofa che, appunto, nel testo, che così recitava:
Ho sognato il castello dei sogni
ma non c’era il calore divino degli occhi tuoi blu
c’era solo la luna nel cielo, le stelle lassù
ma non c’era il colore divino degli occhi tuoi blu
La casetta perciò preferisco quaggiù
con la musica tinta di blu
lassù non torneremo più
perché quaggiù ci sei tu
Contattò subito Modugno, Migliacci, e anche l’editore Curci, ma non ebbe alcuna risposta.
Rilasciò così un’intervista alla rivista Epoca, accusando Modugno e Migliacci di essere due plagiari, e che la sua canzone era suonata già da un anno in alcuni locali romani e che – giurava – c’erano tante persone pronte a testimoniarlo.
De Marco non aveva però mai depositato la sua canzone alla SIAE, e sosteneva che anzi ciò gli era stato impossibile, proprio perché qualcuno gli aveva sottratto la valigetta che conteneva il manoscritto della canzone proprio quando (ma guarda un po’…) si trovava a Roma, sul Lungotevere Ripetta, per effettuare il deposito. De Marco era certo che qualcuno aveva consegnato quella valigetta a Modugno che gli aveva così sottratto l’idea della canzone per comporre “Nel blu dipinto di blu”.
Domenico Modugno, che non era certo uno che la mandava a dire (e fu anche deputato dei Radicali alla fine degli anni ’80 quando, costretto da un ictus sulla sedia a rotelle, si fece promotore di diverse battaglie per i diritti civili) convocò immediatamente una conferenza stampa, minacciando querele a destra e a manca contro le accuse – giudicate infondate – del De Marco.
E querela fu. Ne sortì il processo concluso con la sentenza del Tribunale di Milano qui sotto, che condannò De Marco (e il giornalista che lo aveva intervistato) per diffamazione. La sentenza smentisce anche la sussistenza del plagio, ritenendo che nonostante dal punto di vista melodico vi fossero otto battute consecutive molto simili, queste non appartenevano alla parte originale e creativa della canzone di Modugno (il celebre ritornello). Tra l’altro, dato che il De Marco non era stato in grado di fornire alcuna prova riguardo alla datazione della sua opera (e quindi alla sua proprietà rispetto all’altra canzone), era stato anche appurato che il testo della canzone era stato successivamente rimaneggiato, dandogli qua e là un tocco di blu, proprio per farlo ancor più “rassomigliare” a Volare.
Tutto è bene quel che finisce bene: sai che noia a cantare “Il Castello dei Sogni” adesso?
© Riproduzione Riservata