Dopo aver affrontato il processo dinnanzi alla Convenzione Nazionale ed essere stato giudicato colpevole “di cospirazione contro la libertà pubblica e di attentato contro la sicurezza generale dello Stato” Luigi XVI, ormai chiamato “il cittadino Luigi Capeto”, viene condannato a morte. La sentenza, pronunciata il 20 gennaio 1793, deve essere eseguita entro ventiquattr’ore. Il ci-devant roi, per prepararsi a comparire dinnanzi a Dio, ha richiesto una dilazione di tre giorni che però gli è stata rifiutata dalla Convenzione Nazionale.
Le ultime ore di Luigi XVI al Tempio
La sera del 20 gennaio, dopo una cena frugale, Luigi XVI si intrattiene con l’abate Edgeworth de Firmont la cui presenza è stata richiesta dal prigioniero e autorizzata dalla Convenzione Nazionale. Poco dopo il re incontra per l’ultima volta la sua famiglia, intrattenendosi per più di due ore con Maria Antonietta, il Delfino Luigi Carlo, Madame Royale e sua sorella Elisabetta. Questo incontro si svolge alla discreta presenza degli ufficiali municipali, nonostante il re avesse chiesto di mantenere strettamente riservato questo momento così intimo e doloroso. Dopo aver congedato la famiglia, si intrattiene ancora con il suo confessore per poi ritirarsi e cadere in un sonno profondo, interrotto solo all’alba.
La mattina del 21 gennaio, Luigi XVI è svegliato da Cléry, suo personale valet-de-chambre. Dopo la vestizione mattutina, alle ore sei, l’abate de Firmont celebra nella stanza del re l’ultima messa, autorizzata dalla Municipalità: in tale occasione Luigi XVI riceve il viatico, l’eucarestia amministrata come alimento spirituale per aiutare il morente a compiere l’estremo viaggio verso Dio.
Al termine della funzione Luigi XVI esprime al confessore il desiderio rivedere ancora la famiglia ma de Firmont, “volendo risparmiare loro il dolore di una separazione così crudele” convince il re ad evitare un ulteriore straziante commiato.
Luigi XVI confida allora all’abate le sue ultime volontà, consegna a Cléry il sigillo reale da trasmettere a suo figlio, la fede nunziale per essere consegnata a sua moglie ed un piccolo pacchetto contenente le ciocche dei capelli dei suoi famigliari. Non si separa invece dall’anneau du sacre (l’anello reale ricevuto durante la cerimonia della consacrazione), sentendosi ancora intimamente legato al suo popolo e al suo ruolo di sovrano.
Intorno alle ore 8:00 del mattino, il generale Santerre, comandante della Guardia Nazionale, si presenta alla torre del Tempio per condurre il re al patibolo. Luigi XVI si intrattiene ancora qualche istante con il suo confessore, poi consegna alla delegazione un pacchetto contenente il testamento da far pervenire alla Convenzione Nazionale, raccomanda la sua famiglia alla benevolenza delle autorità municipali, chiede che Cléry sia assegnato alla regina e prega affinché i suoi servitori di Versailles non siano dimenticati. Prima di uscire diligentemente dalla sua prigione si rivolge al comandante della Guardia Nazionale dicendo: “andiamo”.
Il re, sceso nel cortile del Tempio con Santerre, due ufficiali municipali e l’abate de Firmont, sale sulla carrozza che il sindaco di Parigi Chambon è riuscito a fornirgli in alternativa al consueto carro sul quale venivano trasportati i condannati a morte. La carrozza, scortata per ragioni di sicurezza da numerosi gendarmi a cavallo, parte intorno alle ore 9:00 e dopo aver imboccato la rue du Temple il corteo entra nei Grands Boulevards, sorvegliati dai militari e gremiti di folla.
Il problema della sicurezza
Tra i temi più delicati e importanti che le autorità municipali hanno dovuto affrontare in questa fase, vi era quello del mantenimento della sicurezza durante il tragitto del condannato dalla tour du Temple sino a Place de la Révolution. Soprattutto alla luce del fatto che, nella notte precedente, il deputato Lepeletier de Saint-Fargeau dopo aver votato per la morte di Luigi Capeto, era stato assassinato in un ristorante parigino da una ex guardia del corpo del re. Questo avvenimento, unito alle voci sul possibile intervento armato di forze filo-monarchiche intente a sottrarre Luigi XVI al patibolo, aveva generato ulteriore preoccupazione nel generale Santerre. Per questo motivo egli aveva ordinato il raddoppio della guardia lungo il tragitto: nelle strade di Parigi, nei crocevia, nei vicoli e nelle piazze erano stati collocati numerosi uomini armati, Guardie Nazionali, federati e fucilieri; al fine di impedire qualunque intervento perturbatore, in tutti i luoghi strategici erano stati collocati dei cannoni.
Le preoccupazioni di Santerre sulla sicurezza erano fondate: infatti vi sono diverse testimonianze legate ad alcuni piani organizzati dai monarchici per sottrarre il re al patibolo, il più noto dei quali ad opera del barone de Batz.
Ciononostante l’ultimo viaggio del re si svolge con tranquillità, accompagnato dagli sguardi di una folla silenziosa: “durante la strada il più grande silenzio ha regnato. Non vi è stato alcun avvenimento”.
L’esecuzione di Luigi XVI
Secondo la ricostruzione dei commissari della Comune, il corteo raggiunge Place de la Révolution intorno alle ore 10:10 del mattino. La carrozza si ferma ai piedi del patibolo, una piattaforma in legno eretta dinnanzi al castello delle Tuileries, tra gli Champs-Élysées ed il basamento della statua di Luigi XV rimossa durante la rivoluzione. Intorno alla struttura sono stati collocati numerosi cannoni e un cordone di federati crea uno spazio vuoto, mantenendo il popolo lontano dalla ghigliottina che si staglia sul palco in tutta la sua terribile imponenza. Un costante rullo di tamburi copre ogni suono per ordine di Santerre, il quale ha predisposto ogni cosa affinché al re sia impedito di parlare e di essere udito.
I difensori del sovrano non sono presenti: la Comune ha vietato loro di accompagnare il condannato nei suoi ultimi istanti di vita.
Luigi XVI scende dalla carrozza accolto dal boia Sanson che gli ordina di togliersi la redingote, il foulard e sbottonare il collo della camicia. Il re obbedisce con riluttanza, chiedendosi perché non possa essere ucciso con indosso il suo abito e, con la medesima ritrosia, rifiuta inizialmente di farsi legare le mani. Poi accetta senza ulteriori esitazioni, persuaso dalle parole dell’abate de Firmont: “Sire, in questo ulteriore oltraggio io non vedo che l’estremo tratto di somiglianza fra la Vostra maestà e quella di Dio che sarà la Vostra ricompensa”. Sanson lega così i polsi del condannato con un fazzoletto mentre un suo assistente rasa il collo del re, tagliandogli i capelli che ricadevano sulla parte posteriore del capo.
Luigi XVI segue gli uomini salendo la scalinata della piattaforma, sempre accompagnato dall’abate e da un costante rullo di tamburi. Sul patibolo sono presenti vari rappresentanti del Dipartimento e della municipalità di Parigi. Luigi XVI domanda alle autorità di far cessare momentaneamente quel suono per poter rivolgere qualche parola al popolo. Questa richiesta viene radicalmente negata dal generale della Guardia Nazionale il quale dichiarerà successivamente alla Convenzione Nazionale le ragioni di tale rifiuto: “Luigi Capeto ha voluto parlare di commiserazione al popolo ma gliel’ho impedito perché la legge prevedeva la sua esecuzione”.
Il condannato viene così condotto verso la ghigliottina e, approfittando di un istante in cui i tamburi hanno momentaneamente cessato di suonare, avvicinatosi al bordo della piattaforma dice a gran voce: “Popolo, io muoio innocente!”. Santerre ordina nuovamente ai tamburi di riprendere a rullare. Luigi XVI, voltandosi allora verso le autorità municipali presenti sul patibolo, con voce calma e ferma pronuncia le sue ultime parole: “Signori, io sono innocente di tutto ciò di cui mi s’incolpa. Spero che il mio sangue possa consolidare la felicità dei Francesi”. Una versione più diffusa sostiene che queste parole, lievemente diverse ma dal medesimo contenuto, siano state pronunciate dal re: “Muoio innocente di tutti i crimini di cui mi si accusa. Perdono gli autori della mia morte. Prego Dio che il sangue che state per spargere non ricada mai sulla Francia”.
L’abate de Firmont pare rivolgergli queste parole di mesto incoraggiamento: “Andate, figlio di San Luigi, il cielo vi attende”.
Durante gli ultimi istanti di vita, Luigi XVI mantiene un nobile contegno, una placidità d’animo che stupisce e inquieta addirittura il boia e i suoi assistenti: “per rendere omaggio alla verità” – scrive Sanson nella sua lettera inviata alla Convenzione Nazionale il giorno stesso dell’esecuzione – “egli ha sostenuto tutto questo con un sangue freddo ed una fermezza che ci ha stupiti tutti. Resto convinto del fatto che abbia attinto questa risolutezza nei principi della religione di cui nessuno pareva più penetrato e persuaso di lui”.
A tal proposito sono emblematiche le parole di Madame de Stael: “quest’uomo che mancava della forza necessaria per preservare il suo potere, che fece dubitare del suo coraggio fintanto che ne ebbe bisogno per respingere i suoi nemici; quest’uomo che, per uno spirito naturalmente incerto e timido non credeva nemmeno alle sue stesse idee e nemmeno sapeva adottare per intero quelle di un altro; quest’uomo si è mostrato tutto d’un colpo capace della più stupefacente risoluzione: quella di soffrire e morire”.
Luigi XVI viene fatto sdraiare prono sulla plancia, la testa inserita e fissata nella lunetta. I tamburi cessano di rullare e alle ore dieci e ventidue Sanson aziona la ghigliottina.
Un silenzio spettrale regna sulla piazza gremita sino a quando un assistente del boia, prendendo per i capelli la testa insanguinata del re dalla cesta, la presenta al popolo. Indistinte grida di gioia s’innalzano dalla folla esaltata: “viva la Nazione! viva la Repubblica!”. Alcuni colpi d’artiglieria segnalano alla capitale il decesso del re.
Così moriva Luigi XVI di Borbone, l’ultimo sovrano assoluto di Francia.
L’inumazione di Luigi XVI
Subito dopo l’esecuzione, le spoglie del re sono caricate su un carretto, all’interno “di una grande cesta di vimini” per essere trasportate da un gruppo di gendarmi al Cimetière de la Madeleine ed essere inumate in una tomba anonima. La mattina stessa del 21 gennaio la Convenzione Nazionale ha infatti decretato “che il Consiglio Esecutivo è incaricato di far seppellire il corpo di Luigi Capeto nel luogo ordinario destinato alle inumazioni”. Questo decreto avallava la decisione presa il giorno precedente dagli organi municipali: “il corpo di Luigi Capeto sarà trasferito nel cimitero della Madeleine ove sarà preparata una fossa di dodici piedi di profondità”, il doppio della misura ordinaria.
Il carro giunge nel cimitero e i gendarmi mostrano ai sacerdotipresenti “il cadavere di Luigi Capeto […] integro di tutte le membra e con la testa staccata dal resto del corpo”. Gli ecclesiastici notano “che i capelli dietro la testa erano stati tagliati, che il cadavere era senza soprabito, senza cravatta e privo di scarpe. Per il resto era abbigliato con una camicia, con un gilet puntinato, una culotte di stoffa grigia ed un paio di calze di seta grigia”.
Il corpo è poi trasferito in una bara di legno, calata in una fossa che viene ricoperta all’istante: “il cadavere, collocato nella bara aperta fu gettato, secondo gli ordini del potere esecutivo, in fondo alla fossa su un letto di calce seguito da uno strato di terra, il tutto fortemente battuto a più riprese. La testa di Luigi XVI fu collocata ai suoi piedi”. Nel frattempo i sacerdoti recitano i vespri. Leblanc e Dubois, amministratori del dipartimento di Parigi, insieme al sacerdote Picavez, a Damoreau e Renard, vicari della parrocchia di Sainte-Madeleine, redigono e sottoscrivono il processo verbale dell’inumazione affermando che “tutto è stato disposto ed eseguito in maniera conforme agli ordini ricevuti dal Consiglio Esecutivo della Repubblica francese”.