Mariano D’Amelio nacque a Napoli il 4 novembre 1871 da Camillo e da Luisa Manganelli, si laureò in giurisprudenza nella sua città natale per entrare subito in magistratura come uditore nel 1893. La sua prima pubblicazione fu “La fotografia come mezzo di prova”, su un tema scottante nella pratica legale e processuale. Assessore nel Regio Commissariato dei demani comunali in Sicilia (1895-98), fu quindi magistrato nella colonia Eritrea (1899-1905). Giudice e presidente del tribunale di Massaua, provvide all’ordinamento giudiziario che istituiva il tribunale d’appello ad Asmara; di questo tribunale fu il primo presidente.
Rientrato in Italia nel 1905, prestò servizio a Milano come consigliere presso quella corte d’appello distinguendosi per alcune sentenze innovatrici. Il periodo milanese fu importante per D’Amelio, che si fece conoscere nel mondo dei giuristi milanesi, come Sraffa, Vivante e Carnelutti. Al tempo, nella Rivista di diritto commerciale confluivano esperienze giuridiche fra le più avanzate; la direzione della rivista aveva sede nello studio di Angelo Sraffa. D’Amelio collaborò alla redazione con Alfredo Rocco, suo conterraneo e amico, con il quale condividerà in seguito l’impegno alla nuova codificazione. Si legò alla famiglia Sraffa sposando la sorella della moglie di Angelo, Maria Goldmann, di famiglia ebraica.
Dal 1906 assunse incarichi negli alti ruoli dell’amministrazione: capogabinetto dei guardasigilli V. E. Orlando (1906-1909), V. Scialoja (1909-1910) e C. Fani; quindi, direttore generale del ministero delle Colonie di nuova istituzione (1911-12), in tale qualità provvedeva all’ordinamento giuridico della colonia libica appena acquisita. Capo dell’ufficio legislativo della presidenza del Consiglio durante la Prima guerra mondiale, diresse l’elaborazione della maggior parte della legislazione di guerra. Fu rappresentante italiano alla conferenza di Berna (1917-18), quindi delegato alla conferenza della pace di Parigi (1919-20) e ad altre conferenze interalleate. Rappresentante dell’Italia nella Commissione delle riparazioni e nel Comitato di garanzia, fece prevalere sulla semplice indennità di guerra il concetto giuridico del risarcimento del danno derivante da ingiusta aggressione, che diventò così acquisizione definitiva del diritto internazionale di guerra.
Stabilita con legge del 24 marzo 1923 la soppressione delle cinque corti di cassazione regionali, ed istituita la Corte suprema di cassazione unica del Regno in Roma, con (allora) due sezioni civili e due penali, D’Amelio fu chiamato a presiedere la nuova Cassazione unificata, succedendo a Ludovico Mortara.
Il ruolo al vertice della magistratura che D’Amelio coprì nel ventennio fascista – cumulando nel contempo la presidenza del Consiglio superiore della magistratura e della Suprema Corte disciplinare – ha proposto la questione del suo atteggiamento verso il regime.
È vero – come Arturo Jemolo rilevava per sottolineare la distanza dalle posizioni di Rocco – che D’Amelio, appartenente alla alta borghesia cattolica napoletana, non aveva condiviso, alla svolta del secolo, quell’avversione montante verso il regime parlamentare, quella polemica contro il “parlamentarismo imbelle” che determinò il confluire di vivaci frange della borghesia, anche intellettuale, verso il nazionalismo e l’imperialismo. Ma è altrettanto vero che, proprio in linea con i principi della nuova codificazione e dell’ideologia dello Stato che il regime fascista mutuava in larga misura dall’elaborazione nazionalista tramite Rocco guardasigilli, troveremo D’Amelio impegnato, e con evidente adesione ideale, nell’opera di codificazione. Del corporativismo D’Amelio fu mostrò aperto sostenitore. Indicato, accanto a Scialoja, a Santi Romano, fra i grandi commis d’Etat cooptati dal regime a operare la saldatura con la vecchia direzione politica, sopperendo peraltro alla mancanza nel partito di uomini e direttive per gli alti quadri dell’amministrazione, la sua partecipazione al regime, specie nell’opera legislativa, non si risolse nella difesa di strutture e valori tradizionali o liberali.
Senatore del Regno dal 1° gennaio 1924, la sua voce fu tra quelle che inneggiarono ai patti lateranensi, e come presidente della Cassazione operò perché a questi fosse data la più ampia applicazione.
Nel maggio 1934 D’Amelio succedeva a Vittorio Scialoja nella presidenza dell’Istituto interazionale per l’unificazione del diritto privato fondato nel 1924 come organismo ausiliario della Società delle nazioni.
D’Amelio reggerà la direzione dell’istituto fino al 1943 e il suo impegno sarà determinante nel periodo critico seguito all’uscita dell’Italia dalla Società delle nazioni (1936) e alla denuncia dell’accordo in base al quale proprio quell’istituto era sorto.
Le prime manifestazioni del pensiero di D’Amelio in tema di unificazione legislativa possono rintracciarsi in scritti sui presupposti giuridici per il regolamento della navigazione aerea (in Riv. di dir. pubbl., I (1909), 11, pp. 502-523), sull’applicazione uniforme dei principi di diritto commerciale internazionale, sulla protezione internazionale delle comunicazioni radioelettriche, sulla unificazione del diritto delle assicurazioni private, sulle convenzioni internazionali di diritto marittimo. Il primo maggiore contributo in questo campo era stato la collaborazione al progetto di codice unico delle obbligazioni e dei contratti concordato fra Italia e Francia nel 1927. L’elaborazione si compiva nel gennaio 1928 con la pubblicazione di un progetto di codice unico italo-francese delle obbligazioni e dei contratti. Ma gli umori revisionisti della politica italiana verso la Francia non avrebbero consentito che la legge entrasse in vigore.
Fra le leggi uniformi promosse si annoverano quelle sulla formazione dei contratti per corrispondenza, sulla responsabilità degli albergatori per perdita o danneggiamento di bagagli di clienti, sulla responsabilità civile e le assicurazioni obbligatorie degli automobilisti, sull’arbitrato nei rapporti internazionali di diritto privato; e, ancora, i progetti di convenzione per l’esecuzione all’estero delle obbligazioni alimentari e per la protezione di diritti connessi al diritto d’autore. Fra i pareri forniti alla Società delle nazioni si segnalano i progetti di convenzione relativi alla cambiale e al traveller’s cheque. La virtù attiva di tali elaborazioni si manifesta ancora in alcuni progetti di legge uniforme quali quello relativo al contratto di vendita internazionale di cose mobili, redatto dall’istituto nel 1935, il cui iter interrotto dalla guerra si è concluso a Vienna nel 1970. Anche l’arbitrato in materia di diritto privato è stato ripreso dopo la guerra dal Consiglio d’Europa per farne oggetto di una convenzione europea sulla procedura arbitrale nelle vertenze di diritto privato. I progetti relativi all’esecuzione all’estero delle obbligazioni alimentari sono stati assunti dall’O.N.U. come base per la preparazione di una convenzione comandata agli Stati dal Consiglio economico-sociale. Il progetto di legge uniforme relativo all’assicurazione obbligatoria degli automobilisti, dopo aver servito da modello ai paesi del Benelux, è divenuto convenzione europea; la legge sulla responsabilità degli albergatori, ripresa dopo la guerra, ha formato oggetto di convenzione europea stipulata sotto gli auspici del Consiglio d’Europa.

Tra le opere che meglio manifestano le sue qualità direttive e organizzative è il Nuovo Digesto italiano, in 13 volumi. L’iniziativa insediata nel 1932 si avvalse della collaborazione di circa 900 autori per la elaborazione di circa 10.000 voci, fornendo un’aggiornata enciclopedia della scienza giuridica ed economica italiana integrata da notizie storico-bibliografiche sugli scienziati delle due branche. L’opera poneva il D’Amelio in prima linea tra gli elaboratori del diritto positivo italiano.
Nell’autunno del ’38, l’introduzione delle leggi razziali determinerà il palese aggancio del regime alle tavole di valore naziste, deludendo quanti come D’Amelio avevano sperato che l’influenza della Chiesa e del cattolicesimo nella realtà italiana avrebbe a questo punto provocato la ribellione e lo strappo dall’alleanza.
Per circostanze familiari derivanti dal proprio matrimonio anche D’Amelio fu toccato da vicino da quelle leggi ma non chiese il proprio collocamento a riposo, come aveva sperato Jemolo; collocamento che avvenne per raggiunti limiti di età nel 1941. Lo stesso anno venne nobilitato Conte dal Re.
Morì poco dopo a Roma, il 19 novembre 1943.
