L’on. Morelli, pensatore all’avanguardia, promosse il riconoscimento della capacità giuridica delle donne, e altre audaci proposte come il diritto di voto e la parità in materia di diritto di famiglia e istruzione. Saldo nelle sue convinzioni, criticò più volte la scarsa attenzione dei parlamentari verso l’altro sesso.
Correva sabato 3 marzo 1877 quando venne distribuita la relazione dell’onorevole Salvatore Morelli sul disegno di legge per accordare allo donne che hanno le “condizioni di capacità richieste dalla legge”, di poter testimoniare negli atti pubblici. L’onorevole Morelli, l’autore della proposta, dichiarava pubblicamente ingiusta la disuguaglianza che ancora si riscontrava per questa parte nei diritti della donna di fronte all’uomo.
In un periodo di riforme come quello successivo all’Unità d’Italia, obiettivo del Morelli, liberale ed ex mazziniano, era quello di promuovere l’emancipazione femminile sotto ogni fronte. Egli aveva fiducia che il nuovo Codice civile italiano del 1865 avrebbe inglobato via via norme e disposizioni a sulla via del progresso.
Pensatore all’avanguardia, nel 1861 il Morelli pubblica la sua opera più importante: La donna e la scienza o la soluzione del problema sociale, mentre nel 1867 presentò, primo in Europa, un progetto di legge dal titolo “Abolizione della schiavitù domestica con la reintegrazione giuridica della donna, accordando alla donna i diritti civili e politici“. Le proposte di Morelli riguardavano la parità sul diritto della famiglia, in particolare divorzio ed educazione dei figli, nonché pari libertà nell’accesso all’istruzione e alla vita politica dello Stato.
In una discussione alla Camera dei Deputati avvenuta il 21 giugno 1870, Morelli proponeva che alle scuole pubbliche dovesse accedere ogni cittadino italiano, senza distinzione di sesso. Il verbale della seduta riporta le parole del Morelli:
In Italia tutto é monopolio: il potere, il censo, la scienza. Anche il sesso è monopolio. Anche la parola qui è monopolio perché non mi si lascia parlare. Fu inoltrata una petizione da un Comitato di donne straniere; ma qui, dove poco si pregia la donna, non le si diede corso.
Bisogna che le manimorte cessino. La donna è ora una mano morta. Bisogna che essa diventi una mano viva. Bisogna che cessino le barriere che avete messo fra gli uomini e le donne! Molte signore si presentarono ad un’Università per studiare chimica e furono rifiutate. O perché le donne non dovrebbero conoscere la chimica? Ciò dipende da un pregiudizio e non da mancanza di deferenza verso la donna. I deputati non dovrebbero ignorarlo.
Bisognerebbe che l’uomo aprisse alla donna la porta della scienza, da ciò dipende l’avvenire e la prosperità dell’Italia.
Come finì la vicenda? Il discorso del fervente pensatore venne continuamente interrotto dalle risate e gli scherni dei colleghi, finché l’allora relatore della seduta – Desiderato Chiaves – invitò a riprendere la questione in un’altra circostanza, quando se ne fosse presentata necessità. L’allora ministro dell’Istruzione, Cesare Correnti, fece eco ribadendo che l’on. Morelli avesse sollevato una “questione inopportuna“. (Se siete curiosi sulle dispute tra onorevoli nel Regno d’Italia, qui un assaggio gustoso di Turati contro Giolitti.)
Nel 1875 presentò la richiesta del diritto di voto per le donne con apposito disegno di legge. Soltanto poche delle sua iniziative vennero accolte dai colleghi parlamentari: tra queste, nel 1877, la legge Morelli n. 4176 del 9 dicembre 1877, per riconoscere alle donne il diritto di essere testimoni negli atti normati dal Codice civile, come i testamenti.
I quotidiano del tempo dedicarono poche righe al fatto, ma la decisione fu un gradino importante per l’affermazione del principio di capacità giuridica delle donne.
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