Roma, 19 novembre 1933, si spegne Vittorio Scialoja, uno dei più importanti ed influenti giuristi italiani di inizio Novecento, nonché uomo politico e professore universitario.
La vita
Nacque il 24 aprile 1856 a Torino, il padre Antonio era economista napoletano esule proprio nel capoluogo piemontese. Vittorio Scialoja compì i suoi primi sudi a Firenze, salvo poi trasferirsi a Roma in concomitanza con quelli universitari. Si laurea nel 1877 con un con una tesi sul diritto romano, ambito del quale diventerà una delle massime autorità. Due anni dopo la laurea gli venne affidata la cattedra proprio di diritto romano e Codice civile all’Università di Camerino, nel 1881 quella di Siena sempre in tale ambito. La consacrazione definitiva in ambito accademico arriva nel 1884 quando infine approda come professore a Roma, dove fonderà l’istituto per il diritto romano.
La propensione all’insegnamento, unita all’impegno scientifico che da sempre caratterizza il suo lavoro, esteso a molteplici settori del diritto, fecero di Scialoja un punto di riferimento per i suoi allievi e soprattutto per le future generazioni di studiosi di scienza giuridica. All’impegno accademico unì anche quello pratico, di fatti fu un avvocato civilista e amministrativista. Non meno importante furono l’impegno ed il contributo alla vita pubblica italiana di inizio secolo: senatore dal 1904, ministro della giustizia nel 1909-10, ministro degli esteri nel 1919-20, primo rappresentante italiano alla Società delle Nazioni dal 1921 al 1932.
L’Opera scientifica
La figura di Scialoja viene presto elevata a principe della scienza giuridica italiana per l’ampio ventaglio di interessi sia per apertura metodologica, oltre che per l’ambito del già citato diritto romano. All’interno di quello che era il suo pensiero, il senso giuridico, volto a caratterizzare il lavoro dell’esperto in ogni settore, sarebbe dovuto sorgere dall’unità disciplinare del diritto, attraverso saldi principi e specifiche tecniche. Proprio quei principi e quelle tecniche erano derivanti dai giuristi romani, ma rivisti e rielaborati in chiave contemporanea, permettendo quindi una sorta di adattamento alle esigenze del tempo.
Da sottolineare la sua partecipazione all’Annuario di diritto comparato, considerato un po’ come una sorta di “epifania” nell’ambito della cultura giuridica comparatistica; così come di forte rilievo fu l’attenzione per l’insegnamento e la codificazione del diritto agrario. La vocazione internazionale del giurista venne fuori non solo come uomo politico e ambasciatore, ma anche per quanto riguarda la promozione di uno studio volto a fissare regole comuni in materia di obbligazioni per quanto riguarda le relazioni economiche transnazionali (tra Francia ed Italia).
Sarebbe però riduttivo ricondurre il lavoro di Scialoja al solo diritto romano, infatti fin da principio il suo lavoro guarda con particolare interesse la scienza giuridica tedesca, della quale si fece promotore in termini di divulgazione dei suoi progressi, ora come recensore, ora come autore di saggi ed edizioni critiche di documenti; il tutto in funzione di un rinnovamento della cultura giuridica italiana, riscontrabile nell’ultimo decennio del XIX secolo quando al declino del metodo esegetico corrispose un beneficio dello strumentario concettuale e metodologico di derivazione pandettistica.
Alla luce di tali posizioni non si può esemplificare il lavoro di Scialoja in un semplice mezzo di sostituzione di influenze internazionali (da quella francese a quella tedesca), di fatti in territorio germanico il diritto romanico era ancora in piena parte vigente. Proprio per questo sarebbe più corretto completo guardare al lavoro di Scialoja, così come a quello di Carlo Fadda (altro rappresentante della corrente pandettistica in Italia), come ad una rifondazione romanistica della scienza giuridica italiana, la quale potesse contribuire alla precaria coesione del neo Stato unitario e, di riflesso, alla codificazione civile da esso prodotta, contro una forza disgregante come quella della parcellizzazione dell’equità individuale, proprio contro la quale Scialoja si cagliò in nome di un’equità comune, che a sua volta sarebbe stata riflesso dell’aspirazione di un popolo ad un certo diritto e di una volontà che giunge ad un certo grado di intensità riconoscibile dalla forma esterna.
Gli ultimi vent’anni della sua vita furono condizionati dal mutamento del quadro istituzionale italiano prima con la Grande guerra e poi con l’avvento del fascismo, il quale spingeva fortemente per una riforma dei codici, che lo stesso Scialoja cerò di attenuare anche a costo di rinunciare a parte della spinta innovativa e di riforma per la quale lui stesso aveva lavorato per così tanti anni.