30 marzo 1985 – L’arresto di Pippo Calò
Il 30 marzo segna una fine. Segna un arresto. L’arresto di Giuseppe, detto Pippo, Calò, il “cassiere di Cosa Nostra”.
Il cassiere l’aveva fatto davvero, insieme al barista e all’addetto vendite, finché poi Tommaso Buscetta, figura chiave nella storia della mafia siciliana, lo prese sotto la propria ala affiliandolo alla cosca mafiosa di Porta Nuova, di cui Calò divenne addirittura capo nel 1969.
Trasferitosi a Roma negli anni ’70, sotto la falsa identità di Mario Aglialoro cominciò a investire in beni immobiliari, a operare nel gioco clandestino e nello spaccio di eroina.
Sfruttando le conoscenze che aveva nel settore bancario cominciò poi, e da qui l’epiteto che lo accompagna, a riciclare denaro sporco che veniva reinvestito, complice il suo presidente Roberto Calvi, nel Banco Ambrosiano.
Dagli inizi degli anni ’80 però le cose precipitarono. Il Banco Ambrosiano fallì, Calvi venne ritrovato impiccato a Londra e la libertà di Calò aveva le ore contate.
Il 30 marzo 1985 venne infatti arrestato a casa sua, in Viale Tito Livio, a Roma. Erano le dieci di sera e Calò, insieme alla moglie, stava tentando di fuggire.
Il mese successivo la polizia perquisì alcuni immobili di sua proprietà o intestati al suo prestanome, Guido Cercola, trovando eroina, armi, opere d’arte, contanti, gioielli ed esplosivi.
Pochi mesi dopo, nel 1986, iniziò il maxiprocesso e Calò, insieme a altre decine e decine di imputati, venne accusato di associazione mafiosa, riciclaggio di denaro sporco e della responsabilità della strage del Rapido – 904, il treno Napoli-Milano su cui era esplosa una bomba nel dicembre 1984. Poi si scoprì per deviare l’attenzione dalle confessioni che in quegli anni stava iniziando a fare Tommaso Buscetta.
Al termine del processo, nel 1987, Calò, colpevole, fu condannato a due ergastoli.