Il processo di Tokyo mise in luce che un governo può essere chiamato a rispondere delle sue azioni, il che ebbe un notevole impatto sulla mentalità giapponese.
Fra il 3 maggio 1946 e il 12 novembre 1948 si svolse a Tokyo, in quello che era stato il quartier generale dell’esercito imperiale giapponese, il cosiddetto Processo di Tokyo, l’equivalente orientale del processo di Norimberga. Gli imputati principali furono 25 e più di 5.000 quelli secondari. Le imputazioni erano le stesse di Norimberga: crimini contro la pace; crimini di guerra; crimini contro l’umanità. La famiglia imperiale non fu perseguita e con una decisione controversa, ma voluta espressamente dal generale statunitense MacArthur, l’imperatore Hirohito non fu incriminato né chiamato a testimoniare, nonostante la Costituzione Meiji gli riservasse la posizione di capo dello Stato e comandante in capo di tutte le forze armate.
La corte giudicante e l’accusa erano formate da magistrati appartenenti a tutti gli 11 Paesi che avevano firmato l’atto di capitolazione dell’impero giapponese: Stati Uniti, Australia, Canada, Repubblica di Cina, Filippine, Francia, India britannica, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Regno Unito e Unione Sovietica. I testimoni ascoltati furono 419, vennero raccolte oltre 800 deposizioni, i documenti acquisiti agli atti furono circa 4.300, mentre il processo verbale venne riassunto in 48.000 pagine. Ventiquattro dei venticinque imputati, che erano militari, ministri, politici e funzionari, dichiararono di aver solo eseguito gli ordini e di non avere nulla da rimproverarsi. Il generale Hideki Tojo, che dal 1941 al 1944 fu uno dei maggiori artefici della conduzione della guerra del Giappone, fu l’unico ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni.
Tutti, comunque, si dichiararono “non colpevoli”. Le condanne a morte furono sette e vennero eseguite il 23 dicembre 1948 tramite impiccagione, nella prigione di Sugamo. I giapponesi accusati di crimini di guerra in base al secondo e terzo capo di imputazione furono, come detto, più di 5.000. I condannati a morte nei processi che li videro sotto accusa furono 984, mentre 475 furono i condannati all’ergastolo. Il valore del processo di Tokyo fu il fatto di aver messo in luce che un governo può essere chiamato a rispondere delle sue azioni, il che ebbe un notevole impatto sulla mentalità giapponese.
Processo di Tokyo: cavie umane e armi batteriologiche
Nel processo per crimini di guerra di Khabarovsk, l’Unione Sovietica mise alla sbarra alcuni membri (una decina) dell’Unità 731, guidata dal generale Shiro Ishii (esperto batteriologo), ufficialmente destinata alla purificazione dell’acqua ma in realtà incaricata di studiare e testare armi chimiche e biologiche, violando il protocollo di Ginevra che il Giappone aveva firmato nel 1925. L’unità condusse esperimenti su cavie umane nel territorio del Manchukuo. Fra il 1942 e il 1945 migliaia di prigionieri, in gran parte cinesi, furono usati per esperimenti estremi.
Gli scienziati dell’unità 731 che si arresero alle truppe americane non furono processati, perché il generale MacArthur ne garantì l’immunità in cambio delle loro ricerche sulle armi biologiche. Molti continuarono la propria carriera medica. Nel 1981, il giudice olandese Bert Röling, unico ancora in vita del collegio d’accusa, disse, a proposito dell’Unità 731:
“È stato amaro, per me, essere informato che i principali crimini giapponesi, quelli del tipo più disgustoso, sono stati tenuti nascosti alla corte dal governo degli Stati Uniti”.