Spesso identifichiamo con il 1968 gli anni dello scoppio delle proteste giovanili contro le autorità. Ma non è così: risse, tumulti, scioperi, proteste, assalti e fischi ci sono sempre stati. Una volta ne fu vittima a Bologna persino Giosuè Carducci.
Nel 1891, Giosuè Carducci aveva sessantasei anni, dopo una vita da deputato era da poco stato nominato senatore del Regno, faceva parte del Consiglio Superiore dell’Istruzione e aveva già pubblicato la maggior parte delle sue rime più famose: da lì a una manciata d’anni sarebbe stato insignito del Premio Nobel per la letteratura.
Ma, soprattutto, nel 1891 era professore di lettere italiane alla Regia Università di Bologna. Anche se la sua carriera in quell’università era iniziata in sordina nel 1860 (si racconta che un giorno rinunciò alla lezione per… mancanza di studenti), il prof. Carducci divenne sempre più un personaggio di rilevante interesse pubblico, sia per le sue cariche di natura istituzionale, sia per la sua produzione letteraria.
La storia che stiamo per raccontarvi è ripresa dalla sentenza del Tribunale di Bologna del 4 aprile 1891. Era accaduto che, qualche tempo prima, alcuni studenti universitari avessero dato vita a un circolino politico, il Circolo Monarchico Universitario, e per la inaugurazione del loro vessillo avessero invitato proprio Carducci, “l’illustre poeta“, che aveva accettato di fare loro da padrino.
Altri studenti, però – “inspirati a principii non armonizzanti con quella dell’altra parte, la quale aveva preparata la inaugurazione della bandiera” – organizzarono una manifestazione di protesta, ostile al Carducci, e – continua la sentenza – “da quanto è sembrato, dev’essere corso un concerto sul luogo e sul modo di manifestarla“. Insomma, si organizzarono per benino.
Così, l’11 marzo 1891, un “numero straordinario di studenti” si riversò proprio nell’aula in cui Carducci avrebbe dovuto tenere lezione. Non si riempì solo l’aula, anche l’antisala e gli atri vicini si colmarono di studenti, che penetrarono “per fino con rottura di vetri anche dalle finestre”, e che raggiunsero il vorticoso numero di 300 persone. Tutti pronti a fare le feste a Carducci.
L’irsuto professore non ne fu impressionato, si fece strada tra la folla e quando raggiunse – a tentoni – la cattedra, ormai “ai calorosi applausi della sua scolaresca successero i fischi, ed un gridare e un ingiuriar cogli epiteti di buffone! e mascherone! e altri, così che un assordante baccano riempiva quelle stanze”.
Incollato alla cattedra, e senza alcuna intenzione di abbandonarla, il Carducci trascorse la sua ora di lezione, una intera ora dalle 15 alle 16, zitto in mezzo al frastuono della dimostrazione. Uscito dall’università i fischi lo raggiunsero anche per strada. A uno studente particolarmente insistente nella molestia e “del quale aveva da un pezzo notata la maggiore insistente ” Carducci, a quel punto probabilmente furioso, rivolse anche la parola “vigliacco“. Epiteto che oggi non ci fa né caldo né freddo, ma che allora era assai offensivo.
Il professore senatore riuscì poi a un certo punto a salire finalmente su una carrozza per andarsene, ma un giovane fece in tempo persino ad “aggrapparsi al mantice della sua vettura” per continuare gli improperi ma l’inconveniente fu presto superato. Mentre Carducci riparava a casa, due degli studenti più intemperanti furono arrestati: i signori Salaroli e Monti.
Al processo per “oltraggio a pubblico ufficiale” che si tenne nei giorni appena successivi, nessuno voleva difendere i due imputati. Nessuno voleva infatti “offendere” l’illustre parte civile.
Ci pensò Enrico Ferri, all’epoca trentacinquenne, fresco di fondazione della rivista “La Scuola Positiva”, parlamentare del Regno eletto come radicale (e un paio di anni dopo avrebbe aderito al Partito Socialista, del quale sarebbe diventato un esponente di spicco, giungendo anche a dirigere l’Avanti), e che firma una bellissima nota di commento alla sentenza che inizia così.
“Nei pochi anni da che faccio l’avvocato, ho imparato per conto mio, quanto valga di più un’oncia di pratica che un quintale di teoria, per vedere sperimentalmente che cos’è la vita del diritto”
Nel corso del processo uno degli assistenti amministrativi dell’Università, il cav. Damiani – che era stato uno dei Mille garibaldini – aveva testimoniato raccontando che gli studenti erano insorti perché avevano sempre visto Carducci come un radicale, e rimasero delusi quando seppero della benedizione del circolo monarchico e della bandiera.
L’arringa dell’avvocato fu tutta incentrata sulla analisi della psicologia collettiva: “Quando gli imputati non agiscono da soli, ma in una folla di individui, mossi dalle stesse passioni, il fatto va socialmente e giudiziariamente considerato da un punto di vista speciale. La ribellione popolare ne’ i Promessi Sposi di Manzoni, dove Renzo è arrestato come capo della sommossa, mentre in realtà eravisi trovato in mezzo solo per caso e con intenzioni pacifiche”.
In tutti i tafferugli, come nel caso di Bologna – continua Ferri – sono i più ingenui che si fanno arrestare e i più furbi sgusciano come anguille, con il grave rischio di arresti casuali. In questi tumulti, inoltre (come del resto in un’assemblea, in un teatro, in un comizio) l’individuo subisce la reciproca suggestione febbrile e il fermento psicologico della folla ed opera senza piena coscienza. In questi casi, l’eccesso del modo è imputabile non all’individuo, ma alla folla intera “la quale però non si può, come tale, portare sullo scanno degl’imputati”.
Trenta anni dopo, come vi abbiamo raccontato in un caso deciso dal Tribunale di Conegliano, la stessa difesa sarebbe servita per assolvere da ogni imputazione i partecipanti a una manifestazione finita con distruzioni durante le lotte del biennio rosso.
Anche a Bologna gli studenti furono assolti per lo stesso motivo: Va attenuata la immoralità intrinseca dell’azione e la responsabilità penale della effervescenza delle giovani menti negli ideali ai quali essi aspirano, delle eccitazioni che si sviluppano spontanee, della natura speciale dei movimenti che produssero quei deplorevoli fatti”, pur naturalmente senza mancare di sottolineare il “rispetto che era dovuto all’autore di cantici immortali, appartenente alla schiera degli uomini eminenti, dei quali anche la storia insegna essere eterno il culto nella consacrazione dell’excellens in arte non debet mori“.
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Enrico Ferri plaude alla decisione, che assolvendo gli imputati aveva garantito la pacificazione degli animi, permettendo a Carducci di riprendere regolarmente le sue lezioni. Mentre una grave condanna non avrebbe che “rinnovata ed invelenita l’irritazione degli animi”, aggiungendo che:
E concluse ribadendo che nella vita pratica della giustizia val più un’oncia di psicologia positiva che in quintale di Cujaccio, Farinaccio, Anton Mattei, Carrara, etc.; che sono utilissimi nelle rare questioni di diritto; ma che sono completamente muti nelle frequentissime, quotidiane questioni psicologiche di fatto.
Chissà cosa ne pensava Carducci.
In apertura abbiamo citato il 1968 e le proteste giovanili. Ricordate a proposito il caso del processo a Trimarchi? A questo link trovate l’articolo a riguardo!
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