La vita
Massimo Severo Giannini, nato a Roma l’8 marzo 1915 e qui morto il 24 gennaio 2000, figlio di Amedeo Giannini (1886-1960; studioso di diritto della navigazione, ambasciatore e consigliere di Stato), allievo della facoltà giuridica romana, dove si era laureato con Guido Zanobini, seguì l’insegnamento di Santi Romano, a sua volta maestro dello Zanobini.
Ha insegnato dal 1936 al 1985, salvo la parentesi degli anni 1938-46. Professore a Sassari per tre anni, fino al 1939, per incarico; poi straordinario nella stessa università (fino al 1940), ordinario a Perugia (fino al 1953), a Pisa (fino al 1959) e, infine, a Roma. Oltre al diritto amministrativo, ha insegnato anche il diritto finanziario e la scienza delle finanze, il diritto costituzionale, il diritto ecclesiastico e la teoria generale del diritto. Ha insegnato, dal 1961 al 1980 e dal 1986 in poi, al Corso di perfezionamento in scienze amministrative dell’Università di Roma.
Oltre a svolgere un’intensa attività di organizzazione culturale in Italia e all’estero, ha fatto parte di molte commissioni ministeriali. Nel 1945-46, è stato capo di gabinetto del ministro per la Costituente e dal 1946 al 1948 capo dell’ufficio legislativo del ministero dell’Industria. Nel 1979-80, è stato ministro della Funzione pubblica. Ha esercitato la professione legale. Ha pubblicato scritti anche su periodici di cultura generale, come «Società» e «Nord e Sud». Ha collaborato, con articoli apparsi nel 1972-73, a «Il Giorno» ed è stato un apprezzato intellettuale pubblico, pronunciandosi su tutte le questioni più importanti relative allo Stato, e così contribuendo a reimmettere la cultura giuridico-amministrativa nell’alveo della cultura generale del Paese.
L’ascendenza culturale
Quando Giannini iniziò gli studi, il diritto amministrativo attraversava una delle maggiori crisi della sua breve storia. Da un lato, il contesto del fascismo non era favorevole ad aperture e innovazioni, anzi induceva coloro che non sposavano gli orientamenti fascisti a rintanarsi in una stretta difesa legalistica del diritto, a rifiutare interpretazioni extra-testuali, a valorizzare le norme dello Stato liberale autoritario, piuttosto che quelle del nuovo regime. Dall’altro, l’insegnamento di Vittorio Emanuele Orlando – il richiamo ai giuristi di coltivare solo il diritto, il positivismo, il germanesimo, il privatismo – era divenuto una scolastica e aveva prodotto una chiusura disciplinare, rendendo gli studi di diritto pubblico asfittici e disattenti alla realtà stessa del diritto positivo.
In questa situazione Giannini iniziò la sua attività scientifica nel 1939. Egli ha fatto parte della quarta generazione di giuristi dell’Italia unita, se si ascrivono alla prima Orlando, alla seconda il suo allievo Romano (che fu, insieme con Zanobini, il mentore di Giannini) e alla terza Zanobini. Giannini si impose subito sulla scena del diritto con due voluminose e importanti ricerche e uno studio sulla scienza stessa, di cui subito segnalò le condizioni critiche. Poi, per un sessantennio, fino alla sua morte, nel 2000 (ma, principalmente, nel periodo in cui fu attivo nell’insegnamento, 1939-85), svolse un ruolo fondamentale nella vita del diritto italiano e, in particolare, fu l’autore della rinascita della cultura amministrativa.
Su questo albero genealogico si è innestata l’opera di Giannini. Questi ha assorbito dalla sua scuola la capacità di adoperare i ferri del mestiere, pur riconoscendo i limiti della tradizione. Infatti, fin dall’inizio dei suoi studi, Giannini prese posizione critica nei confronti di tutti e tre gli apporti principali della cultura allora predominante. Osservò che quella orlandiana non era l’indicazione di un metodo, ma solo la descrizione di un cammino da percorrere. Notò che la tesi dell’ordinamento giuridico era embrionale, restando a metà tra sociologia e diritto. Rilevò che l’attenzione per il concetto di interesse pubblico come vincolo finalistico dell’attività pubblica era errato, essendo compresenti nell’ordinamento più interessi pubblici in conflitto tra di loro.
Il contributo di Giannini
Come osservato, il contributo dato da Giannini alle scienze giuridiche è stato molto ampio. È, quindi, difficile riassumerne in pochi tratti le linee fondamentali. Può dirsi che esso verta su questi campi principali: le nozioni di base del diritto pubblico; l’innesto dell’amministrazione nella costituzione; i principali capitoli del diritto amministrativo; la scienza del diritto pubblico e il suo metodo.
Le nozioni di base del diritto pubblico, quelle almeno considerate principali nel sec. 20° (ordinamento giuridico, Stato, rapporti tra ordine giuridico pubblico e ordini privati), sono state oggetto di importanti messe a punto di Giannini. Questi, partendo dall’osservazione del carattere ‘liminale’ della nozione utilizzata dal suo maestro Romano, ne ha approfondito la natura e le componenti, oltre a farne applicazione. Degli ordinamenti giuridici gli elementi essenziali, secondo Giannini, sono tre: plurisoggettività, organizzazione, normazione. Solo così si comprende la portata anti-normativistica del concetto che Giannini, poi, applicherà all’ordinamento del credito, vedendovi un esempio di ordinamento sezionale.
Lo studio dello Stato, con Giannini, subisce una modificazione radicale. Mentre la cultura giuridica era in precedenza partita dallo Stato-persona, Giannini è partito dalla sua composizione reale, osservando che il principale mutamento dello Stato è prodotto dall’allargamento del suffragio che consente la rappresentanza di più classi nello Stato e lo porta a diventare «Stato sociale» (formula, peraltro, da lui criticata), a causa della progressione della legislazione di protezione sociale richiesta dalle classi subalterne, una volta che queste hanno avuto accesso al potere pubblico. Lo Stato – continua Giannini – abbandona anche la forma dell’organizzazione compatta, per assumere quella dell’organizzazione disaggregata, dovuta alla penetrazione di nuovi interessi pubblici, ognuno affidato a una diversa autorità. Quanto al rapporto pubblico/privato, Giannini è stato, sul piano analitico, critico del ‘privatismo’ degli studiosi del diritto pubblico; sul piano ricostruttivo, acuto analista della formazione di un diritto comune ai poteri pubblici e ai privati.
In secondo luogo, Giannini è lo studioso che più sistematicamente ha tratto le conseguenze della costituzionalizzazione delle ‘teste di capitolo’ del diritto amministrativo. Ha osservato che la Costituzione agisce come garanzia contro le turbative politiche dell’amministrazione, ponendola al servizio della nazione e separando governo da amministrazione. Ha segnalato prima la formazione del diritto amministrativo intorno alla dialettica autorità-libertà, poi la sua trasformazione in un diritto ‘corale’, con il riconoscimento costituzionale di diritti privati nei confronti della pubblica amministrazione, la nascita di poteri pubblici non statali e l’applicazione del diritto privato all’amministrazione. Ha esaminato la rottura della nozione unitaria di interesse pubblico, che dà luogo alla formazione di una pluralità di interessi pubblici, anche tra loro in conflitto. Donde l’abbandono della nozione monistica dello Stato-ente e la tesi della discrezionalità amministrativa come ponderazione di interessi.
In terzo luogo, Giannini ha contribuito alla ri-sistematizzazione dei principali concetti e nozioni del diritto amministrativo: rottura dell’unità della figura dell’ente pubblico (con la creazione di associazioni pubbliche, enti strumentali, enti di servizio, enti di disciplina di settore, enti pubblici imprenditoriali, enti privati d’interesse pubblico); riconfigurazione della proprietà pubblica, tripartita – riprendendo figure dell’esperienza medievale – in proprietà collettiva, proprietà divisa, proprietà individuale; critica della teoria dei contratti amministrativi, con il riconoscimento che i contratti della pubblica amministrazione sono regolati dalle norme comuni, salvo l’oggetto e le forme di scelta del contraente (evidenza pubblica); analisi dell’estensione della contrattualità all’impiego pubblico e della sua confluenza (parziale) nel diritto del lavoro; separazione tra atto amministrativo e provvedimento amministrativo, nel quale ultimo solo si manifesta la imperatività; formazione di una periferia autonoma, comuni e poi regioni (di cui Giannini ha studiato le nozioni di base: autogoverno, autonomia, autoamministrazione, decentramento); critica del dualismo giurisdizionale e proposta della sua semplificazione, con affidamento al giudice ordinario delle sole controversie relative all’amministrazione agente come privato; analisi delle figure sintomatiche dell’eccesso di potere come forma di controllo dell’intera azione amministrativa, non del solo provvedimento.
Infine, quanto al metodo, Giannini, pur partendo dalla concezione del diritto amministrativo come sistema, ha poi attenuato e storicizzato la costruzione sistematica, criticando l’ipotesi della atemporalità di alcuni principi fondamentali (definiti da ultimo «invarianti»).
Bibliografia: