La scomparsa di Giulio Vismara, avvenuta il 15 agosto del 2005, segna una data nel mondo, circoscritto ma vivo, della storiografia giuridica non solo italiana. Con lui scompare il decano della disciplina nel nostro Paese, ma soprattutto viene meno una personalità di studioso tra i più significativi del Novecento sul terreno della storia del diritto.
Nato a Milano il 3 aprile 1913, Vismara frequentò il Liceo classico Manzoni e poi si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica. Già in questa scelta era chiara una doppia opzione. Il diritto fu da lui preferito alla chimica (che il padre aveva in un primo tempo suggerito al figlio). Ma soprattutto l’iscrizione alla Cattolica, che da poco aveva iniziato i suoi corsi (alla Università statale di Milano, anch’essa recente, i corsi di giurisprudenza erano iniziati nel 1924), indica l’adesione esplicita del giovane studente al mondo della religione cattolica. Una scelta che risaliva agli anni dell’adolescenza e che costituì da allora la via da lui seguita sempre, con assoluta fedeltà e coerenza. All’università Vismara ebbe per maestri alcuni tra i giuristi italiani di spicco degli anni Trenta: da Biondi a Zanzucchi, da Olgiati a Messineo, da Rotondi a Roberti. E alla Cattolica conobbe una studentessa iscritta a Lettere, Lelia Marro, che qualche anno più tardi sarebbe diventa sua sposa e madre dei loro cinque figli. L’Università fondata da padre Gemelli (del quale Vismara fu sempre estimatore) era tra l’altro un’oasi relativamente al riparo dalla retorica e dalla militanza imposte dal fascismo (basti rammentare che Mario Rotondi vi si trasferì da Pavia proprio per evitare la prestazione del giuramento prescritto ai professori universitari nel 1932). E Vismara del fascismo non fu seguace mai, anche se non era suo costume vantarsene negli anni in cui tanti lo fecero, spesso a torto, dopo la guerra.
Scelse di lavorare nel campo della storia del diritto molto presto. Ancora studente, una ricerca avviata al terzo anno sulla donazione nuziale nel diritto ebraico e nel diritto romano fu condotta con un approfondimento così inusuale da indurre il professor Melchiorre Roberti a chiedergli di pubblicarla prima ancora della laurea, nel 1934. Con Roberti, Vismara si laureò, svolgendo una tesi sulla giurisdizione dei vescovi nel diritto tardo antico e nell’alto medioevo. La scelta del maestro è significativa: Roberti era in quegli anni lo storico giurista italiano che più e meglio di altri aveva approfondito, nei suoi corsi, il filone dell’influenza esercitata dal cristianesimo nella storia del diritto medievale; il filone che Biondi negli stessi anni andava indagando con riguardo al diritto romano cristiano. E se più tardi il rapporto con Roberti si interruppe, ciò non diminuisce il significato di questo primo indirizzo di avvio agli studi storico-giuridici.
La tesi di laurea venne pubblicata nel 1937 con il titolo di Episcopalis audientia. Essa trattava un tema tra i più delicati e controversi, il ruolo cioè del vescovo come giudice civile nel sistema processuale tardo-antico ed altomedievale. La legislazione postclassica, da Costantino a Giustiniano, attribuì infatti una serie di compiti – sussidiari ma fondamentali – proprio ai vescovi in veste di giudici. E l’indagine del giovane studioso (Vismara aveva appena 24 anni nel 1937) affrontava la questione con rigore concettuale e con il ricorso ad un largo spoglio di fonti non solo giuridiche ma anche patristiche. La tesi sostenuta (secondo Vismara il vescovo era abilitato dal legislatore imperiale ad esercitare una vera giurisdizione civile, non un semplice potere arbitrale) fu accolta da molti e respinta da alcuni (tra i quali Edoardo Volterra). Alla fine della vita, quasi sessanta anni più tardi, Vismara riscrisse interamente il libro con il ricorso a nuove fonti e tenendo conto della ricca storiografia fiorita nel frattempo: un’impresa che forse non ha precedenti nella storiografia giuridica. Ma non modificò la tesi di fondo.
Nei tre anni seguenti Giulio Vismara compose quella che resta la sua opera maggiore. La Storia dei patti successori, pubblicata in due tomi nel 1941, ricostruisce un importante capitolo del diritto privato muovendo dal diritto romano classico e postclassico per incentrarsi poi sulle fonti dell’alto medioevo: le leggi germaniche, la patristica, gli spunti dell’esegesi romanistica, ma soprattutto la prassi dei documenti. Nessuno prima di allora aveva intrapreso, nel tracciare la storia di un istituto, lo spoglio integrale e sistematico della carte private italiane per i secoli dal V al XII. Regione per regione, il secondo tomo dell’opera analizza centinaia di atti di donazione a causa di morte, ricostruendo i formulari dei notai, precisando le specificità e le consuetudini dei singoli luoghi, identificando le radici romane, cristiane, germaniche e le innovazioni medievali di una prassi che ebbe in quei secoli enorme diffusione. La donazione post mortem, che molto spesso trasferiva la proprietà del bene donato alla chiesa o al monastero riservandone l’usufrutto al donante sino al momento della morte, assolveva a funzioni di natura spirituale (impegnando l’ente donatario a celebrare messe e a pregare per la salvezza dell’anima del donante) ma rispondeva anche ad esigenze vitali per il donante, in tempi duri e calamitosi in cui la protezione di un grande ente ecclesiastico poteva garantire efficacemente anche la sicurezza materiale dei deboli. L’indagine è condotta sui documenti sino alla ricomparsa del testamento unilaterale e revocabile, avvenuta nel secolo XII con la rinascita del diritto romano e della scienza giuridica bolognese. Si noti che dopo la pubblicazione della monografia sul patti successori (sono trascorsi da allora ben due terzi di secolo) nessun altro studioso, né in Italia né fuori, si è più cimentato in un’impresa di questa natura. Eppure gli istituti giuridici di diritto privato per i quali essa sarebbe tuttora necessaria non mancano certo.
Le vicende della seconda guerra determinarono per alcuni anni il blocco dei concorsi universitari. Ma nel 1947, con il sostegno di storici del diritto di alto profilo (tra i quali anzitutto Besta, Bognetti [di cui abbiamo parlato n.d.r.] e Calasso), Vismara ottenne la meritata cattedra, classificandosi al primo posto nella terna. Negli anni della guerra egli aveva lavorato a Milano al fianco di Enrico Besta, che lo aveva accolto nella sala di lavoro di via della Passione, dove allora era allocata la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università statale di Milano. Contemporaneamente egli aveva svolto, per un decennio, l’insegnamento di storia del diritto in sedi diverse, talune non certo agevoli da raggiungere con i mezzi di trasporto di allora, specie negli anni di guerra: a Parma, a Messina, a Bari, alla Cattolica, ad Urbino. Ad Urbino fu chiamato nel 1947 come titolare e di quella Facoltà giuridica fu poi anche preside. Venivano in quegli anni alla luce le sue ricerche di storia del diritto internazionale: le ricerche sulle limitazioni al commercio internazionale tardo antico e altomedievale del 1947, le indagini sulle relazioni giuridiche tra Bisanzio e l’Islam e quelle sull’Impium foedus relative ai rapporti tra Stati cristiani e musulmani, pubblicate nel 1950, costituiscono ancora oggi contributi fondamentali per la conoscenza delle relazioni internazionali nell’alto medioevo: un campo che Vismara fu tra i primi a dissodare. E così pure veniva pubblicato nel 1946 il suo regesto dei documenti pontifici sull’ordine internazionale[1], nel quale era posto in evidenza il contributo che nei secoli, dall’età tardo antica al 1304, la Santa Sede ha dato alla risoluzione pacifica delle controversie tra Stati.
Nel 1955 Giulio Vismara venne chiamato a Pavia. I rapporti di amicizia con Gabrio Lombardi e la stima di colleghi eminenti, tra i quali Gino Gorla e Mario Rotondi, resero agevole l’inserimento del nuovo professore nel glorioso ateneo ticinese. In quegli anni Vismara non solo pose le basi per la sezione italianistica dell’Istituto di storia del diritto, ma ottenne da Angelo Verga, professore di diritto commerciale e avvocato a Como, la donazione di un importante fondo di diritto comune che ancor oggi è l’ornamento dell’Istituto di Pavia. I lavori sull’unità della famiglia nella storia del diritto (oggetto della sua prolusione a Pavia) e sulle istituzioni del patriziato nell’età spagnola per la Storia di Milano (1958) aprono ampie prospettive anche per l’intreccio di elementi di storia giuridica con elementi di storia sociale e di storia religiosa.
Vismara aveva una capacità di lavoro eccezionale. Il criterio di raccogliere sui temi da lui studiati la totalità dei documenti disponibili e non solo una selezione di essi, di per sè sempre arbitraria – un criterio che se non erro Vismara fu il primo ad applicare, senza peraltro mai farsene un vanto (egli rifuggiva dalle dichiarazioni metodologiche) e che è a mio avviso di importanza fondamentale per una corretta ricostruzione storica – implicava naturalmente, per le epoche più ricche di fonti, un enorme lavoro di spoglio. Solo una parte delle sue fatiche si è concretata in pubblicazioni, mentre per altri autori e per altre fonti gli spogli da lui compiuti non si sono tradotti in ricerche compiute (penso allo spoglio di autori del tardo diritto comune sui patti successori, a quello delle gride milanesi dell’età spagnola condotto a Pavia, ai documenti lombardi dell’alto medioevo editi dal Porro). Forse anche per questi sforzi accaniti, proseguiti negli anni di guerra in locali scarsamente illuminati, la vista del professore ebbe un calo che non si arrestò più, anche se per molti decenni egli continuò, pur con fatica, a leggere e produrre importanti lavori scientifici (più tardi, fu la signora Lelia e furono le figlie ad aiutarlo amorevolmente in questa fatica). Intanto Vismara attendeva (questo lavoro lo impegnò per anni) alla segreteria di redazione della monumentale storia di Milano avviata per iniziativa di Giovanni Treccani.
All’inizio degli anni Sessanta Gian Piero Bognetti, di un decennio più anziano, volle Vismara al suo fianco a Milano. Ma proprio allora la morte colse prematuramente il grande storico dei Longobardi. La Facoltà milanese della Statale ne raccolse la chiara volontà chiamando nel 1963 Giulio Vismara alla cattedra di Storia del diritto italiano che era stata di Besta e poi di Bognetti. Da allora, per un quarto di secolo, Vismara si dedicò, oltre che all’insegnamento e alla ricerca, all’Istituto di storia del diritto italiano del quale egli deve considerarsi il fondatore. Le dotazioni librarie si sono sistematicamente accresciute. Il preziosissimo fondo di opere della Biblioteca del Senato milanese, creato nel Seicento con l’apporto determinante del lascito di Bartolomeo Arese, è stato attentamente catalogato per sua iniziativa da Giuliana Sapori[2] e restaurato dopo i gravi danni arrecati dalle bombe nel 1943. Dal 1964 (chi scrive era frattanto divenuto suo assistente a Milano) ha avuto inizio la sistematica raccolta dei microfilms dei manoscritti dei Glossatori dispersi nelle biblioteche europee, poi estesa ai Commentatori e al diritto canonico medievale: una raccolta che oggi non ha l’eguale e che ha superato le 3000 unità. Ad essa si sono aggiunte negli anni Settanta le raccolte degli statuti lombardi, quelle delle edizioni di diritto comune e dei lavori preparatori dei Codici, sempre in microfilm, nonché la bibliografia degli articoli di storia del diritto contenuti in centinaia di riviste e di pubblicazioni storiche e giuridiche. Nel 1972, per iniziativa di Vismara, l’Istituto si trasferiva dai due locali (più corridoio) del settore aule alla nobile ala del Filarete di via Festa del Perdono, dove tuttora ha la sua sede. La grande stima che per lui avevano, tra gli altri, gli illustri colleghi milanesi Giacomo Delitala e Cesare Grassetti gli consentirono di ottenere questi ed altri risultati. Vismara era in Istituto tutti i giorni, per molti anni mattina e pomeriggio. E riceveva gli studenti sempre, senza orari di ricevimento: li ascoltava, li interrogava, si interessava ai loro problemi, li seguiva anche dopo la laurea. Ed io ricordo bene lo stupore ed anche l’affetto degli studenti per questa costante disponibilità del professore, del tutto inusuale non solo tra i professori diritto.
Vismara proseguiva in questi anni, anche se con crescenti difficoltà di vista, le sue ricerche scientifiche. Il filone dei patti successori veniva proseguito per l’età del diritto comune classico con l’esame approfondito del pensiero di Jacques de Révigny, di Bartolo e di Baldo degli Ubaldi. Le ricerche internazionalistiche davano frutti nel quadro delle Settimane del Centro di studi sull’Alto Medioevo di Spoleto, del quale Vismara fu componente attivo per un ventennio, con gli scritti sulla guerra nell’alto medioevo (1968) e sul diritto del mare (1978). Contemporaneamente egli proseguiva nello studio delle fonti altomedievali con lo scritto del 1966 (che considero uno tra i più significanti usciti dalla sua penna) su “Cristianesimo e legislazioni germaniche”, ove il ruolo vivificante della religione cristiana sul diritto è còlto con particolare finezza. Il metodo di analisi esaustiva dei testi dava anche qui frutti importanti. Un ulteriore campo di indagine veniva da lui aperto con l’ampio studio sulle problematiche giuridiche del castello medievale, del 1972. Ancora il diritto privato attraeva lo studioso con scritti molto significativi sulla permuta nei documenti altomedievali (in cui tra l’altro viene provata la ripresa di formule tratte dai testi romani ben prima della rinascita bolognese, nonché l’interessantissima migrazione di moduli civilistici e canonistici dalla Provenza all’Italia sin dal secolo X, attraverso i contatti tra monasteri). Altri scritti riguardano i rapporti di famiglia nei documenti lombardi e nel Ticino, ancora per l’alto medioevo. In questi anni Vismara coordinava anche, con Alfredo Bosisio, la vasta storia della Brianza in cinque volumi.
Un articolo di Pietro Rasi aveva revocato in dubbio, nel 1953, la tradizionale attribuzione dell’Editto di Teodorico al re degli Ostrogoti. Poco più tardi Vismara riprese il tema e giunse a conclusione che l’Editto andasse attribuito ad un altro sovrano di eguale nome, il re dei Visigoti Teodorico II e dunque alla Gallia degli anni 453-456 d.C. Al testo dell’Editto Vismara dedicò negli anni seguenti una serie di ricerche approfondite, che si concretarono in un corposo volume – edito nel 1967 e compiutamente rielaborato nel 1987 – nel quale ognuno dei 55 capitoli dell’Editto è stato studiato con riferimento alle fonti teodosiane, ai documenti e alle testimonianza coeve, a cominciare dalla Variae di Cassiodoro, dalle quali lo studioso trasse una messe di spunti che attestano differenze significative tra il diritto dell’Italia ostrogota e le norme edittali teodoriciane: la tesi dell’origine visigotica venne perciò confermata. A questa sua opera Vismara era particolarmente affezionato, tanto da trattare con brusca e in lui inusuale severità chi, tra gli studiosi, non condivideva (a mio avviso a torto) la sua argomentata e magistrale ricostruzione.
Negli anni milanesi Vismara diede l’avvio alla scuola che ancora oggi da lui prende il nome. Se a Pavia si era laureato nel 1961 chi scrive e poco dopo il compianto Adriano Cavanna, fu un decennio più tardi che questi suoi due primi allievi giunsero alla libera docenza e poi alla cattedra. Seguirono, negli anni seguenti, il compianto Angelo Ara, di recente scomparso (il quale si dedicò in seguito alla storia moderna), e poi, nel tempo, Gigliola di Renzo Villata, Gian Paolo Massetto, Maria Carla Zorzoli, Claudia Storti, Alberto Sciumè, Cristina Danusso. Oggi la “scuola di Vismara”, tra allievi di prima e di seconda generazione (gli allievi degli allievi), conta circa un quinto dei professori ordinari italiani di storia del diritto medievale e moderno.
Vismara era un maestro ideale. Nel senso che seguiva passo per passo il cammino dei suoi allievi, pronto ad accogliere i temi da loro suggeriti (per chi scrive questa è stata sempre la regola, sin dalla scelta della tesi di laurea), ma pronto anche a indicare egli stesso l’oggetto della ricerca. Controllava con scrupolo ogni pagina a lui sottoposta (lo faceva anche per le tesi di laurea), correggeva errori e ingenuità, ma lasciava piena autonomia quanto alle argomentazioni e al taglio dei lavori. Era in ciò veramente liberale. La signorilità e la cortesia con le quali invariabilmente trattava l’allievo, anche il più inesperto, e la disponibilità con la quale ascoltava i giovani provenienti da altre scuole non mancavano mai di stupire, perché facile era per noi e per loro il confronto con i modi sovente bruschi o baronali propri di altri celebrati maestri della sua generazione. Da ciò nasceva nei ricercatori un rispetto genuino che si prolungava nel tempo, anche ben dopo che il giovane era a sua volta asceso alla cattedra.
Nel corso degli anni il prestigio anche internazionale di Giulio Vismara era costantemente cresciuto. Al rapporto con gli studiosi stranieri egli dedicava molta cura, come in tutte le cose delle quali si occupava. Si creò così un rapporto di vera e cordiale colleganza scientifica con studiosi di rilievo europeo, quali Stephan Kuttner, Helmut Coing, Alvaro d’Ors, Paul Ourliac, Jean Imbert, Olivier Guillot, François Ganshof, André Gouron, per limitarci a pochi nomi. In particolare con la Francia ebbe legami molteplici e profondi, partecipando regolarmente alle Journées della Société d’Histoire du droit (della quale ricoprì sino all’ultimo la carica di vicepresidente) e ricevendo ben cinque lauree ad honorem conferitegli dalle università di Montpellier, Lione, Tolosa, Paris V, cui si aggiunse quella di Zurigo. Agli studiosi di Francia lo legava non solo un rapporto di stima scientifica ma anche un’affinità di idee e di valori che non aveva paralleli se non con pochissimi colleghi del nostro paese.
La sua operosità non venne meno neppure dopo l’andata a riposo. Rifiutò con garbo, ma con fermezza, il consenso ad una raccolta di studi in suo onore, che certo avrebbero raccolto un’amplissima partecipazione. E noi allievi trovammo allora l’escamotage di predisporre per i suoi ottanta anni un volume monografico di storia del diritto milanese[3] che gli presentammo di sorpresa una sera del 1996 (e che gradì molto).
Invece volle curare egli stesso la raccolta sistematica dei suoi lavori. E così videro la luce, tra il 1986 e il 1989, ben sette volumi, sapientemente ripartiti per temi e accompagnati da utilissimi indici delle fonti: l’opera che Adriano Cavanna designò, in un’attenta rassegna, “il castello delle sette torri”. Ad essi si aggiunsero negli anni seguenti il rifacimento della monografia giovanile sulla giurisdizione del vescovo[4], già menzionata, la ristampa con gli indici della Storia dei patti successori (Milano 1986), la raccolta dei necrologi e delle recensioni, infine gli altri scritti di storia del diritto altomedievale. Un complesso di ben undici volumi, al quale la sua fama è ormai saldamente affidata anche per l’avvenire[5].
L’opera di Giulio Vismara si può caratterizzare, crediamo, in base ad una cifra di fondo unica e precisa, che si ritrova costantemente nei suoi scritti. Che si tratti di donazioni a causa di morte o di giustizia del vescovo, di rapporti internazionali o di storia della famiglia, di successioni o di leggi altomedievali, di permuta o di patriziato, Vismara pone al centro del suo interesse il rapporto tra il mondo del diritto e la sfera della religione cristiana. Quanto abbiano pesato i precetti della fede nel configurarsi delle norme, delle dottrine e della prassi, quali siano stati i freni che i legami di sangue e l’orgoglio di stirpe o di ceto hanno imposto all’affermazione di quei precetti e di quei valori nella concreta vita del diritto: ecco il filo segreto che lega tra loro, se non tutti, certo la maggior parte dei suoi lavori scientifici, sempre condotti con la più scrupolosa acribia storica e metodologica.
Giulio Vismara è stato un uomo di fede cristiana salda e profonda, condivisa con la diletta consorte e trasmessa ai suoi figli. Egli ha visto anche il diritto italiano, nella sua vicenda bimillenaria, come la manifesta presenza nella storia di questa realtà spirituale sempre viva, anche quando apparentemente assente o negata. Nessun altro storico del diritto ha perseguito con altrettanta coerenza e fedeltà un tale alto programma di ricerca, che si è protratto senza interruzione per due terzi di secolo. Anche per questo egli non sarà dimenticato.
*Testo della commemorazione tenuta presso l’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere il 5 ottobre 2006.
[1] Acta pontificia iuris gentium usque ad annum MCCCIV, Milano 1946.
[2] G. Sapori, Antichi testi giuridici dell’istituto di storia del diritto italiano (secoli XV-XVIII), introduzione di G. Vismara, Milano 1977, 2 volumi.
[3] Ius Mediolani, Studi di storia del diritto milanese offerti dagli allievi a Giulio Vismara, Milano 1996.
[4] G. Vismara, La giurisdizione civile dei vescovi (secoli I-IX), Milano 1995.
[5] Indichiamo qui i titoli dei nove volumi pubblicati a Milano dall’editore Giuffrè: Giulio Vismara, Scritti di storia giuridica, 1. Fonti del diritto nei regni gernmanici (1987); 2. La vita del diritto negli atti privati medievali (1987); 3. Istituzioni lombarde (1987); 4. La disciplina giuridica del castello medievale (1988); 5. La famiglia (1988); 6. Le successioni ereditarie (1988); 7. Comunità e diritto internazionale (1989); 8. Ricerche incontri letture (1996); 9. Tra antichità e medioevo (2000).
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