Sulle orme della storia del diritto italiano, Enrico Besta, che di nascita apparteneva alla Valtellina, fu per amore dello studio ospite di molti altri luoghi.
Padova, Sassari, Palermo, Pisa, Milano, furono solo alcune tra le città in cui il suo nome presto si affermò come uno dei più noti in ambito accademico.
Se è vero che già all’età di tredici anni lo appassionava il contatto con la storia e con i suoi documenti, tanto da portarlo a intraprendere un’incessante opera di trascrizione dei documenti valtellinesi, l’amore per lo studio non lo abbandonò certo negli anni successivi quando, laureatosi in Giurisprudenza, cominciò subito a insegnare tra le antiche mura dell’Università di Padova, dove conobbe Antonio Pertile e Biagio Brugi, il maestro che seguì i suoi primi lavori.
Con lui Besta aveva discusso la tesi, e sempre sotto la sua guida aveva pubblicato, neolaureato, due volumi sull’opera di Irnerio, che immediatamente destarono l’attenzione e l’interesse del mondo accademico su quel giovanissimo aspirante storico del diritto, tanto che Schupfer, uno dei padri della materia, disse che Besta aveva iniziato il suo cammino come la maggior parte degli studiosi potevano aspirare a concluderlo.
Il periodo degli studi veneziani trovò termine quando a Sassari, “colta ed ospitale come un ricordo e come un saluto”, Besta vinse la cattedra di Storia del diritto.
Era il 1898 e Besta aveva ventiquattro anni. Dopo qualche anno si spostò a Palermo e Pisa, ma non prima di aver “preso d’assalto la storia degli istituti dell’isola”, per usare le parole dell’allievo Gian Piero Bognetti (di cui abbiamo parlato qui), e di aver dato alle stampe una ricca serie di opere, come “Nuovi studi su le origini, la storia e l’organizzazione dei Giudicati sardi”, “Per la storia del Giudicato di Cagliari al principiare del secolo decimoterzo” o “La Sardegna medioevale”.
Grazie agli studi condotti con Brugi e a queste tappe di storia “locale” che ebbe occasione di studiare e toccare con mano, Besta fu in grado piano piano di aggiungere sempre più componenti alla storia: non solo quella romana e canonica, ma anche quella longobarda e quella cosiddetta volgare, che raccoglie le eredità del passato mantenendole sempre vive.
Fu non a caso lui il fondatore del diritto regionale italiano, dedicandosi agli studi non solo della Venezia medioevale e della Sardegna poco nota, ma anche a quelli delle tradizioni e delle consuetudini siciliane, pugliesi e pisane, per citarne solo alcune.
Nel 1924 Besta, studioso ormai maturo, fece ritorno alla sua terra, accolto dall’Università di Milano, dove sarebbe rimasto fino alla morte, nel 1952. Quei trent’anni furono altrettanto ricchi e fecondi se si pensa che già nel 1925 Besta pubblicò in due tomi la “Storia delle fonti del diritto italiano”, manuale ancor oggi di riferimento per gli storici del diritto.
Nel 1936 fu poi chiamato a presiedere la Deputazione di storia patria per la Lombardia, e divenne socio dell’Accademia dei Lincei.
Lasciò l’insegnamento nel 1946, pur continuando a scrivere e a studiare, e pubblicò il breve, ma densissimo “Avviamento allo studio della storia del diritto italiano”.
Senza schemi né legami, Enrico Besta condusse la propria vita lungo un percorso di dedizione e passione per lo studio e per l’insegnamento, ligio al dovere, ma al contempo indulgente con gli studenti, allievo della storia e maestro di molti che seguirono poi le sue orme, semplice nello stile, mai retorico e sempre ancorato alle fonti, che ne guidarono costantemente gli studi.