Nasceva oggi Francesco Galgano, tra i giuristi più noti e significativi della civilistica – nel suo senso più ampio, dunque inclusiva degli studi commercialistici – del secondo Novecento italiano. Nato a Catania, da famiglia di origine lucana, si trasferì in seguito a Bologna, che divenne la sua città d’adozione. Qui studiò giurisprudenza e fu allievo di Walter Bigiavi, tra i padri nobili del diritto commerciale, con cui si laureò. Ricordando il Maestro, Galgano ha raccontato che quando gli chiese la tesi, gli fu risposto «Lei non sa quanto la farò soffrire»; e quando gli consegnò la prima bozza del lavoro, se la vide restituita con un laconico «Ci vuol altro» a commento. Ma qualche giorno dopo la seduta di laurea, gli arrivò una cartolina da Bigiavi con scritto: «Dopo le vacanze mi telefoni. Dobbiamo pianificare il Suo futuro». Il rapporto tra Galgano e Bigiavi fu intenso, sul piano umano ancor prima che professionale, pur con differenze costitutive: Tullio Ascarelli, che coltivava una sfida intellettuale a distanza con Bigiavi, incontrando Galgano gli disse: «Lei è un allievo di Bigiavi assai poco bigiaviano…» (Galgano ha aggiunto che Bigiavi apprezzò la notazione).
Francesco Galgano è stato professore straordinario di diritto commerciale dal 1964 al 1966 presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trieste; successivamente, fu nominato professore ordinario nella stessa disciplina nella Facoltà di economia e commercio dell’Università di Bologna, dove rimase fino al 1972, per poi passare alla facoltà di Giurisprudenza come professore ordinario di istituzioni di diritto privato (fino al 1975) e di diritto civile, fino al pensionamento. Prima ancora di diventare assistente universitario, fu Pubblico Ministero e poi giudice per circa tre anni. Attivo nella libera professione, ha avuto fra i principali clienti il Monte dei Paschi di Siena, Silvio Berlusconi, la Fiat, l’Aga Khan IV.
Celebri sono le opere di diritto civile e commerciale che Galgano ha redatto o curato: per citarne solo alcune, si pensi al Manuale di diritto privato e a quello di diritto commerciale, nonché al Trattato di diritto civile, al volume, nel Trattato Cicu-Messineo-Mengoni, dedicato al negozio giuridico e a quello, nel Commentario Scialoja-Branca, sui titoli di credito. Trattando dell’espansione dell’area del danno ingiusto, come tale risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c., egli coniò l’espressione di «mobili frontiere», a significare come queste potessero essere – anche piuttosto disinvoltamente – fatte progredire dalla giurisprudenza ogni qualvolta si volesse dare riparo a nuove situazioni giuridiche ritenute meritevoli di tutela (proprio il timore che una adesione tutto sommato acritica agli esperimenti giurisprudenziali potesse finire per rendere i confini del danno ingiusto null’altro che una linea tracciata sulla sabbia spinse altra dottrina [Castronovo] a riformulare l’espressione in «nobili frontiere»).
Altrettanto famosi sono gli altri scritti con cui Galgano ha approfondito la dimensione storica dei problemi di cui si è occupato nella sua carriera di studioso. Il più noto tra questi è probabilmente Lex Mercatoria, che nella sua prima edizione recava per l’appunto il titolo di Storia del diritto commerciale. L’idea espressa da Galgano è che di una lex mercatoria debba parlarsi non solo per l’oggetto di essa (la pratica degli affari), ma anche e soprattutto per la sua genesi soggettiva, in quanto diritto creato dagli stessi mercanti, e creato con i caratteri di un diritto universale dei mercati. Tra le due versioni (l’ultima del 2010, la prima del 1976) corre una differenza di fondo solo in parte catturata dal rifacimento del titolo: se nella prima edizione la lex mercatoria è vista come elemento imprescindibile della nascita e della consolidazione dello “Stato moderno” (al punto per cui la società per azioni è vista come «istituzione dello Stato» e come uno dei principali sistemi di organizzazione dei rapporti tra quest’ultimo e la «classe capitalistica»), nell’ultima il nesso tra diritto dei mercanti e Stato nazionale cede il passo all’analisi di una «nuova lex mercatoria», anch’essa sì direttamente creata dal ceto imprenditoriale, ma destinata a reggere in modo uniforme, al di là dei confini nazionali, l’intero mercato mondiale.
I temi che in questo testo sono approfonditi si ripresentano anche ne La forza del numero e la legge della ragione, che fa la «storia del principio di maggioranza», ispirato dall’aureo Il principio maggioritario, pubblicato, nel 1927, da Edoardo Ruffini. Per Galgano il principio di maggioranza – che è la legittimazione minima (condicio sine qua non) del potere nella società moderna – vale sia per l’arena politica che per il mercato, visto che la lotta per la conquista della maggioranza è nelle assemblee parlamentari come in quelle societarie. Secondo l’autore, il principio di maggioranza – che è basato sul criterio quantitativo della major pars, e che ha toccato il proprio culmine in economia durante il XIX secolo, in virtù della generalizzazione del modello della società per azioni, e nel primo ‘900 in politica, con l’espansione del suffragio elettorale – è ormai in declino, schiacciato dall’antagonista pressione del criterio «meritocratico», che trae legittimazione non dal numero, ma dal rappresentarsi quale espressione della sanior o valentior pars, e che si manifesta in economia in forma di “managerialismo” e in politica in veste di “tecnocrazia”.
Merita di essere ricordato tra i ultimi suoi lavori anche Le insidie del linguaggio giuridico, un saggio sull’impiego della metafora nel diritto – la quale, scrive Galgano, è in genere «innocua», ma che, alle volte, può risultare «insidiosa»: o perché dà ad entità astratte il nome di una cosa del mondo sensibile, sfuggendo così al controllo del senso comune; o perché, una volta svelata la natura metaforica di un concetto, rischia di essere espulsa dal linguaggio, trascinando con sé il concetto veicolato.