«Volete il divorzio? Allora dovete sapere che, dopo, verrà l’aborto. E dopo ancora, il matrimonio tra omosessuali. E magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la serva!». Tuonò il segretario della Democrazia cristiana Amintore Fanfani il 26 aprile del 1974 nel teatro comunale di Caltanisetta contro la legge sul divorzio approvata quattro anni prima.
Sono passati 50 anni da quel primo dicembre in cui la Camera dei deputati diede il via libero definitivo alla legge Fortuna-Baslini (dal nome dei due deputati che vi lavorarono), che introdusse in Italia l’istituto giuridico del divorzio. Con 325 voti favorevoli e 283 contrari alla Camera e 164 sì e 150 no al senato, la legge 898 venne approvata. Fu il primo tassello di una rivoluzione culturale.
Nel 1965 l’avvocato penalista Loris Fortuna (radicale e in seguito liberale), eletto alla Camera due anni prima, presentò un disegno di legge per introdurre in Italia il divorzio, dando anche vita alla “Lega italiana del divorzio”, ma solo cinque anni dopo l’assemblea dei deputati si pronunciò a favore di tale legge, che passò alla storia con il nome dei suoi padri, oltre a Fortuna anche il liberale Antonio Baslini.
Con la legge, quindi, venne introdotto lo scioglimento del vincolo matrimoniale, compresa la cessazione degli effetti civili del matrimonio anche in forma religiosa. La sentenza del divorzio avrebbe dato la possibilità ai due coniugi di contrarre nuove nozze e per la donna anche la perdita del cognome del marito. La controffensiva del mondo cattolico, antidivorzista, non si fece attendere (va ricordato che fin dal 1929, con i patti lateranensi, la Chiesa aveva ampio potere in materia matrimoniale).
Partì una raccolta firme con il fine di indire un referendum abrogativo, si raccolsero oltre un milione e trecento mila firme per la sua ammissibilità da parte della Corte di Cassazione. Seguì una campagna accesissima, dove la Dc guidata da Fanfani e il Msi da Almirante si pronunciarono proprio per l’abrogazione della legge. Sul fronte opposto: liberali, socialisti, radicali, socialdemocratici, comunisti e Psiup. Si votò nel maggio del 1974 e a vincere per l’abrogazione della legge fu il no con 59,3% dei voti.
Il risultato del referendum fu rivoluzionario, anche perché rappresentò una fotografia dei mutamenti della società. Da qui in poi si combatterono le battaglie sociali sull’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori e su quello della legge sull’aborto, specchio delle necessità di una società che dalla seconda metà degli anni ’60 era cambiata radicalmente.
Il divorzio prevede lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio quando i coniugi dimostrano di non avere nessun motivo, spirituale e materiale, per continuare a condividere la propria vita. Entro tale istituzione comunque, prima di arrivare al divorzio, i coniugi devono registrare la loro separazione legale durante la quale dimostrano di non coabitare. Successivamente, la normativa venne modificata dalle leggi 436/1978 e 74/1987. Quest’ultima permise lo snellimento dei tempi delle pratiche del divorzio (riducendo il periodo di separazione da cinque a tre anni) e si diede al giudice la facoltà di pronunciare la sentenza del divorzio separatamente dalla discussione sulle condizioni accessorie.
Ancora oggi il mondo cattolico nutre profonde perplessità riguardo al divorzio, istituto giuridico mai accettato dalla Chiesa. Nel 2007 alcune organizzazioni cattoliche calendarizzarono il Family Day proprio nello stesso giorno in cui gli italiani vennero chiamati a esprimersi sull’abrogazione del divorzio.
Nonostante la diffidenza e la fitta polemica infiammò i dibattiti italiani sul divorzio, questo istituto rappresenta una svolta, una vittoria per i diritti civili, un cambiamento sociale di enorme portata per un paese come l’Italia. Il tutto grazie al compattamento in Aula dei partiti laici e di sinistra, che seppero fare fronte comune, anche grazie al sostegno del Partito comunista, che nonostante tutto all’inizio si rivelò titubante sull’appoggiare la legge Fortuna-Baslini.