Plagio, s.m.
Vi abbiamo mai raccontato di quella volta in cui Renato Rascel chiamo designò come perito di parte Stravinskij per chiedere una perizia musicale, a seguito dell’accusa di plagio piombate su “Romantica”, pezzo vincitore del Festival di Sanremo del 1960? Ovviamente lo abbiamo fatto, ma ci piace ricordarlo come uno dei momenti storici e memorabili per la canzone italiana, uno di quelli che ti aspetteresti di trovare in un romanzo di Benni.
All’alba del settantunesimo Festival, probabilmente il più chiacchierato di sempre, come esimerci dal dedicargli uno dei nostri scavi etimologici raccontandovi l’origine di un termine che unisce nelle colonne dei dizionari e dei codici musica e diritto. Parliamo di plagio, un atto condannato aspramente sin dall’età antica, come ci ricorda Orazio:
O imitatores, servum pecus
L’etimologia del termine è rintracciabile nel latino PLAGIUM, “sotterfugio”, derivante daPLAGA, “trappola”, termine correlato al greco antico πλάγιον, avente sempre significato di “inganno”, sostantivo derivante dall’aggettivo πλάγιος, “obliquo, non retto”.
Scavando un po’ più a fondo ritroviamo la radice Proto Indo Europea *plek-, “intrecciare, piegare, tessere”, atto che andrà quindi a confluire nel significato latino dell’escogitare un piano per la buona riuscita del proprio scopo.
Ma di quale scopo parliamo? Proprio il diritto romano ci parla di Crimen Plagii, il sequestro di persona, specialmente di schiavi – altrui, ovviamente. Un delitto introdotto con la Lex Fabia de Plagiariis del 63 a.C., che con plagium puniva:
qualunque soggetto avesse rapito un uomo libero, lo avesse avvinto in catene, venduto o comprato, od avesse, altresì, indotto alla fuga lo schiavo altrui, o lo avesse tenuto nascosto, venduto o comprato; responsabile di plagium era anche colui che fosse stato complice in tali azioni.
E qual era la condanna? Nientemeno che una multa di 50.000 sesterzi, e nel diritto postclassico era prevista anche la pena di morte nei casi più gravi. Insomma, non desiderare gli schiavi d’altri, costa meno comprarne uno al mercato di Delo.
A rendere però celebre il plagio nelle arti fu l’autore latino Marziale, che per primo introdusse il tema nella propria poetica, e con termini di veemente condanna.
Negli Epigrammitroviamo infatti il richiamo al plagiarius, colui che per il diritto romano s’impossessava degli altrui schiavi, mentre per il poeta viene traslato ad indicare un certo “ladro e poetastro” che declamava i suoi versi attribuendosene la paternità:
Commendo tibi, Quintiane, nostros –
Nostros dicere si tamen libellos
Possum, quos recitat tuus poeta -:
Si de servitio gravi queruntur,
5 Adsertor venias satisque praestes,
Et, cum se dominum vocabit ille,
Dicas esse meos manuque missos.
Hoc si terque quaterque clamitaris,
Inpones plagiario pudorem. (Epigrammi, I, 52)
Il plagio iniziò ad esser visto come una calamità, cui Marziale dedicherà tre cicli per confermare la propria posizione condivisa, tra gli altri, da Plinio il Giovane e Quintiliano. Lontani erano i tempi della tutela della proprietà intellettuale, e gli autori si difendevano a suon d’invettive e di prefazioni.
Da qui in poi il plagium vide un progressivo sdoppiamento di significato confermato dalla presenza nei primi vocabolari latini cinquecenteschi: da un lato restò il rimando al reato di furto di schiavi altrui, mentre dall’altro andò affermandosi quello di furto di libri, di versi, di pensieri d’altri.
Non vi è comunque traccia del termine nel volgare italico, e bisognerà attendere il tardo Cinquecento perché il termine rientri in Italia su eredità francese, dove plagiaire vide le prime attestazioni già intorno al 1560.
Plagio resistette comunque anche nel suo significato originale, legato al Crimen Plagii, nel linguaggio giuridico e penale, come citato nel 1749 nella Pratica criminale di Domenico Moro:
Il delitto di Plagio è il vendere dolosamente l’uomo libero, o dolosamente comprarlo, come se fosse schiavo, o in altra maniera alienarlo, cioè collocarlo in dote, o donarlo, o permutarlo dolosamente, come fosse schiavo.
La legge deve tuttavia seguire i costumi del tempo in cui è chiamata a regolare la vita dei mortali, e col passare dei secoli il problema del furto degli schiavi venne meno per lasciar spazio ad un altro tipo di plagio, previsto come delitto dal codice penale (art. 613 bis), nel senso di sottomissione psicologica – e quindi fisica – di qualcuno al proprio volere:
Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.
L’altro plagio invece, quello nato dal pensiero di Marziale e inteso come copia indebita dell’opera intellettuale altrui, venne inserito già nel Codice Civile concesso da Re Carlo Alberto nel 1837, dove l’art. 440 è posto a tutela del diritto d’autore.
Le produzioni dell’ingegno umano son proprietà dei loro autori sotto l’osservanza delle leggi e dei regolamenti che vi sono relativi.
Mentre con il Regio Decreto del 7 novembre 1925, si compie un ulteriore passo avanti (art. 1):
Sono protette dal presente decreto, qualunque ne sia il merito e la destinazione, tutte le opere dell’ingegno. scientifiche, letterarie, artistiche e didattiche. Sono considerate opere artistiche le opere drammatiche, musicali, cinematografiche, coreografiche e pantomimiche, le opere di pittura, scultura e architettura; i lavori d’arte grafici e plastici, i lavori d’arte applicata all’industria, i disegni, le fotografie, e i lavori eseguiti con procedimenti analoghi alla fotografia. Sono considerate opere scientifiche anche i progetti di lavori d’ingegneria, quando costituiscano soluzioni originali di problemi tecnici.
Ma concludendo il nostro tour plagiatorio e tornando alla musica, dove ritroviamo probabilmente i plagi più celebri, fa sorridere la presenza di un ulteriore classe di plagio, noto ai musicologi come il Doni che nel 1763 in uno dei suoi trattati riporta:
È da notare sopratutto che tra gli odierni dodici modi i plagi sono più puri e semplici, e rassomigliano meglio agli Antichi.
Si parla qui della musica prima della rivoluzione tonale seicentesca, quando vigeva ancora il sistema modale basato sugli otto modi di origine benedettina: quattro modi autentici (Dorico, Frigio, Lidio, Misolidio) e quattro modi plagali (Ipodorico, Ipoionico, Ipofrigio, Ipomisolidio), da cui anche la variante di “plagi” o “piagali”.
Non diciamolo ai concorrenti di quest’anno: potrebbero cogliere la nota al balzo per giustificare un plagio quale recupero storico e filologico di qualche composizione dal sapore Ipofrigio, e stavolta non c’è nemmeno Stravinskij a difendere l’onestà intellettuale e artistica del musico di turno.
Bibliografia
Plagio, in GDLI, UTET (accessibile online).
Plagio: origine e significati antichi e moderni, a cura di Setti, Raffaella, accessibile online su accademiadellacrusca.it.
Plagium in Harper’s Dictionary of Classical Antiquities, New York, Harper & Brothers, 1898.
Crimen Plagii, in Dizionario Storico-Giuridico Romano, ed. Simone (accessibile online).
Codice Civile approvato con Regio decreto 20 giugno 1837 n. 177, in Raccolta degli atti del governo di Sua Maestà il Re di Sardegna, Tipografia Pignetti e Carena, Torino, 1837.
Marziale, M. Valerio, Epigrammi, a c. di Ceronetti, Guido, Bologna, Einaudi, 1962 (2^ ed.).
Doni, Giovanni Battista, Lyra Barbarina Amphichordos: De’ Trattati Di Mvsica Di Gio. Battista Doni Patrizio Fiorentino, Tomo Secondo, Firenze, Stamperia Imperiale, 1763.
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Milano, 1988. UX Designer e Project manager, dottoressa in Filologia Moderna. Appassionata di vino, cose vecchie e storia della lingua.