The People v. O.J. Simpson: dal processo alla serie tv
Il processo O.J. Simpson è stato lo spettacolo mediatico par excellence della metà degli anni’90. Divenuto in breve tempo un’ossessione nazionale e un’arena culturale in cui erano drammatizzati i conflitti sociali di razza, di genere e di classe, ha segnato una tappa importante nella crescente frammentazione della politica americana in politiche identitarie. L’industria dello spettacolo era ritornata sul processo Simpson all’inizio dell’era Trump, caratterizzata – come confermato purtroppo in questi giorni dall’escalation di scontri e di violenza scaturita dalla tragica uccisione dell’afroamericano George Floyd – da una prepotente riemersione delle divisioni razziali negli Stati Uniti.
Serie televisive specchio di un paese
Nel 2016, infatti, sono stati realizzati sia il documentario di otto ore O.J.: Made In America – incentrato sull’ascesa e caduta di Simpson: dalla sua carriera di star del football al processo Brown ed infine alla sua condanna per rapina, tredici anni più tardi– del regista Ezra Edelman, vincitore di un premio Oscar nel 2017, sia il serial televisivo in dieci puntate The People v. O.J. Simpson.
Questa serie televisiva, su cui qui mi soffermerò, è ispirata a The Run Of His Life, il libro che Jeffrey Toobin del New Yorker dedicò alla vicenda. I dieci episodi dello screenplay – scritto da Scott Alexander e Larry Karaszewski, il team di sceneggiatori di Ed Wood e The Man On The Moon – fanno parte di American Crime Story, il progetto che il canale FX riserva ad un grande caso giudiziario (la seconda stagione, del 2018, è stata incentrata sul delitto Versace, con Edgar Ramirez nei panni dello stilista, Penelope Cruz in quelli della sorella Donatella e uno stupefacente Darren Criss, assoluto protagonista della storia, nel ruolo del serial killer Andrew Cunanan). Il produttore è un innovatore della serialità come Ryan Murphy (Nip/Tuck, Glee, American Horror Story) e il regista della quinta puntata, intitolata The Race Card, John Singleton, un maestro del black cinema.
Il cast è ragguardevole: Cuba Gooding Jr., vincitore nel 1997 del premio Oscar come miglior attore non protagonista per Jerry McGuire, impersona la disinvoltura incredula che contraddistinse O. J. Simpson per tutta la durata dal processo, a cominciare dalla fuga sulla “Bronco” bianca. David Schwimmer, ex-interprete della serie di culto Friends, è Robert Kardashian, l’avvocato armeno-americano amico di O. J. e suo instancabile sostenitore, nonché genitore delle sorelle Kourtney, Kim e Khloe, che anni dopo diventeranno regine dei social media. La squadra legale è composta da un gruppo di interpreti di assoluto rilievo: il collegio difensivo comprende John Travolta, anche produttore della serie, che si ritaglia il ruolo di Robert Shapiro (con una recitazione un po’ sopra le righe), Nathan Lane, efficacissimo nel tratteggiare il lawyer di lungo corso Francis Lee Bailey Jr., e soprattutto un uno straordinario Courtney B. Vance, eccezionale caratterista finalmente assurto, nel ruolo di Johnnie Cochran, allo status di protagonista. Quello accusatorio è guidato dalla bianca Marcia Clark (Sarah Paulson, giustamente premiata con l’Emmy Award) e dal nero Christopher Darden (Sterling K. Brown, eccellente in una recitazione sotto le righe, necessaria come contraltare al Cochran bigger than life di B. Vance), presto legati da una love story che farà impazzire i media, dal giudice Lance A. Ito (Kenneth Choi) e dal procuratore distrettuale impersonato da un solido professionista come Bruce Greenwood.
I significati di The People v. O.J. Simpson
È da sottolineare come la serie FX in buona sostanza ignori nello sviluppo dei suoi dieci episodi il terribile crimine a monte del cosiddetto “processo del secolo”. Pochissimo spazio è lasciato alle vittime Nicole Brown Simpson e Ronald Goldman e alle loro famiglie, né è indagata l’innocenza o la colpevolezza di Simpson.
The People insiste sull’evoluzione di Robert Kardashian, presentato inizialmente come un convinto innocentista e braccio destro di O.J. e, alla fine della serie, assertore della sua responsabilità negli omicidi.
Infatti The People v. O.J. Simpson è costruito sulla tesi che la verità è un fattore trascurabile: a contare sono altri valori e soprattutto le strategie della pubblica accusa e della difesa che produrranno al massimo una verità processuale.
Un Johnnie Cochran bigger then life
Il vero protagonista della serie è così Johnnie Cochran. Cresciuto nel mito di Thurgood Marshall, l’avvocato Cochran interpretato da Courtney B. Vance si divide tra clienti prestigiosi (come Michael Jackson) e derelitti, tra il ruolo di principe del foro e quello del predicatore, con la vocazione di riequilibrare attraverso il diritto, come efficacemente affermato da Stefano Pistolini, la bilancia del confronto razziale.
Per Cochran a giudizio non c’è tanto un probabile omicida, quanto piuttosto un intero paese, mai totalmente guarito dalle ferite della segregazione razziale. Egli lotta per una causa, mentre Simpson, in fondo, ha “tradito” la comunità nera comportandosi come un bianco dell’upper class. Nel quinto episodio della serie, intitolato The Race Card, Cochran decide di “ridecorare” la casa di Simpson prima che la giuria visiti l’abitazione del sospettato. Il collegio difensivo sostituisce così le foto di Simpson con i suoi compagni bianchi del country golf e i nudi di Paula Barbieri, la modella (bianca) allora fidanzata di O.J., con ritratti della madre dell’imputato e foto casuali di bambini afroamericani assolutamente non imparentati con Simpson. In bella mostra viene poi appositamente appeso il celeberrimo quadro di Norman Rockwell The Problem We All Live With (1964), simbolo del movimento per i diritti civili degli Stati Uniti. L’opera ritrae una bambina afroamericana di sei anni, Ruby Bridges, mentre viene scortata da quattro poliziotti sulla strada verso una scuola bianca di New Orleans, il 14 novembre 1960. Dinanzi ad un muro sporcato da residui di pomodori, spiaccicati sulle parole “nigger” e “KKK”, la bambina cammina a testa alta con la schiena dritta, in marcia per esercitare i suoi diritti. L’avvocato difensore, oltre ad esclamare «I like me some blackness» mentre vengono piazzati esemplari di arte africana durante il restyling della casa di O.J., invita il suo assistito a non sorprendersi di questi cambiamenti. Essi sono stati realizzati per restituire ai giurati «The right image» di O.J., «someone our jurors could admire and fully relate to»: ad una giuria prevalentemente coloured, secondo Cochran, va quindi restituita un’immagine “politicamente corretta” di Simpson, che i 12 giurati possano ammirare e in cui possano rispecchiarsi.
L’accusa accetta di scendere nel terreno “razziale”: Marcia Clark (bianca) arruola Chris Darden, già pupillo (nero) di Cochran. Darden dovrebbe attirare il consenso del pubblico di colore, ma per la comunità afroamericana diviene, inaspettatamente, l’emblema del tradimento.
La tempesta mediatica intanto condiziona le vite delle parti processuali: nell’episodio Marcia, Marcia, Marcia, la Clark non solo viene ridicolizzata a mezzo stampa per un taglio “sbagliato” di capelli, ma la sua lotta per ottenere l’affidamento dei figli è sbattuta in prima pagina e alcune foto “rubate”, che la ritraggono nuda, sono pubblicate dai tabloid. Alla fine dell’episodio Marcia, sconfitta, cade in un pianto sconsolato, confessando a Christopher Darden (Sterling K. Brown), «non sono una personalità pubblica, non so come comportarmi».
Il ruolo dei media
D’altronde, nella puntata The Conspiracy Theorie, l’Allen Dershowitz interpretato da Evan Handller, membro “dietro le quinte” del Dream Team, avverte i suoi studenti di Harvard che in un contesto sociale dominato dalla televisione è necessario offrire una storia processuale convincente e avvincente non solo alla giuria ma al mondo intero e che nel circo mediatico è sempre preferibile essere colui che ha la capacità di orientare l’opinione pubblica in suo favore.
Il Johnnie Cochran rappresentato in The People v. O. J. Simpson comprende il funzionamento dei media meglio di chiunque altro. Uomo complesso, guidato sia dalla carità cristiana sia dalla vanità, Cochran intuisce gli stati d’animo dei giurati e gli sviluppi del procedimento giudiziario prima che questi si realizzino.
Nell’episodio Manna From Heaven, il Dream Team scopre che il giudice Ito vuole impedire l’inclusione delle registrazioni dei discorsi di Fuhrman nelle carte processuali, in quanto non attinenti al giudizio. Tale decisione potrebbe mettere in crisi la tesi di Cochran, secondo cui il Los Angeles Police Department, essendo composto prevalentemente da razzisti, avrebbe falsificato le prove per rafforzare le tesi accusatorie. Robert Shapiro (John Travolta) cerca di calmare Cochran, dicendogli «I’m sorry you’re disappointed. I understand everything you’re going through», ma l’avvocato afroamericano ribatte «There’s no way you could understand what this is like, Bob». Shapiro non può comprendere come si senta una persona di colore in America, soprattutto quando si tratta di battersi per dei diritti.
Altre Erudizioni Legali:
- Curiosità giuridiche da ogni tempo e luogo
- Adele Pertici: la prima notaia
- La clausola degli spettri e altre storie di fantasmi in tribunale
- 9 agosto 1883: Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Torino ammette Lidia Poët
- Il Codice di Hammurabi
- All’ombra della ghigliottina: l’esecuzione di Luigi XVI
A legare i singoli episodi dello sceneggiato televisivo è un ben preciso sottotesto: per Cochran, come per molti altri neri americani, il processo O.J. Simpson è la continuazione di un dibattito originato dal caso Rodney King e proseguito in seguito all’assoluzione degli ufficiali coinvolti nel pestaggio fino ai riots che ne seguirono.
Perciò The People v O.J. Simpson racconta non solo una vicenda processuale, ma soprattutto la storia dell’America nella metà degli anni ’90, mettendo in scena fatti che hanno molta attinenza con l’oggi e con divisioni razziali non ancora superate: il passato, dunque, non sempre è una terra straniera.
© Riproduzione Riservata
Bibliografia:
R. Badinter, Il processo del secolo, «La Repubblica», 17 ottobre 1995.
A. Grasso, Radio e televisione: teorie, analisi, storie, esercizi, Vita e Pensiero, Milano 2000.
J. Cotterill, Language and Power in Court: A Linguistic Analysis of the O.J. Simpson Trial, Palgrave MacMillan, New York 2003.
A. Deshowitz, Dubbi ragionevoli. Il sistema della giustizia penale e il caso O.J., trad.it. G. Canzio, Giuffrè, Milano 2007.
S. Pistolini, La maledizione di O. J. Simpson e le radici del malessere americano, «Il Foglio», 13 febbraio 2016.