Nel 1883, il Giornale delle Donne pubblicava un articolo sulle donne inventrici, proponendo un paragone tra America e Italia e rispondendo a una domanda che infervorava il dibattito del tempo: le donne possono esercitare una professione civile al pari degli uomini?
Sul finire del XIX secolo nei salotti e sui quotidiani si riaffacciava spesso una questione in grado di spaccare accanitamente il dibattito pubblico in due fazioni inconciliabili: ma le donne possono esercitare una professione civile al pari degli uomini? Mentre le università del Regno cominciavano ad aprire le porte anche alle donne e le insegnanti erano ormai la norma, le giornaliste diventavano sempre di più e si iniziava, sebbene con un po’ di fatica, ad accettare pure l’idea delle donne medico, altre professioni come quella dell’avvocato sembravano ancora inarrivabili: vi abbiamo raccontato più volte come si discuteva accanitamente sulla questione dell’avvocatura femminile. E le scienziate? Le ingegnere?
Nel 1883 il Giornale delle Donne pubblicava un articolo sulle donne inventrici, ossia le donne che avevano ideato e poi riprodotto utili invenzioni, al pari degli uomini.
Ebbene, l’autrice di questo articolo, a noi sconosciuta, riporta un interessante confronto tra la visione della donna lavoratrice in America e quella in Italia: un confronto il cui esito è già deciso in partenza, direte, ma non tutto è così scontato come sembra.
Nella terra del sogno americano, dove chiunque può far fortuna e ogni individuo può migliorare la propria posizione sociale, alla donna vengono riconosciuti pari diritti che all’uomo già nell’ossatura stessa del Paese: la sua Costituzione. Ma tale parità non sembra limitarsi soltanto ai dettami della carta scritta: le donne americane, se ben educate, sono riconosciute utili nel mondo dell’industria. Prove lampanti sono, per la nostra autrice, la signorina Metcalf, imprenditrice nell’industria dei cappelli di paglia nel Massachusetts, sin dal 1798, ma anche la signora Caterina Littlefield Green, inventrice dell’utilissima macchina per mondare il cotone. Tale invenzione, vale la pena ricordarlo, avvenne in un periodo particolarmente duro per questa donna: il marito era il famoso generale Green, uno dei protagonisti della Rivoluzione americana, e durante i duri anni di guerra, il generale sostenne a proprie spese i soldati quando questi ne avevano bisogno, svuotando di fatto le tasche della famiglia. La Littlefield-Green non si diede per vinta, si trasferì al Sud con il marito lavorando nelle piantagioni, e lì nacque l’idea di lavorare il cotone in modo meccanico, ossia più velocemente e impiegando minore fatica.
La signora Burden inventò invece una macchina per produrre ferri di cavallo in soli tre minuti: secondo le stime del tempo, tale invenzione fece risparmiare agli addetti a questo lavoro ben 32 milioni di dollari in 14 anni. Le signore Mather e figlia inventarono invece un telescopio sotto-marino utile alle navi più grandi, mentre ci fu anche chi pensò all’ambiente: la signora Hobeken, vedendosi imbrattare la veste da un antiquato ordigno utilizzato a New York per la pulizia delle strade, ne inventò uno migliore, mentre la signora Walton ottenne un brevetto per una straordinaria macchina che eliminava fumo, polvere e odori nauseabondi dalle strade ferrate e dalle fabbriche.
La nostra autrice non si risparmia nell’elencare altre e molte utili invenzioni delle donne americane, che hanno una chiara matrice comune: il pragmatismo. Dai lavori domestici alle operazioni in fabbrica, dai problemi delle strade a quelli dell’ambiente, le donne mostrano di essere attente osservatrici delle criticità loro contemporanee, e al pari degli uomini sanno applicare il proprio ingegno per trovare una soluzione.
Eppure, si chiede l’autrice, come mai in America le donne sembrano capaci di creare tali soluzioni, mentre in Europa esse non hanno mai fatto nulla di simile? La risposta non poteva che essere diversa:
Ma si può anche domandare come mai potrebbero farlo, se ad ogni passo che vogliono fare ci sono i parrucconi i quali sbarrano la via?
Tuttavia, nonostante le grevi difficoltà politiche, economiche e sociali, molte donne sono riuscite a brillare anche in Italia nonostante le ombre dei tempi: Adelaide Bono Cairoli, ad esempio, fu tra le protagoniste del Risorgimento italiano sostenendo la pubblicazione di giornali patriottici e promuovendo l’educazione politica all’interno dei propri salotti. Caterina Scarpellini fu importante astronoma che si occupò non solo di studiare gli astri ma anche del progresso della medicina umana. E la nostra beniamina, Lidia Poet, nel 1883 fu la prima donna a iscriversi all’Ordine degli Avvocati (una storia che non ci stancheremo mai di raccontare).
Ci sentiamo di concludere questo confronto affermando che sì, ogni Paese e ogni epoca ha i suoi “parrucconi” retrogradi, ciononostante l’intelletto è il barlume che vivifica l’essere umano stesso, innato prescindendo dal genere, e quando produce opere giuste, positive e utili, la penna della storia non vi è indifferente. Oggi ricordiamo il barlume vivo in numerosissime donne in Italia e nel mondo, che prescindendo dall’epoca hanno subito discriminazioni e attraversato difficoltà ma che nonostante questo, spiccano tra le fiamme che hanno permesso al il genere umano di progredire. Non ricordiamo i parrucconi retrogradi, ma le donne geniali che vi hanno resistito.
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