Il 10 marzo 1946 segna una delle tappe più importanti nella storia italiana: per la prima volta le donne non solo votarono, ma furono anche elette. Le elezioni amministrative di quell’anno rappresentarono il primo vero banco di prova per il suffragio universale femminile e portarono all’elezione delle prime sei sindache italiane, donne che sfidarono convenzioni e pregiudizi per assumere un ruolo pubblico fino ad allora impensabile.
Un lungo cammino verso il voto
In guerra lavoravano, decidevano, reggevano il Paese. Eppure, finita la Prima guerra mondiale, la politica non era ancora pronta a riconoscere pieni diritti alle donne.
Inaspettatamente, negli anni ’20 fu Mussolini a riportare in auge il tema del voto alle donne. Nel tentativo di costruire consenso, infatti, il Duce promulgò la Legge n. 2125 del 22 novembre 1925, che concedeva il diritto di voto alle donne con almeno la licenza elementare, ma solo per le elezioni amministrative.
Sembrava un passo avanti, ma si rivelò una concessione priva di conseguenze. Pochi mesi dopo, con la Legge n. 237 del 4 febbraio 1926, le elezioni locali vennero abolite e i sindaci e consiglieri comunali iniziarono a essere nominati direttamente dal governo.
Il risultato? Le donne ottennero il diritto di voto, ma non poterono mai esercitarlo. Il suffragio femminile rimase solo un’illusione.
Con l’avvento del fascismo, anzi, il loro ruolo fu fortemente ridimensionato: la donna era celebrata come “regina della casa”, e le opportunità di lavoro e partecipazione pubblica si ridussero drasticamente.
Fu l’esperienza della Resistenza a offrire loro un nuovo spazio di emancipazione: molte donne divennero staffette, partigiane, informatrici, svolgendo un ruolo cruciale nella lotta contro il nazifascismo.
La fine della guerra segnò un punto di non ritorno per il paese e per i diritti delle donne.
Il decreto che cambiò la storia: il suffragio femminile
Il primo passo concreto verso il voto femminile arrivò il 31 gennaio 1945, quando il Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 23 del secondo governo Bonomi sancì per la prima volta in Italia il diritto di voto alle donne.
Ma l’altra grande conquista avvenne il 10 marzo 1946: lo stesso giorno delle prime elezioni amministrative del dopoguerra, il Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 74 riconobbe ufficialmente anche l’eleggibilità delle donne, permettendo loro di candidarsi.
L’articolo 7 del decreto stabiliva chiaramente:
“Sono eleggibili all’Assemblea Costituente i cittadini e le cittadine italiane che, al giorno delle elezioni, abbiano compiuto il 25° anno di età.”
Per la prima volta nella storia italiana, le donne erano riconosciute come soggetti politici attivi, sia come elettrici che come candidate.
Le elezioni amministrative del 1946
Le elezioni amministrative del 1946 coinvolsero 5.722 Comuni e interessarono il 71,6% della popolazione italiana.
Le votazioni iniziarono il 10 marzo e si svolsero poi in più tornate, tra la primavera e l’autunno. Segnarono la prima occasione in cui le donne poterono recarsi alle urne, esercitando finalmente un diritto che fino a pochi mesi prima era stato loro negato.
Fu un evento straordinario, che anticipò di pochi mesi un’altra data fondamentale: il 2 giugno 1946, giorno del referendum tra Monarchia e Repubblica e dell’elezione dell’Assemblea Costituente, nella quale 21 donne furono elette tra i 556 deputati.
La giornalista Anna Garofalo, testimone dell’epoca, descrisse l’emozione di quel momento con queste parole:
«Le schede che ci arrivano a casa e ci invitano a compiere il nostro dovere, hanno un’autorità silenziosa e perentoria. Le rigiriamo tra le mani e ci sembrano più preziose della tessera del pane. Stringiamo le schede come biglietti d’amore.»
Le prime sei sindache
Oltre 2.000 donne furono elette nei consigli comunali italiani, e sei di loro diventarono sindache, rompendo un tabù secolare e aprendo la strada alla partecipazione femminile nella politica locale.
Ecco chi furono le prime sei sindache italiane:
Ada Natali (Massa Fermana, Marche)
Nata nel 1898 a Massa Fermana, si laureò Giurisprudenza e partecipò alla Resistenza. Nel 1946 fu eletta sindaca e guidò il suo paese con determinazione fino al 1959. Difese i diritti dei lavoratori, istituì colonie per bambini poveri e si batté per migliori condizioni nelle fabbriche locali. Nel 1948 entrò alla Camera dei Deputati con il PCI, proseguendo il suo impegno politico fino agli anni ’50. Morì nel 1990, lasciando un’eredità di coraggio e impegno civile.

Lydia Toraldo Serra (Tropea, Calabria)
Nata nel 1906 a Cosenza, si laureò in Giurisprudenza con Vittorio Emanuele Orlando discutendo una tesi sul diritto di voto femminile. Dopo aver esercitato la professione legale, nel 1946 fu eletta sindaca di Tropea e rimase alla guida del comune fino al 1960.
Si impegnò nel migliorare le condizioni delle fasce più povere della popolazione, guadagnandosi il soprannome di “a mammicea nostra”. Al contempo, però, queste scelte suscitarono tensioni con la classe dirigente locale, portandola a scontrarsi con nobili, professionisti e politici del tempo.

Margherita Sanna (Orune, Sardegna)
Nata nel 1904 a Orune in provincia di Nuoro una famiglia di pastori, si diplomò in contabilità e successivamente ottenne il diploma magistrale per insegnare. Durante la Seconda Guerra Mondiale, fu arrestata e incarcerata per due mesi a Cagliari, accusata di spionaggio a favore degli alleati inglesi.
Fu sindaca di Orune dal 1946 al 1956 e nuovamente tra il 1964 e il 1966. Durante i suoi mandati, si impegnò per il miglioramento delle condizioni sociali e lavorative: istituì una mensa scolastica, creò un lavatoio municipale, avviò la riforestazione del territorio e fondò la prima cooperativa di pastori della Sardegna.

Ninetta Bartoli (Borutta, Sardegna)
Nata nel 1896 a Borutta in provincia di Sassari una famiglia nobile, Giovanna crebbe con una forte educazione cattolica e un forte senso di responsabilità sociale. Prima del suo impegno politico, si dedicò ad attività di assistenza e sviluppo del territorio, fondando una casa di riposo e una cooperativa lattiero-casearia per sostenere l’economia locale.
Durante il suo mandato come sindaca, si impegnò nella modernizzazione del paese, portando l’acquedotto, il sistema fognario, l’energia elettrica, nuove scuole e le prime case popolari, nonché una serie di iniziative per offrire posti di lavoro qualificati alle donne.

Ottavia Fontana (Veronella, Veneto)
Insegnante elementare e donna di grande sensibilità e fede religiosa, come sindaca si dedicò al benessere della sua comunità, impegnandosi in particolare per il sostegno economico delle famiglie del paese.
Restò in carica per tre anni, fino alla sua prematura morte a 55 anni, dovuta a una malattia contratta mentre cercava un accordo per mandare alcune mondine di Veronella a lavorare nelle risaie del Vercellese.

Elena Tosetti (Fanano, Emilia-Romagna)
Nata nel 1907, fu eletta sindaca di Fanano in provincia Modena nel 1946 e si distinse per il suo impegno nella ricostruzione post-bellica, lavorando a stretto contatto con i cittadini per risollevare il paese dalle macerie della guerra.
La sua leadership era caratterizzata da un forte senso di giustizia sociale, tanto che la comunità la ricordava come “la sindaca dei deboli”. Morì nel 1957, lasciando un’eredità di altruismo e dedizione.

Un’eredità che continua
Le elezioni del 1946 non furono solo una conquista simbolica: aprirono la strada a una lenta ma progressiva affermazione delle donne nella politica italiana. Tuttavia, la strada per la parità era ancora lunga:
- Per vedere una donna Presidente della Camera bisognò aspettare Nilde Iotti nel 1979.
- La prima donna Presidente del Senato fu Maria Elisabetta Alberti Casellati nel 2018.
- L’Italia ha avuto la sua prima Presidente del Consiglio solo nel 2022, con l’elezione di Giorgia Meloni.
Se nel 1946 la presenza femminile in politica era un’eccezione, oggi è una realtà consolidata. Ma resta ancora molto da fare per garantire una vera parità di genere.
Il 10 marzo 1946 segnò un punto di non ritorno. Perché una volta entrate nelle urne, le donne non ne sarebbero più uscite.
