Sfogliando la Rivista di discipline carcerarie abbiamo incontrato sorprese del tutto imprevedibili: enigmi, sciarade e persino una rubrica fissa di barzellette (che non fanno molto ridere in sé, ma tantissimo per il fatto di trovarsi sulla Rivista di discipline carcerarie).
Ma soprattutto, abbiamo scovato questo capolavoro che racconta una giornata molto intensa nella città più frenetica d’Italia già nei primi anni del Novecento. Siamo a Milano nel 1909: i locali in cui si riversano torrenti di gente vibrante ed eccitata sono illuminati dalle luci elettriche, cittadini e forestieri corrono freneticamente da un capo all’altro della città sui tram elettrici. Pare proprio che insieme all’elettricità sia nato pure l’imperativo morale della “tensione”.
L’autrice del pezzo si firma “Rossana”: chi è? Noi abbiamo puntato i nostri sospetti sulla marchesa Zina Centa Tartarini (1866-1951), scrittrice, giornalista e prima Ispettrice nazionale delle carceri e riformatori femminili.
Vi riportiamo integralmente il suo racconto: godetevi questa giornata fra le vie, i ristoranti, i negozi, i teatri e i locali notturni di una Milano intensissima di cento anni fa.
Veramente è Milano la più forte, la più ricca, la più evoluta città d’Italia? Quale è la fonte di quella indiscutibile ricchezza che la rende audace e vittoriosa?
Basta con attento spirito seguire il movimento quotidiano della grande città lombarda per rendersi conto della sua potenza.
5:00-12:00. Di corsa a lavoro
Alle cinque del mattino corrono e si inseguono dei tram carichi di operai, operaie, impiegati e proprietari. Il lampo vivido della trazione elettrica a quando a quando rompe la densa nebbia delle strade ancora buie e fredde e silenziose.
Dalle sei e mezza alle otto e mezza una folla di uomini, imbacuccati nelle pellicce e nei paltò, attraversa rapidamente i marciapiedi e le strade più eccentriche e va verso i grandi cancelli delle fabbriche, verso i cantieri ancora silenti, verso i negozi d’ogni genere, verso i palazzi adibiti ad uffici e agenzie, le cui finestre illuminate rivelano che già sono attesi dai telegrammi della notte e dal primo corriere di Parigi.
Dalle nove alle dodici la città è battuta dai forestieri, dai commessi viaggiatori che entrano ed escono da tutti i negozi, dalle signore che fanno da sole le piccole spese e dalla gente addetta al benessere organico dei cittadini.
12:00-18:45: A pranzo (detto colazione)
Alle dodici un vero torrente d’uomini si riversa nei restaurants, nelle birrerie, nei caffè. Dal Biffi alla più umile trattoria milanese, trovi una folla di gente affamata e frettolosa che ordina, mangia e scappa via. Pochissimi milanesi tornano a casa per la colazione. «Il tempo è denaro» e andare a casa, mangiare in famiglia, implica una perdita di tempo non indifferente.
Invece al restaurant la cosa è molto più semplice. Si dà appuntamento al proprio rappresentante, all’amico giunto da Torino per un affare, al cliente di passaggio, al socio che lavora in un altro capo della città. Si mangia, si discute animatamente, si danno degli ordini, si tracciano dei progetti, si discutono delle concessioni, si combinano degli affari, si aspetta il bollettino ultimo della borsa di Parigi, Londra, Vienna; si accende un sigaro e si torna al lavoro… fino alle sei e tre quarti.
Una simpatica cena (detta pranzo)
A quest’ora il ritorno a casa si compie alla spicciolata, con qualche stanchezza, con qualche ritardo. Rientrando, ognuno prende il suo bagno tiepido, muta vestito e va a pranzo sereno e sorridente. Tutta la casa è lieta, illuminata, riscaldata bene. I giornali sono a portata di mano, si dimenticano completamente gli affari, si parla dell’ultima pedina mossa dall’on. Giolitti, dell’ultimo libro dato alle stampe, dell’ultimo lavoro teatrale.
Le discussioni si accendono vivissime: il cervello stanco di cifre, di prontuari, di percentuali di borsa si riposa su argomenti più simpatici, si appassiona per tutto ciò che è moda, novità, vibrazione di vita. Chi ha lungamente lavorato sente il bisogno di divertirsi.
Si va a teatro
Dopo il pranzo, il teatro. Il pubblico dei teatri di Milano non è uguale né simile a nessun altro pubblico d’Italia. È una massa vibrante, eccitata, disposta alla critica, alla satira, alla «beccata» spiritosa che lascia interdetto l’artista e colpisce a fondo l’autore. Sono bottegai, negozianti, parvenus, della vita elegante, sono grossolani… No, nulla di tutto questo: tali accuse sono goffe, ridicole, inesistenti. Questo pubblico è fatto di gente giovane e sana, gente pratica che lavora, che sa il valore della vita e il valore del denaro, è gente nuova che domanda un palpito nuovo, un nuovo impulso al suo cervello e non si acconcia, non si rassegna ad essere giuocata.
Che importa a quel pubblico che l’autore sia Marinetti o Ibsen? Egli vuole vibrare, ridere o piangere, vuole una riboccante visione di bellezza o un singulto amaro, o una bestemmia, ma vuole che il teatro lo tragga violentemente dalla sua occupazione giornaliera. Per questo va a teatro, per riposare e divertirsi.
Pubblico difficile dunque, ma vivo e intelligente e vano, che nello spregiudicato slancio del suo giudizio aumenta o innalza ma senza rimpianti e vani rispetti.
Una cena elegante (detta giustamente cena)
La grazia, l’eleganza e la beltà femminile, per quanto pregevole, è travolta dalla preponderanza degli smoking e degli sparati bianchi. Dopo lo spettacolo ognuno torna a cena al Savini, al Cova, all’Eden, o torna in compagnia nel proprio salotto per il the. Le carrozze, le automobili corrono, s’incrociano per le strade illuminate da vivissima luce alle una, alle due del mattino.
Milano non dorme ancora. Ancora discute, applaude o fischia, ride, mangia, si diverte. E se anche i signori uomini si riducono a letto alle tre del mattino, questo non toglie che alle otto e mezzo sieno in piedi tutti e frettolosamente avviati ai loro affari, ai loro uffici, ai loro cantieri.
Un ritmo infinito
Sbuffano i cento, i mille comignoli delle fabbriche, le turbine girano rapidamente, ansano i motori, fischiano le sirene, l’operosità riprende il suo ritmo che si ripete all’infinito.
Ecco la ragione di quella ricchezza rinnovantesi, ecco la manifestazione della più elevata forma di vita individuale, ecco un esempio di dignità e di grandezza moderna. Se le cento città italiane fossero ugualmente prese da questa vita intensa non sarebbe risolto il nostro grande problema economico nazionale?
Su questa massa di lavoratori fecondi di benessere reale, vive e si agita tutto un mondo letterario, artistico, umanitario, idealista. Dalla «Casa del lavoro» dove una forte anima femminile lotta per aiutare i disoccupati, per raccogliere i minorenni, per combattere la malavita, al caffè Cova dove duecento donne intelligenti raccolgono quanto v’ha di meglio nel campo della filosofia, dell’arte, della letteratura e della poesia, scintillano vagamente tesori di raffinato buon gusto e di attività umana.
22:00-3:00. Un mondo vario e scapestrato
La sonante galleria, come un mare in burrasca, porta, sopra i suoi flutti instabili, tutte le celebrità teatrali. In questi giorni di febbraio è una vera ressa di attori, attrici, cantanti, impresari che formano e scompongono compagnie, scelgono spartiti, accettano o respingono certe forme e manifestazioni d’arte che saranno poi lanciate per tutto il mondo a suscitare applausi, a raccogliere allori, denari o… fischi.
Il Savini è, come sempre, un centro di critici, giornalisti e autori che dalle 10 della sera alle 3 del mattino giudicano, ridono, giuocano al «poker» lanciando al soffitto nuvole di fumo; nuvole misteriose che spesso perseguono un intreccio drammatico o un finale d’atto, o il cappello d’un articolo umoristico.
All’Olimpia, all’Eden, in altri locali, un mondo vario, scapestrato e simpatico canta, ride, batte il tempo con l’ultimo «chop» di birra tracannata.
I milanesi col cervello in fiamme
Degli studenti di ingegneria si danno già le arie e le preoccupazioni per un impianto elettrico, per un «alternatore polifase», per il piano regolatore di una ignorata città… e profondono il loro orgoglio di architetti futuri in costruzioni la cui corretta audacia fa prevedere quale sarà la loro futura potenza… Altri studenti col cervello in fiamme, il cuore pieno di entusiasmi, seguendo il ritmo sonoro che diffonde la grande città, si esaltano pensando che essa sia la loro «Icaria» piena di felicità sconosciute.
Qua e là sparsi nei «rez-de-chaussée» nelle vie più belle della nuova Milano sono i letterati, i poeti, gli scrittori e le scrittrici più in voga. Costoro si inebriano di spazio, di luce e di cieli infuocati. Il ghiaccio non li morde, il sole non li brucia: sono incalzati da un sogno di trionfo, perseguono una forma d’arte originale e la bellezza li tormenta come un angelo crudele e insaziato che li motteggia, li frusta e fugge impaurito della vibrazione continua che danno le «sirene» chiamanti un popolo intero all’opera feconda e rimunerativa.
Il desiderio della vita intensa
Il vigore fisico è ottima cosa quando è accoppiato al vigore dell’intelletto, ma assai superiore ad entrambi è quell’insieme di virtù attive e morali che noi chiamiamo carattere. Sta di fatto che alla formazione di questo carattere molto tengono le famiglie milanesi e che tutto lo sforzo della istruzione lombarda mira a formare delle volontà tenaci.
Questa è una parte della grande ricchezza di Milano, l’altra è che nessuna popolazione come questa ha riconosciuto che la base fondamentale della vita è la legge del lavoro, e bisogna aggiungere che questa legge, a Milano, implica un duplice dovere: lavorare per gli altri e avvantaggiare se stessi. E bene anche dire, che in nessuna popolazione come in questa è ardente il desiderio della vita intensa, dell’azzurro senza macchia, della luce inaccessibile, della conquista intera della forza e della gioia.
Non sarebbe un bene essere tutti così?